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6.3 La relazione sul territorio

6.3.1 Recupero del passato e nuove pratiche

Una prima considerazione riguarda il modo in cui gli interventi venivano integrati con le specificità esistenti sul territorio. Valutando il punto di vista degli sviluppatori, l’approccio utilizzato da ONG 3 mi è sembrato indicativo della relazione di rispetto e fiducia che solitamente favoriva la costruzione di un buon rapporto con il partner sul campo di lavoro. Un approccio invasivo non risultava utile ma anzi deleterio, mentre le capacità di ascolto e di analisi comportavano la possibilità di distinguere gli interventi opportuni da quelli superflui.

Laura, operatrice di ONG 3, aveva il ruolo di affiancare Ennio, project manager di ONG 5, nel progetto relativo alle cooperative agricola in Erzegovina, la regione meridionale del paese91. Laura ha evidenziato in che modo il lavoro delle ONG è stato improntato sulle caratteristiche esistenti del territorio.

“La mia figura è stata introdotta dopo all’interno del progetto, quando ci si è accorti che serviva un interlocutore con le persone. L’intenzione era creare una base sociale vera, che potesse poi partecipare alle attività proposte dal progetto. Dovevamo porre delle basi solide. In qualche modo già c’erano. Le cooperative esistevano fin dall’inizio, alcune, e non sono state chiuse. Inoltre erano esperienze che funzionano bene. Molte attività che non possiamo svolgere noi come ONG le lasciamo alle cooperative associate.

91 Questa cordata di associazioni appariva interessante per via del fatto che è stata strutturata ponendo la considerazione

sulle diverse competenze presenti nelle due associazioni e cercando di integrarle al meglio. Il progetto era di tipo agricolo, campo di specializzazione di ONG 5, ma in fase di progettazione era stata avvertita la necessità di lavorare preliminarmente con i beneficiari che sarebbero stati successivamente coinvolti in modo da facilitare la comprensione del progetto e il loro consenso. Per questo motivo ONG 3 è stato incluso nel progetto in quanto specializzato sul versante organizzativo, cooperativistico e sociale. Questa esperienza mostrava che anche progetti di tipo tecnico tenevano in considerazioni gli aspetti sociali.

Abbiamo pensato che se le cooperative non sono interessate a crescere nella direzione che consigliamo noi allora prendiamo atto della situazione e facciamo comunque il possibile. Noi siamo qui come mediatori delle associazioni cooperative.

Sono tre cooperative con cui c’è una collaborazione storica, con cui sono stati avviati i contatti sul territorio. Esiste anche la componente ambientale oltre a quella economica. Questo approccio con le cooperative riguardava soprattutto quelle che avevano una base sociale forte, come presupposto iniziale. Hanno dimostrato un certo spirito imprenditoriale. L’inconveniente è che c’è poca partecipazione. Sono rare le esperienze di cooperative, anche prima della guerra.”

Il concetto che stava alla base di questo modo di agire era lavorare a partire dalle condizioni esistenti. Come afferma Olivier de Serdan, chi implementa progetti di sviluppo deve considerare che la popolazione oggetto dei progetti ha vissuto precedentemente una propria storia, magari segnata da altri tipi di intervento (1995). Spesso in passato la tendenza degli sviluppatori era stata di dimenticarsene, pensando di essere i primi a implementare un progetto. Ma risultava solitamente possibile mettere in luce una storia locale particolare al fine di rapportarsi in modo più coerente con la realtà specifica in cui il progetto è implementato. In questo caso la BiH non era un paese in via di sviluppo ma in transizione, perciò la storia che va rispettata riguardava il precedente sistema piuttosto che altri interventi di sviluppo. Tuttavia la lunghezza del periodo post bellico ha creato le condizioni per cui alcune ONG potessero intervenire dove avevano già operato altri. Inoltre, il passato titino era un elemento comune a tutte le organizzazioni che stabilivano relazioni con la popolazione. Molte attività sociali e associazionistiche, come ad esempio le cooperative, erano sviluppate, seppure in modo diverso, anche durante il periodo comunista del paese.

