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Partecipazione dei cittadini

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 183-189)

Fase propedeutica all’affidamento ed esecuzione delle opere pubbliche *

Proposta 12 : Riallineare i processi di approvazione basati sul Piano nazionale e sulla valutazione degli investimenti delle opere pubbliche e quelli di programmazione di bilancio

4. Partecipazione dei cittadini

Sarebbe un errore credere che i processi partecipativi possano, da soli, risolvere alla radice il problema dei conflitti sulle infrastrutture, piccole e grandi che siano. Tali conflitti, infatti, riguardano spesso una sfera differente, quella del-la decisione, in quanto hanno origine da una oggettiva asimmetria fra vantaggi e svantaggi derivanti dall’infrastrut-tura. In tali casi si deve solo prendere atto che vi sono interessi legittimi contrastanti che possono/devono essere difesi dalla istituzione competente. È inutile cercare di convincere il piccolo comune che l’opera è di interesse più vasto: se è di interesse più vasto, il vero nodo sta nel fatto che essa andrebbe decisa dalla istituzione rappresentativa di quella scala di interessi, bilanciando correttamente responsabilità del decisore, diritto all’informazione, funzioni consultive e poteri di veto all’ente rappresentativo di scala inferiore. Insomma, nell’affrontare questo tema, occorre evitare con-fusioni tra disfunzioni del sistema di informazione e di partecipazione e disfunzioni del sistema della decisione. Un’azione amministrativa in grado di attivare processi partecipativi può invece avere un importante effetto preventivo almeno nei confronti dei conflitti particolarmente acuti e violenti, avviandone la gestione su binari concreti e mettendo in luce una serie di dati che spesso non sono noti, neanche ai diretti interessati. Inoltre, accompagnata ad una corretta gestione delle decisioni, può avere effetti positivi su quei conflitti che assumono la forza di impedire scelte pubbliche rispondenti ad un riconosciuto e forte interesse generale (contribuendo a disinnescare poteri impropri di veto).

L’intervento delle popolazioni direttamente interessate attraverso forme partecipative deve mirare – e può riuscirvi con successo – a riportare la dialettica sulla natura del progetto piuttosto che sui valori di fondo di cui esso sarebbe portatore (tipicamente tutela del territorio versus sviluppo economico): i conflitti, così declinati, assumono infatti una portata generale che sposta la discussione dal piano locale del progetto a quello vasto dei principi, con il risultato – spesso – di travolgere anche interventi che potrebbero avere effetti positivi per le stesse popolazioni residenti nei territori interessati. I conflitti non incanalati in forme partecipative mature hanno la caratteristica di non raggiungere quasi mai il livello di analisi che permetterebbe di valutare e quantificare gli effetti di un’opera. Ciò avviene, in Italia, anche a causa della debolezza e scarsezza delle ACB, e quindi di studi attendibili che misurino e rendano note (sia ex

ante, che ex post) tutte le esternalità – e dunque anche quelle positive – delle grandi opere. Ad esempio, nel 2012, le

Università di Bologna e di Firenze hanno validato un’ACB che ha evidenziato che nel caso dei cantieri della Variante di Valico a Grizzana Morandi (Bo) i benefici derivanti dalle opere compensative sono stati nettamente superiori ai disagi creati dagli impatti negativi (esternalità) generati dall’attività dei cantieri38. Eppure si tratta di un’opera che ha incontrato forti resistenze sul territorio.

Proposte per l’introduzione anche nel nostro Paese di procedure istituzionalizzate di partecipazione pubblica preven-tiva in occasione della programmazione di grandi opere infrastrutturali sono in circolazione da tempo e sono state avanzate anche dalle tre associazioni e fondazioni firmatarie di questo Rapporto39. Una proposta in questo senso ha di recente trovato posto anche in un ddl discusso nel Consiglio dei Ministri alla fine di ottobre del 2012 ma poi non presentato in Parlamento per il sopraggiungere della crisi politica (Schema del disegno di legge recante norme e deleghe

in materia di infrastrutture, trasporti e territorio, art. 4).

38 Vedi rivista “Variante News” edita da Autostrade per l’Italia Spa, numero 29 del 2012.

Si sconta qui un ritardo evidente della legislazione italiana. Tuttavia, prima di introdurre una normativa statale ad hoc può risultare utile soffermarsi su alcuni aspetti problematici, messi in luce anche dall’esperienza di altri paesi ben più attrezzati del nostro in questa materia, e sviluppare una riflessione focalizzata sulle possibili interazioni fra questa innovazione normativa e le caratteristiche specifiche del “sistema” italiano.

