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Bosnia-Erzegovina come stato di eccezione

Ho affermato in precedenza che la violenza, nello specifico la pulizia etnica, rappresenta un fattore centrale prima e durante la transizione bosniaca. La violenza è stata utilizzata da parte delle milizie belligeranti per esprimere l'odio etnico. La risposta data dalla comunità internazionale per reprimere la vampa dell’odio e la spirale della violenza, anziché tentare la via dell’inclusione, ha sostanzialmente confermato il risultato emerso dal conflitto (Donia e Fine 1994). Da queste premesse la conseguenza che emerge è un particolare status politico, lo stato di eccezione, il quale coinvolge i progetti di sviluppo. La definizione di stato di eccezione composta da Carl Schmitt è la base della mia analisi della BiH. Schmitt considera lo stato di eccezione come una situazione giuridica: la forma di qualcosa che non ha forma giuridica (1976). L’accordo di pace di Dayton è il primo del suo genere nella storia; mai in passato è esistito un paese sostenuto da un governo di rappresentanza internazionale con il potere di controllo, il diritto di creare leggi e di utilizzare il diritto di veto sulle decisioni del governo ufficiale. Dayton ha quindi confermato l'equilibrio etnico tra i rappresentanti che hanno preso parte al conflitto: il nuovo Stato è stato formato dai partiti nazionali sostenuti dai tre gruppi maggioritari (Burg e Shoup 1999).

Il governo bosniaco era un esempio della sovranità dello stato condiviso con la comunità internazionale rappresentata qui dall’OHR (Chandler 1999). La sua sovranità non è effettiva ma sostenuta dall’esterno. Era del resto improbabile che potesse risultare effettiva, perché l'accordo di pace che comprendeva la nuova costituzione ha lasciato le divisioni dei gruppi invariate. In generale il problema della sovranità ha caratterizzato tutti gli eventi bosniaci; è in nome della sovranità del paese che la guerra è iniziata.

Nella nuova formulazione dell'idea di Schmitt proposta da Agamben (1998), la sua teoria di stato di eccezione è derivata dal concetto di vuoto legislativo. Viene messa in evidenza la mancanza di diritto e delle politiche adottate per l'eccezione. Quindi non si tratta di un tipo di governo, ma piuttosto della negazione del governo. Agamben inizia il volume Stato di eccezione riportando l’esempio dell’olocausto come un enigma del XX secolo e un collegamento tra la nuda vita e la politica. Quarant'anni più tardi il caso bosniaco suggerisce una situazione simile. La nuda vita, descritta come la condizione di persone in stato di eccezione (ibidem), in BiH è la vita dei cittadini, diventata una sorta di negazione del concetto di biopolitica di Foucault: le persone sono escluse dal dibattito politico (1971). In BiH la biopolitica è scomparsa e gli uomini sono tornati alle loro esistenza "animale". È mia opinione che il fine della transizione bosniaca abbia assunto il contorno dello stato di eccezione. Al suo interno la violenza quotidiana caratterizza la nuda vita dei cittadini. Non è più possibile parlare di cittadinanza, ma piuttosto il termine di riferimento è l’appartenenza etnica ad un gruppo.

Quando il governo bosniaco ha perso il controllo della nazione e della sua costituzione è iniziato il conflitto. Hayden ha definito la guerra civile come termine dicotomico del costituzionalismo (2000). La guerra costituisce infatti una dimensione di incertezza in cui non esistono regole e la

sovranità è sospesa; il diritto internazionale, come l'accordo di Ginevra e il corpo di pace internazionale dei "caschi blu", non sono stati rispettati da chi ha combattuto in BiH. Alla fine della guerra la sovranità è stata restaurata e da quel momento lo stato di eccezione è stato impostato. La forza internazionale è intervenuta per coordinare la pace e lo sviluppo del nuovo paese e per disciplinarlo e sostenerlo, ma questo ha portato alla creazione di una nuova costituzione, la quale si è posta al di fuori del diritto internazionale.

L’analisi della situazione bosniaca svolta da Hayden richiama una riflessione sulle figure intervenute per risolvere i diversi problemi originati dal conflitto con lo scopo di trovare il motivo dell’intervento internazionale e dei suoi effetti (2000). Parte della risposta è stata elaborata nel paragrafo precedente; il passaggio dalla violenza allo stato di eccezione è caratterizzato da riflessioni sulle risoluzioni di pace nel mondo neo liberale. Le conseguenze, in quanto la risposta del neo liberalismo alla violenza spesso assume la forma di uno stato di eccezione come alcuni esempi nella storia dimostrano.

Nello stato di eccezione bosniaco la costituzione è stata posta al di fuori della legge. La deregolamentazione è stata rappresentata dall’OHR in quanto aveva il mandato di governare e quindi ha prodotto una mancanza di sovranità nel governo bosniaco. Anche l’intervento delle ONG deve essere considerato come un'eccezione; il loro obiettivo era promuovere valori e ideologie che dovevano essere espressione delle azioni dello Stato. In generale credo che la presenza di aiuti internazionali riveli sempre uno stato di eccezione; la loro attività nei paesi in via di sviluppo e del dopoguerra, dove Nazioni Unite, NATO o paesi occidentali hanno sospeso la sovranità. Pertanto, ritengo che anche il lavoro di cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile promosso dalle ONG italiane in BiH possa essere considerato come parte di Stato di eccezione bosniaco. Esso rappresenta uno strumento per ottenere alcuni obiettivi che potevano portare alla fine del processo di transizione. Ma nel mondo contemporaneo lo stato di eccezione è diventato normale perché sostenuto da pratiche neoliberiste globalmente condivise. Come sostiene Brown, il neoliberismo ha influenza sulla democrazia in quanto la libera dai valori morali (2005). In questo senso l'aiuto allo sviluppo rischia di diventare un processo senza fine per la BiH, legato alle esigenze politiche ed economiche internazionali.

