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Box Esempio tempi di consegna sui flussi intercontinentali

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 106-117)

Considerando un’ipotetica tratta Singapore-Milano, nelle due varianti via Genova e via Anversa, emerge come, no-nostante la posizione geografica favorevole del porto di Genova, che consentirebbe un risparmio di quasi 800 miglia marine, il transito attraverso lo scalo italiano implichi una maggiore variabilità nel tempo stimato per il trasporto (compreso fra 20 giorni e 28 giorni), rispetto allo scalo belga (minimo 25 giorni, massimo 27 giorni). In queste circo-stanze gli operatori tendono a privilegiare la maggiore prevedibilità delle tempistiche, in quanto questo consente una migliore e più efficace programmazione logistica. Si tratta di un interessante esempio di come per gli operatori logi-stici internazionali l’affidabilità del servizio prevalga su altri elementi di valutazione quali un potenziale vantaggio in termini di riduzione del numero di giorni necessari per il trasporto.

Figura 36 – Tempi di consegna della merce sui flussi intercontinentali: Tratta Singapore-Milano via Genova o via Anversa

La riforma portuale e l’importanza del finanziamento privato

I temi trattati nei precedenti paragrafi dovrebbero servire quale base per la riforma portuale che il Parlamento dovrà discutere.

In un contesto di mercato caratterizzato da limitata disponibilità di risorse finanziarie pubbliche, si avverte infatti la necessità di favorire un sempre maggiore coinvolgimento dei privati nella realizzazione di investimenti infrastruttu-rali attraverso il ricorso più spinto a strutture di finanziamento in partenariato pubblico- privato (PPP) nonché tramite l’utilizzo di innovativi strumenti quali i project bond.

Tale esigenza emerge con grande evidenza nel settore portuale italiano dove risulta rilevante il problema connesso al finanziamento di progetti, anche di taglia medio-piccola. Sono numerosi i fattori che frenano la presenza di capitali privati, in primis il difficile coordinamento tra i vari livelli decisionali della P.A. (Amministrazioni Comunali/Provin-ciali/Regionali e Autorità Portuali), i cui interessi, a volte contrastanti, tendono a vanificare il buon esito di progetti portuali di grande valenza per il sistema produttivo locale e nazionale. Occorre, dunque, rimuovere le criticità del

sistema per rendere i porti italiani non solo vantaggiosi per l’operatività delle shipping company, ma anche attrattivi per la partecipazione diretta dei privati al loro ampliamento e efficientamento.

Per accrescere l’appeal dei nostri scali di fronte agli investitori, occorre una riorganizzazione generale dell’assetto operativo e di governance della portualità nazionale, effettuata a livello centrale. Da anni è in fase di elaborazione un progetto di riforma portuale che pone come obiettivi prioritari:

- una revisione del ruolo e del numero delle Autorità Portuali e dei comitati portuali. Il coinvolgimento dei privati richiede la presenza di un quadro di regole che assicuri certezza sui tempi e sui costi di realizzazione. L’incertezza in merito alle tempistiche e all’acquisizione finale del consenso di tutti gli enti coinvolti nelle Conferenze di Servizi tende a ridurre l’interesse degli investitori verso i porti nazionali. In questo ambito si rende necessaria, non solo una maggiore snellezza operativa, ma anche un incremento dell’autonomia finanziaria delle Autorità Portuali;

- un numero limitato di strutture/sistemi portuali per la gestione dei grandi flussi di traffico internazionale, indivi-duando per gli altri porti la vocazione più efficiente in relazione alle caratteristiche strutturali del singolo scalo e alle specificità del territorio/tessuto produttivo locale. In quest’ottica è utile puntare su sistemi portuali regionali o di area (c.d. multi-port-gateway region), in particolare con riferimento a quelli localizzati in corrispondenza dei grandi TEN-T corridor che hanno maggiori chance di penetrazione dei mercati dell’Europa centro-orientale;

- investimenti pubblici mirati per la connettività e l’efficienza delle infrastrutture a supporto del trasporto intermo-dale. L’interesse dei privati a partecipare ad un investimento nel settore portuale è dipendente non solo dalla affida-bilità del sistema, ma anche dalla presenza della garanzia dell’esecuzione in tempi certi delle opere infrastrutturali complementari al progetto che si vuole realizzare (raccordi ferroviari e autostradali; interventi sull’ultimo miglio, ecc.). Le infrastrutture terrestri (in primis servizi ferroviari efficienti) a supporto dei maggiori carichi da traspor-tare sono prerequisito fondamentale per attrarre capitali privati nel finanziamento di progetti di potenziamento di un porto.

