Fase propedeutica all’affidamento ed esecuzione delle opere pubbliche *
Proposta 12 : Riallineare i processi di approvazione basati sul Piano nazionale e sulla valutazione degli investimenti delle opere pubbliche e quelli di programmazione di bilancio
3. Strumenti per la gestione del ciclo del progetto
Il ciclo del progetto definito dalle norme italiane (in particolare occorre partire dall’art. 128 del Codice per cogliere le contraddizioni del ciclo “italiano”) non è allineato con le norme e le buone pratiche internazionali. Questo dato va assunto come punto di partenza di tutta l’analisi, anche se può apparire una affermazione molto radicale30. I percorsi per raggiungere un necessario riallineamento devono essere programmati con realismo, ma l’obbiettivo è da tenere fermo, poiché questo disallineamento contribuisce ad elevare i costi e i ritardi nella realizzazione delle opere e dere-sponsabilizza sia gli amministratori che le imprese. Sul piano dell’armonizzazione con le norme e le prassi internazio-nali, è sufficiente partire dalle raccomandazioni contenute nel documento UE Ten-T Large Projects – Investments and
Costs (2013)31 che, a pag. 13 specificano: “Definition of standards for the different phases of planning (pre-feasibility, feasibility, final project plan) is necessary”. Già questa semplice raccomandazione trova oggi l’Italia impreparata ad accoglierla.
Si prova qui a definire in estrema sintesi le maggiori distorsioni:
• Nel nostro ordinamento non c’è traccia di uno strumento essenziale, definito – a livello internazionale – in modo univoco: Studio di pre-fattibilità, studio centrato sul contesto (e non sull’opera) e di essenziale raccordo delle ipotesi di intervento in esame con le pianificazioni, territoriali e di settore, esistenti32;
• Lo Studio di fattibilità, così come definito dall’articolo 14 del Regolamento anche nella sua definizione più ampia (per non parlare della prassi), non serve allo scopo, in quanto non consente certamente di ottenere la precisione e l’attendibilità attesa: il livello degli studi tecnici (geologia, geotecnica, idraulica, ecc..) si limita a quello delle ana-lisi sommarie, la verifica dei vincoli (ambientali, storici, archeologici, urbanistici, ecc..) non prevede alcuna forma
30 Per una prima schematizzazione del tema, si rinvia al contributo Razionalizzare il ciclo del progetto a cura dell’Associazione “Così, nei progetti interna-zionali”, pubblicato nel Rapporto 2012 dell’Osservatorio (p. 163-185).
31 http://www.europarl.europa.eu/committees/en/studiesdownload.html?languageDocument=EN&file=83713
32 Già nel Rapporto italiadecide del 2009 si descriveva la fase di pre-fattibilità, come la fase “volta alla verifica della compatibilità dell’idea progettuale con i documenti di programmazione e pianificazione di livello regionale e locale, nonché al confronto con gli interessi pubblici e privati (di categoria) e le politiche di sviluppo locale esistenti, di programmi comunitari in atto. Ciò al fine di acquisire un consenso preliminare, attraverso i necessari ag-giustamenti di tracciato e di contenuto o al limite, di verificarne sin da ora l’impraticabilità politica e sociale della proposta progettuale”.
di consultazione e la definizione dei costi è spesso realizzata in via parametrica. Esso inoltre non è uno studio di pre-fattibilità (con un nome diverso) perché è centrato sull’opera, e non sul contesto, ed è affidato – di norma – a professionisti che sono privi delle competenze necessarie ad elaborare uno studio di questo tipo. Rimane un ibrido: una sottospecie di progetto preliminare, come del resto sembra presupporre lo stesso comma 6 dell’art. 128 del Co-dice dei contratti pubblici 33.
• Il risultato è che nel sistema italiano si verifica la successione e la sovrapposizione di un numero eccessivo di livelli di progettazione. Ciò determina, fra l’altro, che anche strumenti che dovrebbero avere tutt’altre finalità finiscono con l’essere interpretati come nuove figure di progetto. Il risultato è quello di favorire la deresponsabilizzazione di progettisti, imprese, stazioni appaltanti, amministratori pubblici: procedendo per successive approssimazioni, non ben definite, è più facile ritornare su scelte precedentemente assunte.
All’origine di queste distorsioni vi è un equivoco di fondo, che non è solo terminologico, ma logico e concettuale. In-fatti, al di là dei diversi termini, la logica che guida i tre (se non quattro) livelli di progettazione italiani è quella di raggiungere un crescente dettaglio tecnico svincolato da altri criteri di programmazione generale, man mano che si procede verso la realizzazione di un’opera. Nel modello internazionale invece i livelli di supporto tecnico ed i livelli di dettaglio che ne conseguono, sono strettamente legati a momenti decisionali chiave nel ciclo di vita del progetto (per evitare equivoci, meglio sarebbe parlare di ciclo di vita dell’“intervento”):
Le norme dovrebbero isolare alcune fasi e collocarle secondo una sequenza logica e cronologica. Ciascuna delle fasi ha poi un profilo tecnico e uno di decisione politica.