La base sociale di cui parlava Laura, pur non essendo direttamente connessa con la questione etnica ne subiva le influenze. Il sistema familistico della zadruga, che si riferiva alla società agricola bosniaca era la base di un sistema più complesso di relazioni sociali che tendeva per sua natura a raccogliere le persone in gruppi sociali tendenzialmente omogenei. Questi potevano diventare facilmente lo strumento di operazioni di frammentazione. In tal senso la costruzione della base sociale, per esempio tramite l’introduzione del concetto cooperativistico italiano, portava a una saldatura più difficile da strumentalizzare. Il concetto è che il successo economico e sociale dei processi di questo tipo procedeva in parallelo.

Un esempio emblematico è stato il passaggio dei produttori da una cooperativa all’altra nel progetto del ONG 12 a Doboj. Sanel mi ha raccontato che nel progetto le tre componenti etniche erano distinte e ognuna aveva formato una cooperativa. Il fine del progetto era costituire un consorzio partendo dalle cooperative esistenti. L’idea di fondo era di creare delle interdipendenze economiche in un territorio segnato dalla divisione. Nello specifico, i produttori sono passati dalla cooperativa bosgnacca a quella croata a causa del maggiore successo che quest’ultima stava ottenendo.

“Visto che la cooperativa musulmana era diventata una buona pratica, alcuni agricoltori croati sono passati dall’altra parte. Il presidente della cooperativa croata voleva tenere i suoi agricoltori sotto controllo, non sopportava di perderli. Non capiva che dipendeva dalla sua gestione: tendeva a tenere tutto il territorio sotto il suo controllo mentre in teoria i produttori sono liberi. Ha applicato un discorso di comunità etnica, senza considerare la libertà degli individui.”

Questo estratto introduce una sfumatura riguardante il problema politico dell’etnicizzazione del dibattito pubblico. I privati cittadini, messi di fronte alla scelta, riuscivano a superare le frontiere e perseguire l’interesse che consideravano principale, cioè la realizzazione personale e del progetto. Per i rappresentanti delle istituzioni, dei partiti politici o anche solo delle comunità, la priorità era il controllo e il potere che ne derivava.

L’etnicizzazione del contesto risultava di particolare ostacolo alla modalità operativa presentata. Non importava che tutti gli interlocutori dei progetti sostenessero effettivamente un punto di vista etnicizzato. Solitamente nei progetti che hanno riscontrato questo tipo di difficoltà solamente una

delle parti in causa avanzava pretese di carattere etnico92. Bastava anche una sola compagine, come nell’estratto precedente. Un esempio per illustrare bene tale dinamica è ancora una volta il progetto che il ONG 12 ha realizzato a Doboj. Il principale impedimento era rappresentato da rivendicazioni politiche di un gruppo nei confronti degli altri.

“Nella cooperativa croata, il problema è che si è mischiata anche la politica. Quello che gestiva la cooperativa era un ingegnere che di agricoltura non ne capiva molto. Quindi era una questione di rappresentanza per potere interagire con il cantone di Zenica - Doboj e ottenere dei finanziamenti a favore della comunità croata. Già alla base non era una cooperativa di agricoltori ma una lobby di interesse. Il precedente project manager lo aveva segnalato subito. Noi avevamo chiesto di farci pervenire un elenco con tutti i membri. Loro ci hanno dato un elenco con le persone che erano morte da 5 anni.

Erano in collaborazione con Lijanovic, il produttore di salumi, aveva detto che i voti li comprava “Radom zavolita” partito nazionalista. Lui è entrato in politica per difendere i suoi interessi. Si presentavano come vicini al sociale ma in realtà erano fortemente filo croati. La sede del partito era a Siroki Brieg, vicino a Mostar, avevano tante collusioni, un loro rappresentante è stato letto al parlamento croato. Insomma loro hanno cercato di promuovere questa dinamica. Il presidente aveva le spillette del partito. Paradossalmente era una situazione che poteva creare anche dei benefici perché Lijanovic poteva mandare i veterinari per far crescere i polli. Noi abbiamo iniziato il progetto in queste condizioni. Quando abbiamo scoperto cosa c’era sotto abbiamo fatto dei rapporti. Loro hanno fatto dei problemi con il ONG 12 come se stessimo ostacolando la comunità croata. Invece eravamo già partiti con i serbi e con i musulmani mentre con loro no. È passato il buonismo per cui ogni parte deve ricevere i propri finanziamenti. Dunque abbiamo mandato la palla al ministero e loro ci hanno detto di continuare nonostante le difficoltà.”

