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Il tema del lavoro

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 97-106)

Box Esempio di confronto strada rotaia (Venezia/Trieste – Monaco)

ALTERNATIVA B VENEZIA-MONACO

8. Il tema del lavoro

È importante tenere conto con priorità delle caratteristiche e delle esigenze della forza lavoro. La forza lavoro rappre-senta una componente significativa nel settore della portualità, della logistica e del trasporto. Nell’interesse globale del Paese va analizzato come sia possibile conciliare la visione dei lavoratori con le esigenze della competizione glo-bale. Tema questo, ampiamente trattato in chiave europea nel recente studio elaborato da ITMMA17 per European Sea Port Organization: Il lavoro portuale e l’occupazione correlata nel sistema portuale europeo:

“I porti europei sono importanti generatori di lavoro. Le navi, la merce, le attività industriali e i servizi nelle aree por-tuali generano effetti diretti sull’occupazione. I cluster logistici e industriali nel sistema portuale europeo impiegano una consistente forza lavoro in relazione alle operazioni di imbarco e sbarco delle navi, ai servizi ed altre operazioni alle navi (agenzie, pilotaggio, rimorchio e bunkering), ai trasporti terrestri, alle attività logistiche, ai servizi alle merci (spedizioni e servizi doganali) alle strutture produttive industriali e alle agenzie governative. Le competenze dei lavo-ratori coinvolti nel processo portuale e le interazioni tra di loro contribuiscono alla competitività dei porti. Le attività portuali determinano anche una vasta gamma di effetti indiretti sull’occupazione, attraverso il collegamento degli scali portuali con altri settori economici e l’interazione spaziale con grandi poli logistici ed economici esterni alle aree portuali.(…). La portata degli effetti occupazionali delle attività portuali dipende dai confini dell’economia che viene analizzata. La natura sempre più internazionale dei porti e delle attività marittime e le caratteristiche delle reti di produzione globali e della catena di fornitura fanno sì che gli effetti occupazionali delle attività portuali si sviluppino in modo crescente da un livello portuale locale a un livello regionale o sopranazionale”.

Il Paese va verso una economia di servizi è quindi ovvio che tale settore rappresenterà la frontiera del nuovo impiego con mansioni sicuramente più specializzate e qualificate, quindi meglio remunerate.

La domanda di lavoro beneficierà nella misura in cui un recupero di competitività del settore logistico-portuale favo-rirà un incremento dei volumi operativi. Di conseguenza, a livello macroeconomico non vi sono impedimenti di prin-cipio a conciliare l’incremento dell’efficienza, la competizione globale e le esigenze dei lavoratori.

Non potendo giustamente competere in termini di costi e tutele rispetto ai concorrenti nel Mediterraneo del Sud biso-gna puntare sulla produttività e sull’efficienza. Per altro il nostro costo del lavoro è ancora inferiore rispetto ai Paesi del Nord Europa, è quindi importante che alla desiderabile convergenza della remunerazione del lavoro, vista anche la drammatica caduta di domanda interna che sta affossando il nostro Paese, si accompagni la convergenza della produttività e dell’ efficienza.

Il sistema di regole che presiedono al lavoro portuale ha certamente bisogno di una razionalizzazione, soprattutto nella direzione di una maggiore coerenza tra enunciazioni di principio e realtà effettiva, tuttavia sarebbe un errore puntare a un suo smantellamento in direzione dell’utilizzo di una elevata precarietà, come ormai accade nel resto della catena logistica fuori dalla cinta portuale, con forme atipiche di rapporto di lavoro basate sulla bassa tutela dei lavoratori. A tutto questo, non casualmente, si accompagna, infatti, una scarsa affidabilità dell’insieme delle presta-zioni logistiche sviluppate.

Sarebbe interessante verificare l’opportunità sostenuta dal sindacato, a corredo del già citato rafforzamento del ruolo delle Autorità Portuali come Enti di regolazione e coordinamento anche “fuori” dai confini portuali, di “esportare” nell’intera catena logistica la cultura della flessibilità regolata tipica del lavoro portuale.

Uscire dal perimetro portuale non significa soltanto perseguire una organizzazione integrata del ciclo logistico ma avviare una riflessione sulle categorie di definizione e sistemazione di quello che tradizionalmente è considerato il lavoro portuale.