Dalle osservazioni condotte sul campo emerge che i lavoratori delle ONG percepivano la condizione della BiH come stato d’eccezione e le anomalie del processo di sviluppo. L’eccezione è espressa in modo particolare dalla delocalizzazione del potere e dalla sua resistenza ai cambiamenti. L'effetto che essi percepivano in maniera più immediata era il protrarsi del processo. La delocalizzazione dei governi ha portato ad una situazione politica caotica: ogni governo era libero di approvare la legge di cui necessitava. Spesso le leggi sullo stesso oggetto erano diverse a causa della strategia politica che mirava a promuovere la differenza e la divisione. Questo problema riguardava direttamente il lavoro delle ONG. Ad esempio Anna, bosniaca, project manager di ONG 1, si occupava di adozione dei bambini in tutta la BiH. Pertanto lavorava con entrambe le entità, e ha citato questo particolare come il suo problema principale:

Lavorare in FBiH è diverso da lavorare in RS. Per esempio, per adottare un bambino ci sono condizioni diverse: in FBiH è possibile adottare bambini fino a dieci anni di RS nel frattempo la legge stabilisce fino a 5 anni. Poi, in FBiH è più complicato perché ci sono i Cantoni; ognuno ha la sua propria legge. Quindi, per scrivere un progetto è necessario chiedere l'autorizzazione ad ogni governo cantonale.

Un'altra esperienza di lavoro che rivela la difficoltà di attuare progetti attraverso i confini è stata testimoniata da Dario, funzionario italiano della ONG 4.

È molto difficile lavorare con entrambi FBiH e RS perché dobbiamo parlare con ogni singolo comune e comprendere le loro regole. In FBiH ogni cantone ha la propria regola sulla conservazione latte, e il sostegno finanziario. Non è possibile omogeneizzare l'attività perché non ha senso. Noi non abbiamo neppure la possibilità di condividere le migliori pratiche, perché le condizioni di lavoro sono diverse e non è possibile applicare una all'altra.

Il potere eccessivamente frammentato ha portato a casi limite in cui comunità di vari livelli sono state frantumate dal punto di vista legislativo creando difficoltà nel coordinamento delle stesse all’interno dei progetti. Nondimeno la divisione di potere ha prodotto un consistente numero di rappresentanti locali, interlocutori delle ONG, che usavano la propria posizione per perpetrare la logica di potere, impedendo quindi i processi di integrazione delle comunità sottesi ai progetti.

Gli operatori delle ONG affermavano che le attività che portavano avanti o in cui erano coinvolti producevano solo una piccola parte di cambiamento. Vi era una generale insoddisfazione per i risultati della ricerca. Se da un lato si riconosceva che sono stati compiuti notevoli progressi, grazie alla vasta opera, d’altro canto vi era la consapevolezza del persistere di situazioni difficilmente tollerabili e incompatibili con un ulteriore progresso e sviluppo. Riporto qui sotto una parte del colloquio con Selma, di ONG N6, che ha lavorato in un importante progetto di capacity building nella zona di Banja Luka.

Non è facile dire questo, perché io sono una locale che lavora per una organizzazione internazionale. Dal mio punto di vista c’è ancora bisogno di presenza internazionale. Non solo l'Alto Rappresentante e le forze EUFOR sono necessari, ma anche le organizzazioni non governative. [...] Molti donatori internazionali si stanno ritirando e l'attenzione alla BiH è in calo, ma ora è più utile rispetto a prima perché siamo sulla strada per entrare nell'Unione europea. Anche se non prima dei prossimi 10 anni. Fino a quando non avremo un sistema politico come questo non è possibile perché non vi è alcuna volontà, non vi è dialogo.

A seguito riporto il frammento del colloquio con Carlo, un operatore italiano di ONG N12, che mi ha spiegato la frustrazione nel non vedere alcun miglioramento nel corso di un periodo trascorso lavorando in BiH:

Nel 2001 abbiamo fatto un progetto di microcredito a Doboi con le stesse persone, più o meno, ed è andato bene: abbiamo avuto alta percentuale di ritorno, 92-93%, è stata una esperienza fantastica. Dal 2001 al 2005 sono passati 4 anni e la situazione è la stessa, le condizioni politiche ed economiche sono rimaste le stesse e le persone sono deluse, ma non credono più che qualcosa possa essere costruito nel medio e nel lungo termine, essi sono solo interessati a ciò che possono avere subito, perché hanno bisogno di mangiare domani.

Da questi discorsi emergeva l’effetto dell’allungamento dei termini di sviluppo determinato dallo stato di eccezione. La disillusione dei lavoratori ha dato una nuova interpretazione delle tendenze politiche dello sviluppo. Dopo aver visto per molti anni un costante impegno internazionale, economico e militare, la lunga durata ha portato a considerare questa situazione come normale, istituzionale.

La conclusione è che la crisi bosniaca, definita come uno stato di eccezione, è inserita in un circolo vizioso in cui la produzione di necessità è legata all'impossibilità di risolvere la necessità. L’eccezione politica ha portato all’introduzione in BiH dell’aiuto umanitario e della cooperazione allo sviluppo. Questi elementi, tuttavia, hanno bisogno di un cambiamento politico per ottenere effetto, cambiamento che sembra essere un compito difficoltoso. Lo stallo della legge e delle riforme è infatti indice di una mancanza di dialogo.

Parte terza – Etnografia dei processi di sviluppo in Bosnia Erzegovina

Capitolo 5

Il ruolo delle organizzazioni non governative italiane in Bosnia

Erzegovina