La relazione instaurata tra gli operatori e i beneficiari nel progetto del ONG 12 aveva dunque molte variabili da considerare. Nel contesto etnicizzato, dove il progetto era usato in maniera strumentale da interlocutori con velleità politiche, ha prevalso la logica della compiacenza, del non creare questioni politiche dettata dal MAE, facendo valere l’influenza degli accordi bilaterali. Ma nonostante ciò il progetto non è stato portato a compimento, i dissidi creati hanno inficiato le relazioni fra le tre cooperative, che non sono arrivate ad un accordo. Ricordo in proposito che secondo Mosse l’intervento di sviluppo comporta sempre un’interferenza nei confronti degli interessi di potere esistenti in loco (2003). Il brano proposto costituisce una conferma di questo concetto nei progetti di sviluppo avviati in BiH, dove le tensioni mobilitate erano sempre alte proprio a causa di intrusioni rispetto ai conflitti esistenti.

Da un diverso punto di vista le relazioni sono servite per creare condizioni che non erano precedentemente presenti. Ritornando al caso del progetto agricolo portato avanti da ONG 5 con il contributo di ONG 3, Laura mi spiegava che l’intervento sociale necessario per poter affrontare un discorso cooperativo implicava un rinnovamento dei sistemi di lavoro precedenti che si basavano sulla concezione socialista.

“C’è una legge generica riguardo alle cooperative. La prassi pratica da importanza soprattutto alle cinque persone necessarie a comporre la cooperativa. Che poi spesso sono anche il numero massimo. Non si chiedono il perché stanno costituendo una cooperativa piuttosto che qualcos’altro. Quindi un lavoro che stiamo cercando di fare allo sportello delle cooperative è quello di spiegare il come si costituisce una cooperativa e il perché. Se uno va in comune, fa le fotocopie della carta di identità… è tutto molto semplice. Noi stiamo insistendo su il perché si fanno le cooperative, cosa vuol dire lavorare insieme, cosa comporta, non solo i vantaggi ma anche le responsabilità. Questo è un po’ lo scopo finale di tutto il lavoro di indagine. È molto importante avere dei gruppi locali perché hanno delle problematiche omogenee legate al territorio in cui vivono. E quindi il fatto di lavorare insieme semplifica molto le cose. Da molti anni se ne sono accorti anche loro… i problemi diminuiscono. È molto diverso arrivare lì da un giorno all’altro e dire domani farete una associazione e invece costruire un processo che dura tre anni. Capiscono da soli che c’è la possibilità di migliorare.”

92 Fa eccezione Mostar, insieme ad alcune municipalità dell’Erzegovina, perché caratterizzata da un conflitto bipolare.

La testimonianza riportata consente una riflessione al riguardo del nomadismo di idee e di pratiche esposto da Pazzagli (2004) per completare il quadro dei movimenti nomadici della globalizzazione. I progetti di cooperazione sono stati un’occasione di incontro e di formazione, hanno creato uno scambio di informazioni fra italiani e bosniaci. Il carattere partecipativo di molti interventi ha reso lo scambio reale e non un mero proposito scritto sul progetto e mai realizzato (Nardelli e Cereghini 2008). Uno fra i tanti casi esistenti è quello di ONG 2, ONG specializzata nel ritorno sostenibile cioè la ricostruzione delle abitazioni per i profughi e il loro reinserimento nella tessuto sociale di appartenenza. In dieci anni hanno ricostruito quasi mille case e hanno anche pubblicato libri riguardanti la loro esperienza. Nel 2007 il loro lavoro era molto ridimensionato e concerneva soprattutto la manutenzione dei parchi naturali. Goran, il responsabile locale di ONG 2, mi ha raccontato che per attuare la ricostruzione delle case nella municipalità di Sarajevo, hanno messo a punto un sistema di auto-costruzione, in cui i futuri inquilini lavoravano nel cantiere della loro stessa casa. Questa pratica è stata replicata in Italia, evidentemente con differenti motivazioni, ottenendo un buon successo.