In primo luogo occorrerebbe scongiurare il rischio che le procedure di partecipazione siano vanificate dalla ordinaria lunghezza e incertezza dei tempi (patologicamente accentuate in Italia) richiesti dal processo pianificatorio, proget-tuale, autorizzatorio, di finanziamento delle opere. Istruttiva, sotto questo profilo, può risultare l’esperienza francese dell’aeroporto di Notre-Dames-des-Landes, opera sulla quale il conflitto si è recentemente riacceso in forme molto radicali, pur essendo stata svolta già nel 2002-2003 una procedura di debat public40. Secondo la stampa specializzata

una delle cause di questo insuccesso risalirebbe al contesto geografico e temporale oggi mutato (rispetto al 2002-2003) in termini sia di componente socio-demografica della regione, sia di attori politici e istituzionali. È facile immaginare quanto questo fattore inciderebbe in un contesto come quello italiano, nel quale – giusto per fare un esempio – il primo studio di fattibilità della BreBeMi, opera tuttora in corso – risale al 1997!

In secondo luogo, per partire sempre dalla concretezza della situazione italiana, occorrerebbe accuratamente evitare che le procedure partecipative entrino in corto circuito e diventino pretesto per accentuare e giustificare quella che è una delle più gravi distorsioni del nostro sistema: l’abitudine a rimettere continuamente in discussione decisioni già assunte. Con effetti di deresponsabilizzazione delle amministrazioni e dei decisori politici.

L’introduzione di procedure partecipative dovrebbe, quindi, essere strutturata in modo da rappresentare un elemento di trasparenza e di facilitazione delle fasi decisionali, evitando di essere piegata alla logica interna di un sistema ma-lato di instabilità, scarsa trasparenza e perenne reversibilità delle decisioni.

Il tentativo che va fatto è allora quello di ipotizzare una normativa sulla partecipazione quale opportunità per incidere anche su altre criticità e ritardi specifici della situazione italiana.

In particolare, si propone – in primo luogo – di tentare di collegare la soluzione del deficit partecipativo con quella di un altro fenomeno distorsivo, che con l’eccesso di conflitti spesso si intreccia: quello delle compensazioni. Nato da una corretta esigenza di bilanciare le asimmetrie distributive create da alcune infrastrutture, la compensazione si è trasformata sin da subito in un fattore incontrollato di innalzamento dei costi, di incertezza sui tempi di realizzazione, di allontanamento di potenziali investitori privati. Ma soprattutto, in uno strumento di rafforzamento proprio di quei poteri di veto che andrebbero invece ridimensionati; insomma in una distorsione delle funzioni pubbliche. Questo fenomeno dipende da un deficit di regolazione, anche nella comparazione con altri paesi che hanno, meglio di noi, saputo stabilire un nesso di relazionalità (in link) fra opera e tipo di compensazione41.

In secondo luogo, gli effetti “di sistema” della procedura di partecipazione pubblica dipendono strettamente dalla qua-lità e attendibiqua-lità della valutazione. La valutazione è precondizione essenziale della partecipazione e buona norma sarebbe che il legislatore sviluppasse le due procedure in parallelo. Dunque, la qualità della documentazione che viene posta alla base della procedura di partecipazione, e quindi degli Studi di fattibilità (o meglio ancora degli Studi di

pre-40 http://debatpublic.fr/print.html?id=5&type=debats_mo_ouverts

fattibilità) e dei progetti: porre a base di una complessa procedura partecipativa un documento che si rivela – nelle fasi successive – inattendibile moltiplica gli effetti negativi dell’errore originario. La procedura partecipativa dovrebbe quindi avvenire obbligatoriamente su una documentazione, allo stesso tempo, più attendibile e meno tecnica di quella oggi rappresentata da molti c.d. “Studi di fattibilità”.

Infine, la procedura partecipativa – almeno sulle grandissime opere, così come su alcuni importanti scelte di pianifi-cazione – utilizzata come strumento di aiuto alla decisione e quindi associata alla deliberazione degli organi rappre-sentativi, dovrebbe essere concepita come uno elemento di stabilizzazione delle decisioni di medio termine e messa al riparo dagli effetti del ciclo elettorale e del cambio di maggioranze42. Infatti, è proprio in questa mancanza di stabilità che risiede una delle più tipiche patologie del nostro sistema decisionale in materia.