L’obbiettivo è ambizioso e parte da una situazione attuale particolarmente difficile in cui l’applicazione della norma-tiva vigente in realtà locali profondamente diverse tra di loro ha dato luogo ad uno scenario in cui ciascuno scalo, pur nei vincoli riconducibili a quanto previsto negli artt. 16, 17 e 18 della legge 84/’94, ha gestito il processo di trasfor-mazione secondo percorsi non omogenei che oggi rivelano una situazione di progressivo indebolimento del modello. L’attuale sistema autorizzativo ha infatti rappresentato l’anello debole del sistema delle regole portuali, generando for-me di concorrenza sleale nei porti e tra i porti, cofor-me evidenziato dall’indagine sul lavoro portuale svolta dell’ISFORT18. Un nuovo quadro normativo dovrebbe quindi generare un sistema di regole che sappiano incidere sul mercato delle imprese disciplinando il rapporto tra tutti i soggetti imprenditoriali che, a vario titolo, intervengono nel ciclo logistico a partire da un nodo strategico rappresentato dallo scalo portuale.

L’innalzamento della competitività e della concorrenza fra i porti non dovrebbe comunque favorire il proliferare di forme di concorrenza tra imprese basate sui differenziali di organizzazione e di qualifiche professionali al ribasso, con effetti negativi sulla sicurezza, sulla salute dei lavoratori e degli utenti nonché, altrettanto importante, sulla qualità dei servizi resi e sulla produttività del sistema.

È nel quadro sopra delineato che dovrebbe innovarsi il sistema di relazioni tra la “nuova” Autorità Portuale e imprese concessionarie attraverso strumenti in grado di consolidare un modello che responsabilizzi le imprese in fase di ela-borazione dei programmi di attività così da permettere lo sviluppo di un concreto e positivo confronto tra il soggetto pubblico e il soggetto privato per la gestione e sviluppo delle attività portuali e di trasporto in un’ottica di sistema. Questa innovazione dovrebbe in ogni caso partire dal sistema di regole e dalle procedure con cui si affidano conces-sioni e autorizzazioni, per adattarlo alle nuove esigenze che costantemente si pongono.

Per quanto concerne l’organizzazione del lavoro dentro i confini portuali è opinione del sindacato dei lavoratori, di difficile condivisione, che possa essere consolidato l’attuale modello che vede nell’art. 17 l’unico soggetto al quale ri-correre per lo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali.

La prestazione di lavoro temporaneo all’interno dei porti deve rimanere un elemento che integra, anche in modo organizzato, l’attività dell’impresa terminalista. Ciò significa: pianificazione e organizzazione anche per squadre con

contratti di durata (e conseguente assunzione di responsabilità dei preposti), fornitura di lavoro qualificato e flessibi-le, eventuale utilizzo di mezzi e di attrezzature ausiliari al lavoro portuale (non impedito dalla legge 84/94). Questo implica, tra l’altro, la necessità di una formazione continua per disporre di lavoratori sempre più qualificati in grado di rispondere anche al variare delle richieste professionali dovuta ai diversi flussi di merci.

L’obbiettivo è quindi duplice: da un lato contrastare l’eccessiva frammentazione dell’offerta di manodopera e il proli-ferare di situazioni diversificate e dall’altro spingere il ragionamento sulla qualità, la sicurezza e la formazione oltre i confini portuali per scongiurare il progressivo e continuo indebolimento delle condizioni di lavoro lungo la catena del trasporto e della logistica.

Tutto ciò va ricondotto alla necessità di competere ad armi pari con i porti del Nord Europa, quindi questa duplice azione deve sempre essere accompagnata dall’attenzione all’evoluzione dell’organizzazione produttiva del resto della portualità e della logistica europea. L’Europa deve essere riferimento fondamentale per le regole del lavoro e soprat-tutto per la produttività del lavoro, visto che è l’Europa il luogo dove intendiamo competere.

9. I porti

Nonostante le potenzialità significative che lo caratterizzano il sistema portuale italiano patisce oggi una perdita di competitività a livello internazionale che impone l’adozione di misure specifiche in grado di rilanciare il settore. L’i-nerzia, infatti, da un lato si ripercuoterebbe pesantemente sul tessuto produttivo nazionale, già provato dagli effetti della crisi economica, dall’altro comporterebbe un effettivo rischio di marginalizzazione del sistema portuale con forti contraccolpi già nel medio periodo.

