• Non ci sono risultati.

La costruzione di un discorso che consideri le cause che hanno portato alla formazione delle condizioni del campo così come affrontato dalle iniziative di cooperazione porta a descrivere in modo articolato il conflitto avvenuto in BiH. Non ritengo necessario ripercorrere tutti gli eventi accaduti, per ragioni di spazio e di omogeneità testuale. Quello che invece intendo mettere in risalto è la frammentazione che ha caratterizzato la popolazione nelle diverse fasi della crisi. In particolare, la mia intenzione è mostrare attraverso quali modalità la frantumazione sociale è scaturita, si è propagata e trasformata nel tempo.

L’analisi storica deve perciò partire dalla situazione pre-conflitto, dando la possibilità al lettore di capire quali fossero le condizioni che caratterizzavano la società jugoslava verso la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80. Questo periodo è indicativo dell’incipit della trasformazione: sono gli anni in cui i primi movimenti nazionalisti fanno breccia nel Paese guidato da Josip Broz Tito. La costituzione adottata nel 1974 prevede una presidenza a nove, composta da un delegato di ogni

37 Todorova in proposito compie un pregevole escursus sul termine che riporto di seguito (2002). Alla fine del XIX

secolo il vocabolo balcanizzazione è stato utilizzato con connotazione politica: significava la frammentazione di vecchie unità geografiche e politiche in nuovi piccoli stati dall’esistenza fragile. Identificava in particolare la disgregazione dell’ impero ottomano, anche se la parola è stata creata dopo, nel primo dopoguerra. Nel 1921 Mowrer ha usato il termine per indicare la convivenza in una regione di tante razze mescolate o di un insieme di piccoli stati con popolazioni più o meno arretrate. In una seconda fase di utilizzo del termine, durante il processo di decolonizzazione, Du Bois ne ha parlato come strumento per perpetrare tra i popoli disgraziati della terra un sentimento di sventura e disonore e per razionalizzare la prassi con cui le potenze occidentali dominanti tenevano i paesi più piccoli all’interno della propria sfera di influenza. Infine, balcanizzazione è stato usato per espriemere un concetto contrario a melting pot . Attraverso il termine balcanizzazione l’immagine popolare dei Balcani è stata iscritta in una interpretazione popolare e spesso volgare, accostata a numerosi discorsi riguardanti le nozioni di razza, progresso, evoluzione, cultura e civiltà. (2002:65).

repubblica, uno per ognuna delle due regioni indipendenti di Vojvodina e Kosovo e Tito stesso. È stato il primo passo del passaggio di poteri alle repubbliche, processo poi favorito dalla crisi economica e dal forte indebitamento del Paese ed è sfociato progressivamente in una visione nazionalista della singola repubblica.

Alla morte del leader, nel 1980, il suo ruolo all’interno della presidenza veniva ricoperto a rotazione dalle altre otto parti. Le politiche nazionaliste si inaspriscono e i miti prodotti dalla propaganda portavano a false dicotomizzazioni (Donia e Fine 1994). Negli anni precedenti alla sua dissoluzione, il partito comunista jugoslavo un ombrello sotto al quale erano presenti molte idee differenti. La BiH può essere considerato come l’ultimo fronte di difesa di una idea di Jugoslavia federale piuttosto che statale. Fino al 1990 gli abitanti della BiH pensavano se stessi come Bosniaci, un termine che ha ancora motivo di essere utilizzato in quanto indica una categoria esistente che oggi è oggetto di ricostruzione.

Seguendo il principio della auto determinazione, concetto giuridico utilizzato per promuovere la liberazione da oppressioni esterne (di Francesco 1995) la Croazia e la Slovenia tentarono un passaggio pacifico dallo stato federale allo stato confederale. Ma la conseguenza di questa azione fu una perdita di potere da parte del partito comunista Jugoslavo, di fatto a danno della Repubblica di Serbia. In contrasto con le pretese secessioniste, la strategia della Serbia fu di mantenere unito il partito comunista e attraverso questo controllare la Federazione Jugoslava per realizzare il progetto di una Serbia allargata.

Le due repubbliche continuarono il loro proposito e nel 1990 formano i partiti nazionalistici per poter partecipare alle prime elezioni multipartitiche. In particolare, nacquero in Croazia l’HDZ (Unione Democratica Croata), mentre in Slovenia sorsero più partiti con un orientamento omogeneo38 e in Serbia l’SPS (Partito Socialista Serbo), ponendo al centro dell’attenzione le figure politiche che poi avrebbero caratterizzato gli eventi degli anni successivi: Tudjman per i croati, Peterle per gli sloveni e Milosevic per i serbi.

In Croazia, venne attuato un piano pre-elettorale per incrementare la paura del popolo Serbo di perdere la propria identità culturale a scapito della nascente Repubblica Croata. La necessità di difendersi39 instillata nei cittadini di origine serba che vivevano nella Krajna40 portò dunque ad un vasto sostegno nei confronti del nuovo partito nazionalista SDS, una variante regionale di quello ufficiale in Serbia. Malcolm sottolinea questo processo rivelandone la molteplice strategia: il bersagliamento della popolazione serba con disinformazione riguardo al terrorismo degli ustascia41; la guerriglia nei villaggi attraverso l’istigazione alla violenza contro la polizia creata ad hoc; la realizzazione di incidenti e la richiesta al governo di mandare l’esercito, composto prevalentemente da Serbi (1994).