Fra le varie forme partecipative di cui è ricca l’esperienza internazionale43 il più vicino alle nostre esigenze sembra essere quella del dibattito pubblico previsto dalla normativa francese (di carattere consultivo). Tuttavia, non si tratta di trapiantare quel modello, che per molti aspetti è incompleto rispetto alle nostre esigenze, per altri non idoneo. Occorre invece identificare i capisaldi di un confronto partecipativo radicato nelle specificità del sistema italiano, che potrebbero essere pochi e ben definiti:

1. I procedimenti di confronto partecipativo sono distinti logicamente dalle procedure decisionali: le patologie della decisone non possono essere (tutte) risolte dalla partecipazione, mentre è vero che tali patologie possono vanifi-care gli effetti della partecipazione stessa. Ciò che è invece importante è che il confronto partecipativo sia quanto più strettamente connesso – cronologicamente e funzionalmente – agli effettivi momenti decisionali. Ciò significa evidenziare la correlazione fra la decisione assunta dagli organi politici e amministrativi competenti e l’esito del confronto svolto, senza ipotizzare necessariamente un nesso causa-effetto. Dallo svolgimento della procedura di confronto devono decorrere tempi definiti, brevi e vincolanti, per l’assunzione di una serie di decisioni amministra-tive e politiche. Il momento partecipativo dovrebbe quindi rappresentare un’opportunità per concentrare il proces-so decisionale, e quindi tutto ciò che lo deve supportare (pareri, autorizzazioni, nulla osta, ecc.), attorno a pochi momenti ben scanditi (sostanzialmente due, come si dirà più avanti);

2. Pertanto dovrebbero essere presi in considerazione almeno due (o tre) livelli e corrispondenti procedure partecipa-tive: (1) il confronto pubblico sullo studio di pre-fattibilità; (2) il confronto pubblico sulla formulazione progettuale che prelude alla decisione pubblica di finanziare l’opera (o di contribuire al suo finanziamento). Va poi considerata l’ipotesi di introdurre anche una terza forma di confronto pubblico: (3) quello sulle proposte di programmazione, qualora queste assumessero, nel processo di riforma, la rilevanza qui auspicata (vedi il paragrafo 1);

3. Il secondo dei procedimenti partecipativi sopra delineati (il “confronto sul progetto”) dovrebbe includere una fi-nalità di “territorializzazione” del progetto e svolgersi in parallelo con la definizione – nelle sedi istituzionali, in forma trasparente e in collaborazione con tutti gli enti territoriali – del complesso degli interventi (oggi

denomina-42 Che non ci sembra essere, invece, quello che sta avvenendo a Genova dopo il dibattito pubblico sulla “Gronda”. In questo caso, infatti, il dibattito pubblico ha indubbiamente stabilizzato le conoscenze e posto fine ad una conflittualità diffusa sull’argomento, ma – non essendo dotato di alcuna rile-vanza istituzionale – non ha vincolato in alcun modo le autorità responsabili dei vari passaggi procedurali a dare avvio ad atti formali. Ad oggi (aprile 2013) le procedure di VIA nazionale sono quasi ultimate e a queste dovrebbe seguire l’ultimo passaggio formale che consiste nella firma del Ministro.

ti) “di compensazione”, collegati funzionalmente all’opera principale, sia quelli a carico del promotore dell’opera principale, sia quelli eventuali di accompagnamento a carico di altri soggetti locali. L’enfasi deve essere qui posta sulla attuazione delle previsioni di piano non ancora attuate, o comunque su interventi che non sconvolgano la pianificazione territoriale già disposta, ma la attuino o la integrino con la finalità di fare della nuova infrastruttura una occasione di riordino del territorio. Potrebbe, ad esempio, ipotizzarsi che la procedura di territorializzazione si conclude con la definizione di una serie di misure, ciascuna delle quali deve sottostare ad almeno due delle se-guenti condizioni:

a. essere in stretta connessione funzionale con l’intervento progettato; b. essere attuativa di uno strumento di pianificazione vigente;

c. apportare effetti migliorativi in termini di qualità ambientale, paesaggistica o territoriale;