Viste le difficoltà incontrate nella precedente legislatura nel percorso di approvazione della riforma portuale è oppor-tuno segnalare il suggerimento da più parti sostenuto a favore di una legge delega ad hoc in materia che possa affron-tare anche il tema del finanziamento con capitali privati.

Riforma dei porti: la nuova bozza di Regolamento UE

Il 4 aprile 2013 la Commissione ha diffuso una bozza di nuova Proposta di Regolamento sui porti europei avente una triplice funzione:

- regolare l’accesso al mercato dei servizi portuali: a tal proposito viene innanzitutto codificato il principio di libera circolazione dei servizi anche nel settore portuale. La Proposta riconosce e anzi legittima pienamente restrizioni all’accesso al mercato e alla prestazione dei servizi in ambito portuale, collegate ad esigenze di spazi e/o di interes-se pubblico, e cioè la tutela della sicurezza (intesa sia come safety che come interes-security), e la protezione dell’ambiente; - disciplinare la trasparenza finanziaria nei porti: gli obiettivi sono in questo caso modesti e la Proposta vuole sol-tanto, in sintesi, sancire un principio di trasparenza tra risorse pubbliche e investimenti nei porti. Le disposizioni sulla trasparenza finanziaria contenute nella Proposta, vogliono rendere tracciabili le risorse pubbliche investite nei porti, soprattutto per quei casi in cui l’Autorità del porto esercita anche attività di impresa;

- stabilire forme condivise di governance nei porti europei: la Proposta vuole introdurre nel settore portuale princi-pi invalsi in taluni porti europei, e già invece oggetto di norme specifiche negli aeroporti europei: nella proposta, il coordinamento implica soprattutto la presenza in ciascun porto di comitati consultivi che non hanno funzioni gestionali del porto, ma si confrontano con l’Autorità del porto su tutte le questioni rilevanti per la governance del porto stesso: dalle tariffe per i servizi, ai diritti portuali; dall’ampliamento infrastrutturale alle politiche ambienta-li. È importante sottolineare la possibilità per l’Autorità portuale di “promuovere” il proprio porto in chiave concor-renziale con altri porti mediante la scelta di politiche tariffarie promozionali per alcuni traffici.

La Proposta di Regolamento è parte di un più ampio disegno normativo che sta avanzando in parallelo. Nella Port Po-licy Review, e cioè nel pacchetto di norme che la Commissione europea ha pensato per il settore, la Proposta è accom-pagnata anche da una più ampia “Comunicazione” sulla crescita dei porti europei, un documento politico nel quale, in estrema sintesi, si tracciano le linee di sviluppo della portualità europea dei prossimi anni, legando in particolare i porti alle reti transeuropee di trasporto (TEN-T), e valorizzando quindi come potenziali destinatari di finanziamenti pubblici e segnatamente europei solo quelli che, a loro volta, costituiscono gli snodi delle TEN-T. Questo implica chiare ricadute anche a livello nazionale, poiché impone scelte infrastrutturali e di sviluppo selettive, e finalmente ragionate in chiave nazionale e non più locale. A latere della Port Policy Review stanno concludendo il loro iter legislativo altre due direttive, la prima sulle concessioni e l’altra sulle pubbliche forniture, idonee ad avere un potenziale impatto sulle stesse modalità applicative della Proposta, ad esempio in relazione alle procedure di selezione di determinati presta-tori di servizi portuali.

Alla base della Port Policy Review vi è la previsione di una crescita del 50% dei traffici portuali europei, da qui al 2030, con conseguente necessità di avere un quadro normativo armonizzato a livello UE, onde favorire gli investimenti, in un contesto normativo finalmente stabile e omogeneo tra Stati membri.