Il rilancio della portualità e della logistica è dunque imprescindibile per la crescita del Paese e assolutamente indif-feribile, anche in considerazione del costo dell’inazione e dell’aggressività del contesto competitivo di riferimento. In questa direzione, è necessaria un’azione mirata di politica dei trasporti che, in via prioritaria:

• persegua l’obbiettivo del recupero del traffico nazionale che imbarca in Nord Europa;

• consenta al sistema portuale e logistico italiano di competere per l’acquisizione di nuove quote di mercato.

I porti devono assumere un ruolo centrale per assicurare un miglioramento significativo della qualità della loro offerta logistica senza dover attendere la realizzazione di investimenti costosi e a lunga scadenza. Da qui l’esigenza di foca-lizzarsi principalmente su quegli interventi di razionalizzazione e riorganizzazione della portualità che, pesando al minimo sulla finanza pubblica, siano effettivamente in grado di rilanciare la competitività del settore.

La competitività dei porti va inquadrata in una logica di sistema che superi la dimensione e i confini locali per muover-si in modo più flesmuover-sibile e tempestivo su un’area più vasta e maggiormente in grado di competere sul mercato europeo. È infatti evidente come le performance rese nella fase portuale siano strettamente connesse a quelle della filiera nel suo complesso (e viceversa) e come il tema centrale sia quello del “governo” della stessa per garantire alle imprese che ne fanno parte la massimizzazione dei risultati operativi ed economici.

I costi e i tempi complessivi di manipolazione di un container non sono competitivi e sono troppo elevati. I motivi stanno non tanto nel costo delle singole operazioni, quanto in un sistema con sprechi operativi, inefficienze, eccessiva burocraticizzazione. La responsabilità è collettiva, sia dell’amministrazione pubblica sia di alcuni aspetti del sistema privato.

L’insieme non tiene il passo con la competizione dei porti Nord europei, sul loro esempio è necessario rivedere il siste-ma della governance portuale e l’efficientamento delle singole operazioni.

I porti integratori del sistema logistico

Il concetto di “sistemi logistici integrati” trova nei porti i punti di accesso al sistema produttivo e di consumo italiano. È in questo terreno che si gioca la competitività del sistema portuale nazionale.

Tutto ciò si traduce in due concetti sintetici:

- proporre una visione sistemica del settore significa porre all’attenzione del dibattito il tema della governance por-tuale;

- il tema della governance portuale non può essere pienamente apprezzato senza discutere sugli strumenti necessari a rafforzare le relazioni porti/retroporti/ basi logistiche.

È necessario quindi assicurarsi che qualsiasi intervento valutato nel settore della portualità e della logistica assuma carattere di progetto integrato. La banchina dovrebbe essere considerata come anello di una catena logistica ben più lunga, in cui si integrino infrastrutture e competenze differenti. Non solo, è opportuno che siano coinvolti ex ante tutti gli attori del sistema, dalle amministrazioni pubbliche coinvolte alle Compagnie di Navigazione, fino alle società che gestiscono le reti ferroviarie e stradali. Nessun progetto può essere considerato solido e realizzabile da un punto di vista industriale se non sono chiari fin dall’inizio i ruoli e le responsabilità dei soggetti coinvolti.

Deve essere quantificato il mercato di riferimento e, su questa base, deve essere proporzionata la capacità delle in-frastrutture di nodo e di rete. Occorre individuare e superare eventuali colli di bottiglia che possano rappresentare un ostacolo alla movimentazione delle merci ed è necessario individuare, per ciascuna tratta o tipologia di carico, il vettore più idoneo.

I concetti di interoperabilità, standardizzazione, rapidità, efficienza non possono essere confinati ad una dimensione eminentemente tecnica ma devono poter corrispondere ad una effettiva esigenza di governo pubblico di una compo-nente essenziale del nostro sistema produttivo.

L’Autorità che assume la responsabilità del sistema sopra delineato deve essere fortemente radicata sul territorio pro-duttivo di riferimento ed in grado di impostare in termini realmente innovativi le relazioni con le Amministrazioni Centrali che concorrono al funzionamento del sistema trasportistico. Questa è una condicio sine qua non per garantire al “mercato” un accesso più snello, efficiente ed efficace alle procedure che accompagnano i cicli logistici di import/

export (controlli) perché è proprio su questo piano che la portualità italiana evidenzia i maggiori gap rispetto ai

con-correnti internazionali.

In un quadro così delineato anche il tema della massa critica e della comparsa di nuovi attori della logistica e del tra-sporto ferroviario in grado di offrire un servizio integrato non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello interna-zionale, è solo un “di cui” rispetto all’esigenza di costruire filiere leggibili e aperte a tutti coloro che “muovono” merce all’importazione e all’esportazione.