4. I procedimenti partecipativi – e in modo particolare il “confronto sul progetto” – coinvolgono anche le ammini-strazioni di settore e gli enti territoriali. Si tratta qui di riprendere la proposta di una struttura di missione, fun-zionalmente preposta alla composizione degli interessi centrali e periferici e alla definizione del progetto e loca-lizzazione sul territorio44. L’attività di tale struttura – finalizzata alla localizzazione e “territorializzazione” dei progetti – si intreccia con la procedura di confronto partecipativo. Le riserve non sollevate e le posizioni assunte in questa sede non potranno essere contraddette da atti di diverso contenuto degli enti e delle delle amministra-zioni stesse nelle fasi successive dell’iter attuativo, pena la nullità degli atti stessi; anche questo collegamento gioca un ruolo cruciale di “stabilizzazione” delle decisioni e di responsabilizzazione degli attori;

5. Le procedure partecipative dovrebbero essere coordinate e arbitrate da soggetti indipendenti e percepiti come tali dai cittadini. Non si tratta di creare nuove superfetazioni burocratiche, né di disconoscere il ruolo della PA, ma di gestire al meglio un dato di carattere sociale: spesso la diffidenza nei confronti dell’amministrazione pro-motrice dell’opera è diffusa e ciò allontana (verso posizioni di mera contestazione) coloro che non hanno fiducia nella trasparenza delle informazioni e nel pari trattamento di tutte le posizioni presenti. Il report finale del con-fronto da trasmettere alle autorità competenti deve invece essere imparziale, secondo una corretta distinzione di ruoli;

6. Una volta consolidato, il nuovo istituto potrebbe essere accompagnato da norme premiali nei confronti delle progettazioni che garantiscono la migliore integrazione nei rispettivi territori dal punto di vista dell’accettabilità sociale dell’intervento. Lo svolgimento di una procedura di confronto pubblico, con l’eventuale conformazione dei successivi progetti alle risultanze della procedura stessa, potrebbero essere considerate – con una gradazio-ne da definire attraverso norme specifiche – titolo preferenziale di cui gli organi decisori devono tegradazio-nere conto o parametro per l’aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, o – in casi circoscritti – condizione per l’aggiudicazione.

In merito al punto 4, si riporta testualmente uno stralcio di quanto già veniva proposto nel 2009 nel Rapporto di

ita-liadecide “Infrastrutture e territorio”:

“La struttura di missione è un organismo funzionalmente preposto alla composizione degli interessi centrali e perife-rici e all’elaborazione di un complesso di attività prodromiche alla realizzazione dell’opera, articolato in una sequenza procedimentale pluristrutturata. Funzioni, compiti e strutture sono disciplinati da apposito accordo, in quanto ammi-nistrazione “di durata”, ai sensi dell’art. 15 l. 241/1990.

La struttura di missione si articola secondo due livelli. Del primo livello, propriamente politico, fanno parte tutte le amministrazioni d’apice coinvolte dall’opera, e in ogni caso, l’amministrazione delle infrastrutture, quella dei beni culturali, dell’ambiente e della salute e, se del caso, quella dello sviluppo economico, attraverso i rispettivi rappresen-tanti (ministri, presidenti di Regione, di Provincia, sindaci o assessori delegati).

Al secondo livello, propriamente tecnico, vi partecipano tecnici a livello dirigenziale delle amministrazioni interessa-te, ivi comandati dalle amministrazioni di provenienza. […] Nell’ambito dell’attività della struttura di missione sono svolte tutte le necessarie mediazioni tecniche e politiche tra gli interessi coinvolti, al fine di addivenire a un progetto dell’opera che tenga conto delle esigenze poste dalla tutela degli interessi medesimi, in una ragionevole e proporzio-nata strategia di composizione “in nome” dell’interesse alla realizzazione dell’opera”.

In merito al punto 5, è consigliabile non definire ulteriormente – in questa sede – la struttura della Commissione na-zionale. Questa definizione potrà essere realizzata all’interno di un riassetto di altri organi centrali titolari di funzioni strategiche (vedi proposta 10, relativa alla istituzione di una Struttura centrale di pianificazione strategica).