La governance portuale. Idee per una riforma

Alla luce delle riflessioni contenute nelle precedenti pagine la revisione della governance non può che passare, in pri-ma battuta, attraverso una profonda modifica dei meccanismi di coordinamento delle pubbliche amministrazioni che operano lungo la filiera logistica. Da questo punto di vista, il rafforzamento dei poteri di indirizzo e coordinamento delle Autorità Portuali è un elemento dirimente in una logica di efficienza delle infrastrutture portuali e di efficacia della catena logistica. In seconda battuta il processo di selezione e aggregazione delle Autorità Portuali deve essere coerente con l’esigenza di realizzare una massa critica sufficiente per raggiungere gli obiettivi di recupero della com-petitività delle principali filiere logistiche a livello nazionale ed europeo e colmare non solo i gap infrastrutturali ma anche quelli organizzativi che caratterizzano la portualità italiana.

Sulla base di questi presupposti l’Autorità Portuale deve poter rappresentare un Ente forte, rappresentativo e con fun-zioni di guida/indirizzo di sistemi produttivi complessi e rilevanti nelle prospettiva di crescita del sistema Paese. Tale approccio, in particolare, assumerebbe un importante rilievo anche per meglio affrontare l’asimmetria tra i grandi operatori globali e gli interlocutori “pubblici” locali e nazionali. Tale rafforzamento va perseguito unitamente ad un allargamento della Stakeholdership (area degli interessi) dell’Autorità da proiettare in una dimensione complessiva-mente sopravanzata rispetto al tradizionale perimetro portuale.

Per tale motivo il sistema portuale deve inoltre poter rappresentare il terreno di sperimentazione di un modello di federalismo non solo finanziario, ma anche di governo decentrato di sistemi complessi. Il porto infatti non può svilup-parsi se comandato a “distanza” dalle Amministrazioni aentrali.

Il funzionamento di un nodo logistico complesso quale il porto, oggi non può che esprimersi in termini di valore ag-giunto lungo tutta la filiera del trasporto, intesa sia dal punto di vista produttivo che sociale e tale valore è espresso anche dalla qualità della presenza pubblica che in tale nodo opera e dallo sviluppo di nuove forme di rapporto tra la stessa e il settore privato in cui gli obiettivi di crescita siano condivisi, innovativi e sostenibili.

Va sottolineata inoltre la necessità che qualcuno parli per il porto; la novità è che ciò non può più rappresentare una esercitazione meramente descrittiva, mestiere che più o meno bene già in oggi fanno le Autorità Portuali, ma deve svilupparsi in termini di effettiva guida e indirizzo di sistemi produttivi complessi che quotidianamente devono inter-loquire con gli attori della catena logistica. È quindi da sostenere uno sforzo per caratterizzare sempre di più l’Autorità portuale nella direzione del transport/community management; in questa accezione per funzioni di “regolazione” si intende un “governo” del mercato i cui obiettivi, precisi e definiti, siano quelli di garantire l’ingresso di nuovi operatori che siano di stimolo allo sviluppo.

Una port authority “facilitatrice” si caratterizza come un mediatore degli interessi economici e societari, nel senso appunto di ben sviluppate funzioni di management di comunità. Tale approccio è peraltro coerente con l’esigenza di poter “guardare” al di là dei confini del porto per tentare di coinvolgere la propria comunità in partnership regionali strategiche. Gli indirizzi della Commissione Europea sembrano essere coerenti con una rappresentazione dell’Autorità Portuale pienamente responsabile dello sviluppo strategico dei loro porti, che stimola il dialogo tra i diversi possibili

stakeholders ed interviene nei processi logistici e di mercato per salvaguardare gli interessi generali del porto. Per

inci-so, si evidenzia che qualsiasi diverso approccio è destinato a tradursi in un processo di progressiva marginalizzazione del ruolo delle Autorità Portuali sia sul piano domestico (vale a dire sulla capacità di governare il settore di riferimen-to), sia sul piano europeo ed internazionale; elemento questo che palesa tutta le sue implicazioni nel momento in cui iniziamo a discutere di “governo” dei corridoi transeuropei.

Proprio per essere utilizzata appieno anche in funzione della costruzione dei sistemi logistici integrati, il ruolo di indiriz-zo e coordinamento di Autorità Portuale nei confronti degli Enti e degli organismi pubblici nell’ambito dei porti deve po-ter in primo luogo incidere in po-termini effettivi sulle modalità e tempi di erogazione di alcuni fondamentali operazioni e attività all’interno del porto. Ciò anche in considerazione degli elevati margini di efficientamento che potrebbero ancora scaturire da un coordinamento e integrazione delle componenti pubbliche del sistema. È proprio in questo contesto che dovrebbero trovare spazio la promozione di forme di integrazione funzionale tra le diverse Amministrazioni che possano consentire, nel contesto delle profonde trasformazioni in atto nel Settore Pubblico, l’ottimizzazione delle risorse tecniche disponibili per lo svolgimento di attività di interesse comune tra Amministrazioni diverse.