Nel 1991 la Kraijna venne armata insieme alla parte serba della BiH, che nel frattempo era stata dichiarata da Milosevic regione autonoma. In questa fase furono organizzate forze paramilitari sotto il controllo serbo, come la Guardia Volontaria Serba e le “Tigri” di Arkan, che in seguito si sarebbero distinte per azioni militari cruente, spesso al di fuori delle regolamentazioni sui diritti umanitari di Ginevra.

La Slovenia incontrò meno problemi nel realizzare il proprio processo di indipendenza. Ottenne la costituzione nel 1989, in seguito uscì dal partito comunista (1990) e indisse il referendum per

38 Riporto per completezza il nome dei partiti sloveni: Slovenska demokratična zveza (SDZ); Socialdemokratska zveza

Slovenije (SDZS); Slovenski krščanski demokrati (SKD); Slovenska kmečka zveza; Slovenska obrtniška stranka; Zeleni Slovenije.

39 La difesa dei valori, della cultura e della libertà tornerà spesso nel dibattito politico bosniaco fornendo supporto ai

voleri nazionalisti. Malgrado celata dietro ad altri nomi, si tratterà sempre di difesa delle frontiere (Confronta Capitolo 6).

40 Zona della Croazia al confine con la Serbia.

41 Il termine ustascia veniva in origine usato dagli slavi balcanici per indicare coloro che lottavano contro i turchi. In

seguito fu ripreso dal croato di Bosnia Ante Pavelić per designare gli appartenenti al movimento nazionalista croato di estrema destra che si opponeva ad un regno di Jugoslavia federativo nonché dominato da elementi serbi (1928). Nell’ultimo conflitto è stato utilizzato per indicare le truppe irregolari croate e croate di BiH.

ottenere l’indipendenza con il 99% di risposte favorevoli. Gli scontri con l’esercito jugoslavo furono minimi, anche perché esisteva già un esercito ben organizzato e la presenza di cittadini serbi nel Paese era esigua.

Il 25 giugno del 1991 Croazia e Slovenia dichiararono la loro indipendenza. La risposta Serba, in settembre, fu l’inizio del bombardamento di Dubrovnik e l’invio di armate sul confine con entrambi gli stati. Nel 1992, le due repubbliche vennero riconosciute a livello internazionale e la Serbia dovette desistere dal continuare l’offensiva nelle regioni Croate, dove peraltro aveva causato già gravi distruzioni42.

In occasione delle elezioni politiche del 1990 i partiti politici bosniaci cambiarono nome, svelando maggiormente le idee che sostenevano. Quello di ascendente croato venne nominato HDZ, poiché emanazione del partito di Tudjman, con a capo Boban; quello serbo SDS, il cui leader era Karadzic, come il partito che in Croazia aveva agitato la Krajna. Susseguentemente fu formato anche il partito di matrice musulmana, SDA (Partito di Azione Democratica), con leader Izetbegovic. Questo fu caratterizzato da tratti di nazionalismo musulmano e allo stesso tempo dalla preservazione dei caratteri multireligiosi e multiculturali del Paese43.

I risultati in BiH confermarono la spinta nazionalista, con l’86% di adesioni che suddivisero i 240 seggi tra SDA, 86, SDS, 72, HDZ, 44. Venne in sostanza rispecchiato il quadro demografico della popolazione, a quel tempo composta da 44% Bosgnacchi, 31% Serbi e 17% Croati. Nonostante la retorica nazionalista venne creato un governo di coalizione (Donia e Fine 1994:212). Ma Izetbegovic, presidente Bosniaco musulmano, perseguì la linea dell’indipendenza, portando il Paese verso il referendum. La pretesa della BiH di uscire dalla Federazione Jugoslava venne presa come scusa da Milosevic e Karadzic per creare un piano d’attacco. In BiH venne applicata una tattica del terrore simile a quella usata in Croazia con la differenza che il pericolo venne identificato nei bosniaci musulmani. Nell’autunno del 1991 i centri di comunicazione vennero occupati e dal 2 Marzo del 1992, a seguito dei risultati del referendum, scoppiò ufficialmente la guerra e si ebbero le prime vittime.

In modo informale, frutto degli accordi tra Milosevic e Tudjman, prese piede la proposta di divisione della BiH tra Croazia e Serbia. Un elemento di supporto a questa politica fu la costituzione della Regione autonoma dei Serbi di BiH, con un proprio parlamento, già nel 1991. Mentre nel 1992 venne istituzionalizzata la creazione della Comunità Croata della Erzegovina. L’idea di difendere i diritti dei propri cittadini nella relativa regione autonoma continuò dunque ad essere presentato come il motivo principale per il proseguimento delle ostilità.