Dal punto di vista del trasporto ferroviario, per esempio, la questione del cosiddetto “ultimo miglio” oggi vede in Italia una organizzazione disomogenea, sia per le caratteristiche dimensionali e spaziali dei porti, sia per questioni “stori-che” connesse all’evoluzione dei rapporti tra soggetto pubblico e concessionario del servizio. Questo ultimo aspetto, in alcuni ben noti casi, ha determinato impatti sia di tipo economico (competitività del servizio sotto il profilo dei costi), sia sociali.

Nonostante le strategie di medio-lungo termine si concentrino sulla minimizzazione delle operazioni di “manovra” in porto (pur sempre condizionate dalle caratteristiche dello stesso) e sull’apertura del mercato della vezione, in Italia sono ancora vive situazioni di forte squilibrio concorrenziale che condizionano la competitività degli scali. La presen-za di infrastrutture efficienti, pur rappresentando una condizione necessaria al rafforpresen-zamento delle connessioni fra scali portuali e poli logistici, non è condizione sufficiente. Occorre, infatti, agire sulla leva della governance e della gestione, integrando sistemi informativi e coordinando l’operatività logistica dei nodi.

Tale obbiettivo può essere realizzato attraverso un maggior coordinamento:

- tra le Autorità Portuali, dalla semplice cooperazione fra porti che insistono sullo stesso bacino di riferimento fino all’ipotesi di costituzione di Autorità Portuali con competenze su più scali;

- tra Autorità Portuali e operatori logistici, dagli accordi commerciali fra porti e interporti alla partecipazione delle Autorità Portuali al capitale di società attive nel settore della logistica. Il tema della governance si riflette diretta-mente sia sulla qualità dei servizi portuali offerti, sia sulla possibilità per le Autorità Portuali di realizzare gli inve-stimenti che ritengono funzionali allo sviluppo degli scali.

Da questo punto di vista ritorna in primo piano il tema del ruolo del soggetto pubblico e dei rapporti tra le Autorità Portuali e il soggetto gestore della rete ferroviaria. In quest’ottica è necessario individuare nuovi strumenti normativi e di regolazione che consentano di affrontare le molteplici questioni connesse ad esempio alla proprietà delle aree, alla circolazione e alla gestione dei parchi (sia portuali, sia esterni).

Il tema della competitività

Sono molteplici i fattori che contribuiscono alla competitività del settore portuale e possono essere ricondotti a (CNEL 2005 che conserva ancora tratti di attualità):

• posizione rispetto ai mercati;

• caratteristiche delle infrastrutture e degli impianti portuali nonché delle infrastrutture di accesso extraportuali; • efficienza organizzativa dei servizi portuali;

• criteri di applicazione della normativa (in materia di sicurezza, trattamento delle merci pericolose, dogana ed orari portuali);

• qualità dell’offerta di servizi sulle direttrici marittime e su quelle terrestri;

• gestione del terminal portuale (presenza di più terminal, indipendenza dei gestori rispetto alla domanda); • costi delle attività portuali e dei collegamenti con l’hinterland.

La perdita di competitività della portualità italiana, e il rischio di marginalizzazione che questo processo porta con sé, rappresenta un elemento di criticità non soltanto per il settore, ma per l’intero sistema economico nazionale.

I temi più rilevanti che causano questa perdita sono:

- un elevato livello di burocrazia, con eccesso di controlli (e documentazione da produrre) e assenza di dialogo e co-ordinamento tra le molteplici Autorità deputate alle verifiche (con il rischio di dover aprire più volte lo stesso

contai-ner e quindi incrementare i costi) solo parzialmente rimosso dal notevole lavoro che l’Amministrazione Doganale

sta sviluppando in questi ultimi anni per dare definitiva attuazione alla materia dello sportello unico;

- l’assenza di una piattaforma telematica in grado di ottimizzare e velocizzare le procedure evitando il rischio di doppi controlli (disponibilità di comunicazioni a 100 MB);

- un sistema logistico carente, in particolar modo per quanto riguarda l’interazione tra porti e le altre infrastrutture nodali che rientrano nel processo produttivo (interporti e scali merci). Manca una visione di collaborazione e coor-dinamento organizzativo e logistico tra le infrastrutture del sistema.