Sotto questo punto di vista il Governo dovrebbe individuare strumenti incentivanti e premianti per le Autorità Portua-li che sono in grado di assumersi la responsabiPortua-lità delle performance della catena logistica di riferimento in una logica di progressiva autonomia finanziaria.

Accanto al ruolo di coordinamento sopra delineato si affianca il tema della pianificazione delle infrastrutture a livello di sistema e della promozione delle attività in una logica orientata al mercato e allo sviluppo di iniziative di

La strategia europea del core network e i porti in esso inseriti costituisce il punto di partenza per una revisione della portualità italiana verso nuove forme di governance che massimizzino la pianificazione integrata dell’intero sistema e una maggiore proiezione verso l’esterno delle attività che in porto di sviluppano alla stregua dei principali concorrenti nord europei.

Best practice internazionali

Circa il modello di governance da adottare è utile prendere ad esempio le esperienze dei grandi porti esteri. Da diversi studi effettuati20, emerge come i porti presso i quali vengono movimentati i maggiori volumi di traffico containeriz-zato tendano a privilegiare logiche ispirate a criteri di mercato, nonché a disporre di una maggiore autonomia finan-ziaria per il sostegno diretto dei piani di investimento e di sviluppo. Tali caratteristiche consentono loro di beneficiare della flessibilità richiesta dal contesto di crescente competitività.

Un esempio positivo è dato dal porto di Amburgo di cui vengono elencate brevemente le caratteristiche:

• HPA appartiene totalmente alla città Anseatica di Amburgo che ha le caratteristiche equivalenti ad una Regione italiana. Trattasi ovviamente di struttura pubblica. La HPA gestisce tutte le infrastrutture portuali sia verso il mare che verso terra. Essa è responsabile del “Port Strategic planning” per dare risposte alla domanda di adeguamento infrastrutturale. HPA è pertanto responsabile di dragaggi e opere di ingegneria, infrastrutture, rete ferroviaria all’interno del porto, banchine, piazzali, ponti, gru etc. La HPA vive di affitti per le aree cedute in concessione ai vari operatori del porto.

• HHM Hamburg Hafen Marketing. Questa è un’associazione senza scopo di lucro partecipata al 40% da HPA e da 60% da circa 300 soggetti che operano sul porto di Amburgo. È stata scelta l’associazione senza scopo di lucro essen-do questa la forma legale che permette la PPP public-private partnership. HHM con un ruolo assolutamente neutrale, gestisce la promozione del porto di Amburgo nel suo complesso. HHM porta in giro per il mondo i servizi disponibili nel porto di Amburgo e a richiesta sui possibili interlocutori operativi, consegna un elenco di tutti gli operatori se-parati per tipologie presenti sul porto. Quindi HHM non interviene in alcuna trattativa commerciale limitandosi a disseminare le caratteristiche della totalità dell’offerta dei servizi disponibili. È una struttura snella di 10 addetti. Il Capo struttura cambia ogni anno. La Direzione viene affidata ad una personalità di indubbio prestigio internazio-nale nel campo marittimo a fine carriera(ex Amministratore delegato di Compagnia di Navigazione, o di Operatore Portuale, personalità di mestiere). Ovviamente gli Operatori singoli presenti sul porto vanno essi stessi a vendere i loro servizi in regime di concorrenza.

• La Water Police (i servizi di capitaneria) per il porto di Amburgo sul fiume Elba e per 20 Km sul fronte mare sono essi stessi gestiti dalla “City of Hamburg” per una legge, vecchia di più di 100 anni, che ha affidato questo servizio alla Regione.

