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Lo stato nazione come misura del globale

Lo stato nazione, in quanto forma geo-politica di riferimento nei ragionamenti riguardanti gli avvenimenti politici e sociali globali, viene messo in discussione dall’approccio transnazionale (Bianchini 2005). Nel corso degli ultimi cinquanta anni esso ha assunto forme mutevoli; se da un lato è stato individuato un percorso di rimescolamento delle sostanze formanti – territorio, cultura, popolo (Callari Galli 2004) – sotto la spinta del processo di globalizzazione, dall’altro è emerso come l’unione delle stesse sostanze sia ancora necessario o perlomeno strumentale ad alcune pratiche, considerate altre rispetto al sistema economico politico internazionale vigente, cioè il neo liberismo (Lee e LiPuma 2002).

La prospettiva determinata dalla globalizzazione ha identificato uno spazio post moderno e ha rivelato influssi significativi sulla territorialità, la quale risulta cambiata da processi di deterritorializzazione (Scholte 1998), conservando tuttavia la propria importanza grazie alla necessità rilevata in alcune zone del pianeta di applicare schemi politici basati su caratteristiche territoriali, come il nazionalismo etnico divampato in BiH nei primi anni novanta (Pandolfi 2006). Allo stato attuale bisogna riscontrare una sostanziale convivenza dei due modelli (Scholte 1998, Kaldor 2003). Per dirla con Baumann la globalizzazione divide per gli stessi motivi per cui unisce e lo fa nella stessa quantità (1998:24). Da questo punto di vista l’esempio della BiH risulta emblematico. Essa è stata coinvolta in due processi antitetici: la frammentazione della Jugoslavia nel 1991, da cui ha avuto inizio la sua storia di Federazione di Bosnia Erzegovina, e la collegata e conseguente partizione interna dello stato in due entità che rivendicano diritti autonomisti e secessionisti; dall’altro lato l’obiettivo di entrare nell’Unione Europea, oggi considerato il traguardo principale del Paese20.

Le differenze nei modi di pensare e costruire oggi lo stato nazione rispetto al passato sono riscontrabili dalla prospettiva geografica che ricorre nella letteratura politologica, sociale e antropologica di riferimento (Gupta e Ferguson 1992). È stata sancita una distinzione artificiale tra nord e sud, tra est e ovest, per descrivere i confini delle aree considerate. L’oriente e l’occidente sono divenuti categorie irremovibili, rappresentazioni fuorvianti, utili a strumentalizzazioni (Said 1991). Allo stesso modo il nord e il sud del mondo hanno segnato i due campi di una dicotomia spaziale ed economica. Tali figurazioni spaziali servono principalmente a separare gli stati nazione che rispondono alle caratteristiche del globalizzante – figura attiva esportatrice di colonialismo e

poi di politiche di sviluppo – da quelli che si possono considerare globalizzati, riceventi, spesso loro malgrado.

La configurazione creata propone il cambiamento dell’ordine degli stati nazione del XX secolo sotto un profilo di macroaree, in cui i globalizzanti aprono i confini territoriali al mercato, ai media e alle persone, generando fenomeni come la deterritorializzazione (Appadurai 1996), il transnazionalismo (Grillo e Riccio 2004) e il nomadismo contemporaneo (Callari Galli 2004). Allo stesso tempo, i globalizzati perdurano nell’esclusione formale e nel subire lo sfruttamento di risorse da parte dei globalizzanti, partecipando al globale solo in maniera nascosta (Hannerz 2001). Alcuni paesi globalizzano i loro scambi e stili di vita all’interno di una piccola comunità di paesi dalle simili condizioni economiche e sociali, favoriti dalla produzione industriale in zone economicamente vantaggiose. I restanti paesi, di fatto, non possono che consentire ai primi di globalizzarsi, traendone a loro volta benefici ma rimanendo esclusi dai movimenti legali21 in una sostanziale immutabilità della coincidenza delle variabili di territorio, cultura e popolo. Oppure auspicano questa coincidenza, nel caso non sia già preesistente, perché strumentale alla costruzione di percorsi di integrazione nel globale, o, all’opposto di legittimazione dell’alterità.

Nel contesto appena descritto, parlare di superamento dello stato nazione, in particolare in riferimento allo sviluppo complessivo mondiale, risulta poco efficace. Gli squilibri economici, sociali e politici hanno portato alla definizione di “primo mondo” e “terzo mondo” per riferirsi alle macroaree sopra menzionate22. Queste definizioni non paiono sortire l’effetto di politiche intenzionate a superarle. Esiste anzi un evidente problema di effetti nascosti o perversi dei progetti di sviluppo che dovrebbero avvicinare beneficiari e beneficiati (Ferguson 1994). In realtà è stato dimostrato quanto la distanza stia crescendo e quanto i nazionalismi si affermino proporzionalmente, perché se la globalità è l’ambito dell’indistinzione, l’esclusione risulta invece marcata da solidi confini (Iveković 1995).