Tutti questi elementi (infrastrutturali e soprattutto organizzativi) concorrono ad un aumento dei tempi di sdogana-mento, dei costi di giacenza delle merci nei depositi e di carico/scarico e movimentazione delle merci; incrementano inoltre le spese assicurative e bancarie e vi è il rischio di duplicazione e sovrapposizione delle attività di controllo da parte delle pubbliche amministrazioni con conseguente incremento dei costi a carico dell’erario. Il risultato finale è uno spostamento delle merci verso gli altri porti del Mediterraneo e del Nord Europa con conseguenti minori introiti per le dogane italiane, meno lavoro all’interno dei porti. Un particolare peso è poi giocato dalla frammentazione e dalla progressiva deresponsabilizzazione dell’Attore pubblico.

Altre condizioni di criticità riguardano una serie di aspetti poco citati riassumibili nella necessità di una ristrutturazio-ne dei servizi pubblici (Dogana, Guardia di Finanza, Polizia di Frontiera, Sanità Marittima, Fitopatologo Veterinario, Vigili del Fuoco, ASL che applicano, in virtù del proprio ruolo, una mole di normative di difficile interpretazione per le compagnie); tutti questi servizi dovrebbero essere disponibili 24 ore su 24, rapidi, unificati e meno costosi. La ristrut-turazione dei servizi pubblici e privati non è a costo zero ma possiede un elevato costo amministrativo, sindacale e burocratico e tocca interessi consolidati. La concorrenzialità dei porti italiani appare sempre più appannata e priva di strategia di lungo periodo che privilegino solo pochissimi porti e relativi centri intermodali con grandi investimenti19. Infine, il tema della competitività dei porti italiani non può essere disgiunto da quello dell’autonomia finanziaria e funzionale delle Autorità. Alcune decisioni di adeguamento infrastrutturale, che rivestono sempre un’importanza cruciale quando riguardano i nodi, devono poter essere assunte, senza inutili mediazioni, dal soggetto che ha la mas-sima responsabilità nella promozione dei traffici. Parallelamente, i meccanismi di finanziamento devono essere di tipo premiale, al fine di incentivare proprio le funzioni di promozione che le Autorità sono, sempre di più, chiamate a svolgere.

L’art. 14 del decreto legge n. 83 del 2012 ha istituito un fondo per interventi infrastrutturali nei porti e nei collega-menti stradali e ferroviari nei porti, alimentato con la destinazione su base annua dell’uno per cento del gettito IVA relativo all’importazione di merci. Questa misura va nella giusta direzione ma appare ancora limitativa rispetto alle potenzialità economiche del settore. Peraltro essa dispone comunque un tetto di 70 milioni complessivi. Come è stato giustamente osservato dai rappresentanti di Assoporti, nel corso dell’audizione del 2 ottobre 2012 presso la IX Com-missione della Camera dei deputati: “Non possiamo però fare a meno di rimarcare l’insufficienza della misura dell’au-tonomia finanziaria delle Autorità Portuali, come prevista dall’art. 18 bis della legge 84/94 che, oggettivamente, solo molto parzialmente può consentire il potenziamento dell’offerta di infrastrutture portuali adeguate alle evoluzioni dei traffici e della rete logistica nazionale”.

Per procedere in questa direzione ed elevare il livello di autonomia finanziaria delle Autorità si potrebbe partire dalle proposte in tal senso che erano già state presentate durante l’iter parlamentare della riforma della legge n. 84 (AC 5453) che, com’è noto, non è giunto alla sua conclusione: introduzione dei diritti di porto fra le entrate proprie delle Autorità, prendendo atto anche della realtà (non indifferente per i porti italiani) del traffico passeggeri; esclusione dalla imposizione sui redditi delle entrate delle Autorità tipizzate dalla legge (a partire dai canoni concessori);

tonamento di una percentuale delle risorse destinate ad ANAS e RFI per interventi inerenti le connessioni ferroviarie e stradali con i porti. Soprattutto i nuovi indirizzi normativi dovranno collegare strettamente autonomia finanziaria e poteri decisionali delle Autorità, non solo in materia infrastrutturale. Le Autorità potranno trasformarsi in soggetti orientati alla competizione, all’efficienza e al mercato se saranno dotate non solo di risorse sufficienti, ma - parallela-mente - di autonomia funzionale nella organizzazione dell’insieme dei servizi che in porto vengono erogati.

Il tema dell’affidabilità

Il tema dell’affidabilità, con particolare riferimento alle infrastrutture portuali e logistiche, può assumere

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 97-106)