Questo è anche il modello di Bremerhaven e di Rotterdam con piccole differenze geografiche e politiche. In pratica si tratta di una struttura molto semplice basata su tre livelli. L’autorità portuale, l’ente di promozione marketing e la “Water Police” per salvaguardare le coste, i confini e la sicurezza. Pur accettando un maggiore ruolo delle funzioni di “Water Police” per le migliaia di chilometri delle nostre coste, si fa fatica a giustificare un impianto organizzativo molto più complesso. È possibile considerare questo modello e valutare la possibilità di importarlo in Italia e a quali condizioni e con quali strumenti?

Lo stesso ruolo della Holding Hafen Marketing potrebbe essere assunto anche in Italia sotto la forma di associazione a scopo di lucro, oppure, più radicalmente, sotto una forma di SPA a capitale pubblico.

Cinque aggregazioni portuali

Il dibattito sul ruolo delle autorità pubbliche di Governo dei porti, che sia ottimale rispetto ai processi economici in atto a livello globale e continentale, è oggi in Europa molto vivace, ma non è approdato a soluzioni condivise. Pesa in-fatti il diverso assetto istituzionale esistente nei vari Paesi derivante, a sua volta, da tradizioni amministrative, anche largamente diverse.

Per liberare l’enorme potenzialità della portualità italiana occorre liberarci dai retaggi culturali che impediscono ai sistemi multi portuali capaci di raggiungere una dimensione di scala necessaria per competere sul mercato mondia-le. La competizione complessiva si sta spostando sempre più dalle singole strutture alle aree sistema. Sino ad oggi la mancanza di una strategia nazionale dei trasporti, chiara e organica, capace di sceglierei porti/archi portuali su cui puntare e su cui concentrare le risorse, ha lasciato i nostri scali esposti ad una forte concorrenza interna, che è andata a totale beneficio dei competitor esteri. Nella fase attuale occorre ragionare in un’ottica di cooperazione, individuando alleanze strategiche, commerciali e organizzative, tra porti che insistono su una stessa area.

Una reale autonomia in capo a veri poteri di coordinamento è condicio sine qua non per interloquire con il grande

shipping o i grandi operatori logistici nello stesso modo nel quale questo avviene ad Anversa, Rotterdam od Amburgo.

Al giorno d’oggi le principali funzioni delle Autorità Portuali, soprattutto nell’area dell’Europa mediterranea, sono quelle di regolatore e di “landlord” delle aree amministrate. Tali funzioni si estrinsecano fondamentalmente nella assegnazione a terzi delle aree in concessione. Come sopra specificato le Autorità Portuali anglosassoni e anseatiche hanno più ampi poteri di vendita e di assegnazione delle aree. Inoltre, hanno più ampie funzioni di regolazione in quanto includono, in genere, le Capitanerie di porto. Nel Regno Unito, poi, è in atto da alcuni anni un processo di inte-grale privatizzazione dei porti. Tuttavia, questo quadro variegato non impedisce di cogliere alcune tendenze comuni. Una tendenza, come delineato nei punti precedenti, è quella che vede sempre più attive le Autorità quali community

manager: cioè soggetti coordinatori e funzionalizzatori della complessa rete di soggetti (pubblici, misti e privati) e di

processi (amministrativi e commerciali) che hanno sede nel porto.

In sintesi i sistemi portuali inclusi nel core network, dopo Connecting Europe, non possono essere visti in chiave autar-chica (o autonomista), ma come pezzi e strumenti di una rete che include ed integra le infrastrutture di connessione. Il buon funzionamento del porto non serve se l’infrastruttura di connessione della quale il singolo impianto portuale fa parte non funziona, se non si realizzano i tratti del corridoio essenziali per vendere il servizio nel suo complesso.

Per questo motivo si ritiene opportuno dare luogo ad Autorità portuali con competenze simili alla legge 84 distin-guendo fra sistemi di porti core europei e porti non inclusi nel core network. Per far fronte alle sopracitate criticità ed adattarsi al mutato quadro globale si propone di studiare le forme di aggregazione di 5 Autorità Portuali di rilevanza Europea (APE) come suggerito dall’Allegato Infrastrutture. L’assunto di base della proposta, che di seguito si formula in maggior dettaglio, è che la geografia stessa del Paese impedisce l’attrazione di grandi volumi di traffico da e per i porti italiani se non si dà vita a forme di coordinamento (non previste, e anzi scoraggiate, dall’attuale normativa) fra alcuni archi geografici, terminali delle principali reti trans-logistiche europee: Alto Tirreno (Porti liguri e Livorno),

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 106-117)