Nel corso dei decenni si è andata affermando la teoria che l’innovazione nei campi delle telecomunicazioni e dei trasporti abbia rivoluzionato definitivamente gli equilibri mondiali portandoli verso un complessivo rimescolamento di culture e di genti (Baumann 1998, Appadurai 1996, Callari Galli 2004). L’effettiva verità di questi fatti non riceve una risposta sempre uguale dalla verifica nei vari Paesi. I fenomeni turistici sono ben diversi dai fenomeni diasporici che avvengono ad altre latitudini, ancorché prodotti dagli stessi mezzi, sicuramente non sono degli stessi contenuti. La mobilità dell’opulenza e degli affari contrasta con i viaggi della disperazione e la comunità dell’interscambio sa essere tanto ospitale con i suoi figli quanto esclusiva nei confronti dei diversi e degli altri a questo sistema (Iveković 1995). Anche guardando il problema dal punto di vista dei dati ci si rende conto che lo squilibrio esistente in favore dei paesi globalizzanti, maggiori detentori delle ricchezze, dei commerci, della mobilità e delle comunicazioni, è indice del mancato superamento dello stato nazione (Riccio 2005).

Il disequilibrio messo in luce nei precedenti capoversi porta a cercare spiegazioni nell’organizzazione dei processi globali. Si noterà dunque che esiste una sostanziale mancanza di

21 Si distingue qui tra i movimenti di persone condizione della globalizzazione, definiti indistintamente nomadismi

contemporanei da Callari Galli (2004). Da una parte ci sono i viaggi d’affari e il turismo di massa, modi legali di spostarsi, all’interno dei quali va citato anche il lavoro delle organizzazioni non governative e degli operatori della cooperazione internazionale. Dall’altra parte le migrazioni costituiscono un effetto indiretto della globalizzazione che non ha ancora avuto una risposta adeguata dagli stati di destinazione, rivelando la mancanza di preparazione a questo tipo di conseguenze. Anche i rifugiati fanno parte di questa seconda categoria. Sono spesso considerati come non persone a causa della mancata attribuzione a un luogo, costituendo una sorta di umanità in esubero (Rahola 2003). All’interno di questo testo essi riceveranno una particolare attenzione.

22 Il terzo mondo è un termine politico che sta ad indicare i paesi in via di sviluppo, contrapposti ai cosiddetti primo

mondo cioè i paesi sviluppati, democratici e capitalisti, e al secondo mondo, paesi socialisti e comunisti che gravitavano nell'orbita dell'Unione Sovietica. Il termine fu usato per primo dall'economista francese Alfred Sauvy agli inizi degli anni '50 per riferirsi ai paesi "non allineati" che rimanevano fuori dalla divisione nei due "blocchi" sovietico e americano. Entrò nel linguaggio nel 1955 durante la conferenza di Bandung (Indonesia), per distinguere i paesi in via di sviluppo, per lo più ex-colonie africane e asiatiche situate nell'emisfero sud del mondo, dai paesi ad economia di mercato e dai paesi ad economia centralizzata.

democratizzazione e sussistono asimmetrie statali nella rappresentanza internazionale. I parametri economici, quali regolatori dei rapporti internazionali, hanno creato le condizioni in cui viviamo attualmente. L’interesse economico, malgrado l’apertura dei mercati, non può prescindere da una localizzazione nazionale. La ricchezza che di fatto è prodotta su vaste aree, tutte in un modo o nell’altro influenzate, ha comunque uno stato di riferimento. Esiste una coincidenza fra le nazioni più sviluppate e industrializzate e la rappresentanza politica internazionale: l’esempio migliore sono i forum dei G8. In queste occasioni gli otto paesi più sviluppati del mondo si riuniscono per decidere le politiche produttive, e di conseguenza le politiche sociali del mondo intero, nonché i piani di sviluppo per i paesi più arretrati. Un altro esempio di rappresentanza limitata è il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui cinque Nazioni sono membri permanenti e detentori del diritto di veto sulle decisioni mondiali. Il WTO include 140 stati, ma almeno un terzo di essi non ha una rappresentanza permanente a Ginevra (Scholte 1998). Oppure, un altro esempio è la guerra in Iraq e la condivisione internazionale sullo schieramento di forze militari. Si delinea una condizione all’interno della quale l’intervento nella questione Bosniaca nel 1993 rappresenta un episodio avvenuto in un momento molto significativo, i primi anni del periodo post guerra fredda23.