Tuttavia, sul piano metodologico generale, è opportuno sottolineare come la nostra legislazione tenda a sottovalutare queste funzioni di valenza invece strategica, attribuendole impropriamente a strutture troppo esili (vedi, per il PF, la tormentata vicenda dell’Unità Tecnica Finanza di Progetto) o già oberate di funzioni operative. Questa tendenza riduttiva emerge anche dal ddl predisposto dal Governo nell’ottobre 2012 che, all’art. 4, comma 3, si prendeva cura di specificare che “la consultazione pubblica è avviata e diretta, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dal Provveditorato interregionale per le opere pubbliche competente per territorio, in coordinamento con il Prefetto titolare della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo della provincia capoluogo della Regione interessata”. Tale scelta riduttiva si riflette anche nella mancata predisposizione di risorse per le procedure di confronto, inficiandone alla base ogni potenzialità.

Rimangono poi le ulteriori raccomandazioni (in gran parte già formulate, lo scorso anno, all’interno di una proposta elaborata da italiadecide e Avventura Urbana):

Le norme di legge introdotte dovrebbero essere sperimentate durante un arco temporale sufficiente a fornire indica-zioni in merito al loro assorbimento da parte di un ambiente amministrativo e decisionale complesso e conflittuale come quello italiano (3 anni).

In questa fase sperimentale è opportuno prevederne l’applicazione obbligatoria solo per alcune grandi infrastrutture di valenza nazionale e che impattano su territori vergini, escludendo comunque gli interventi che impattano su cor-ridoi già esistenti. È comunque opportuno definire anche ipotesi di iniziativa dal basso: la legge potrebbe attribuire tale facoltà a uno o più consigli regionali, comunali o provinciali e a un numero determinato di cittadini. Le Regioni dovrebbero inoltre essere invitate – dalla stessa legge – ad adottare procedure analoghe per le opere di interesse re-gionale o locale.

Il procedimento di confronto partecipativo deve sempre avere ad oggetto elaborati tecnici leggeri e non specialistici. Anche il confronto sul progetto deve prevedere l’elaborazione di sintesi che semplifichino e rendano leggibili i docu-menti progettuali.

Il procedimento deve avere tempi certi e brevi: non più di 120 giorni dal momento in cui la documentazione di base, redatta in linguaggio non tecnico, viene consegnata.

Il procedimento si conclude con un documento non vincolante che dà conto con oggettività di tutte le posizioni e de-gli argomenti emersi nel corso del confronto. Il documento può recare proposte per l’“accompagnamento” dell’opera anche nelle fasi successive di progettazione e di esecuzione, con successive iniziative puntuali e di confronto o con l’istituzione di sedi fisse per la comunicazione, la pubblicità dei dati e il coinvolgimento degli attori locali. Il documen-to può anche proporre successive iniziative (patti a valenza terridocumen-toriale) per facilitare la realizzazione degli interventi attraverso il concorso delle istituzioni locali, delle imprese e delle organizzazioni presenti sul territorio.

Chiarimento terminologico: confronto / consultazione

Il confronto partecipativo e la consultazione pubblica sono due concetti sostanzialmente diversi ed è opportuno – prima del varo di una normativa – metterne in evidenza le differenze. Il confronto partecipativo fonda le sue radici nella democrazia deliberativa, in cui le decisioni vengono prese in una discussione basata su argomenti. Il confronto è strutturato con modalità che facilitano l’ascolto reciproco e il dialogo fra attori con punti di vista diversi (individuati in modo da rappresentare, più ampiamente possibile, il ventaglio delle posizioni). È orientato a “mettere alla prova” gli argomenti, conducendo gli interlocutori ad apprendere nuove informazioni, a conside-rare nuove angolature del problema e a scoprire aree di interesse comune. In ultima istanza può – anche se non è sempre detto – generare delle alternative, inizialmente non prospettate, per la soddisfazione degli interessi. La consultazione invece prevede l’espressione di un pubblico indistinto su opzioni costruite a priori. Non prevede ascolto, dialogo o apprendimento, non può generare opzioni aggiuntive, ma favorisce la quantificazione delle pre-ferenze su delle scelte date. È un metodo da ascrivere agli strumenti di democrazia diretta (come i referendum) che si dimostra molto adeguato quando le alternative esistenti per risolvere un problema sono chiare a monte. Può essere facilitato dall’uso nuove tecnologie, con la cautela di compensare le asimmetrie esistenti nella capacità di espressione sul web da parte dei cittadini.

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 183-189)