33 Nel Rapporto italiadecide del 2009 si affermava che in questa fase si “valuta la fattibilità dell’opera sul piano costi/benefici, ovvero la sostenibilità finanziaria, economica ed amministrativa, con la previsione anche delle possibili compensazioni, in opere, in sovvenzioni o finanziarie, che si siano eventualmente evidenziate nell’ambito della pre-fattibilità. Lo schema definitivo dello studio di fattibilità, nel suo complesso, è a questo punto
sotto-Molto sommariamente:
I. individuazione dei fabbisogni Analisi di “prefattibilità”
II. programmazione (in senso lato) e quindi in-dividuazione di possibili interventi idonei a soddisfare i fabbisogni
III. decisione di avviare alla fase della “formula-zione” progettuale (comprensiva dell’analisi di fattibilità e dell’ACB) alcuni fra i possibili interventi individuati nelle fasi precedenti; decisione che implica la decisione di finanzia-re la progettazione
Proposta di selezione delle priorità sulla base di parametri tecnici
Prima “Formulazione” progettuale
(associata alla analisi di fattibilità) Decisione sulle priorità (decisione di contenuto politico)
IV. decisione di procedere alla realizzazione dell’opera (sulla base di una idonea formula-zione progettuale) e di finanziarla
Progettazione esecutiva
V. avvio dei lavori
Si sono collocate in una colonna a parte (a destra) le funzioni che attengono alla definizione di priorità poiché esse dipendono da una circostanza che teoricamente potrebbe non porsi (la disponibilità di risorse finanziarie inferiori a quelle necessarie a coprire tutti i fabbisogni); inoltre l’individuazione delle priorità può porsi come processo a più stadi e attraversare più fasi della sequenza cronologica. Nella colonna centrale si sono collocate invece le funzioni tecniche necessarie a supportare le decisioni e a realizzare gli interventi (in rosso quelle che possono propriamente definirsi “livelli di progettazione”).
Lo schema sopra riportato ha carattere sintetico e sommario. Una tabella più approfondita in cui vengono allineate fasi, documenti, decisioni e responsabilità del ciclo del progetto, viene riportata alla fine del presente paragrafo. Rispetto a questo semplice schema le nostre norme – in più punti – non sono né chiare, né coerenti:
a) a livello internazionale lo Studio di pre-fattibilià è uno strumento di supporto alla fase II: partendo dai fabbisogni, dalle previsioni della domanda e da altri elementi (ben noti e che è qui inutile ripetere) deve limitarsi a rispondere alla domanda se un’idea progettuale sia meritevole di essere sviluppata, all’interno di un determinato contesto o se siano da preferire diverse strategie progettuali o vere e proprie alternative. Questo indispensabile supporto alla decisione è di fatto ignorato nelle norme italiane e sottovalutato nella prassi, con effetti negativi su tutto il seguito. In un certo senso l’intera logica andrebbe invece capovolta: è proprio nelle fasi più precoci che sono necessarie la competenza e l’esperienza maggiori (proprio quelle di cui non dispongono le amministrazioni minori): è qui che
andrebbe previsto un ricorso snello a consulenze di alto profilo, esterne all’amministrazione o disponibili presso centrali di committenza;
b) lo Studio di fattibilità, invece, rientra (secondo la letteratura e la nomenclatura corrente a livello internazionale) nella fase della “formulazione” del progetto ed è un elaborato che ha caratteristiche molto diverse: è riferito ad un progetto e deve contenere una serie di informazioni necessarie a supportare la decisione di investimento. In Italia invece le cose stanno diversamente34: lo Sdf è stato caricato progressivamente di funzioni, fino a diventare esso stesso una specie di progetto che precede il preliminare.
c) Livelli di progettazione (tre in Italia che addirittura, data l’evoluzione dello Sdf, diventano quattro) men-tre, sul piano logico ne sono sufficienti due: uno per supportare una decisione di investimento (e deve quin-di essere attenquin-dibile quanto basta a conseguire questo fine) e l’altra per avviare i lavori. È importante osserva-re che anche la normativa italiana, faticosamente, tende verso questo schema logico (vedi norme osserva-recenti35 che “permettono” di ridurre a due i livelli di progettazione).
Due livelli di progettazione: è possibile?
I livelli di progettazione per un’opera pubblica potrebbero essere ridotti a 2, come peraltro già succede in molti altri paesi, così articolati:
Progetto preliminare avanzato ovvero tale da permettere di “individuare esattamente le caratteristiche tecniche,
econo-miche e prestazionali del progetto da porre in gara”.
Progetto esecutivo così come già previsto nell’ordinamento Italiano.
I benefici sarebbero molteplici:
- si eliminerebbe un livello di progettazione “il progetto definitivo” che tra l’altro è pure il più dispendioso;
- le approvazioni verrebbero fatte su un progetto che già contiene un quadro di spesa certo. Non si capisce infatti l’utilità di approvare, così come succede oggi, un progetto preliminare che può essere smentito dal successivo definitivo per quanto concerne il limite di spesa;
- si eliminerebbe uno step approvativo con conseguente semplificazione dell’iter complessivo;
- eventuali varianti necessarie per l’approvazione del progetto verrebbero apportate ad un progetto preliminare avanzato, comunque più snello e semplice da emendare rispetto ad un “colossale” progetto definitivo.
34 L’origine della sovrapposizione fra strumenti che hanno contenuti e finalità diverse risale alla “Nota su Identificazione del progetto, preparazione degli studi preliminari e struttura dello studio di fattibilità: nota esplicativa alla delibera CIPE del 9.7.1998, n. 70.”
I momenti cruciali della decisione sono pertanto due: attorno ad essi, e proporzionatamente alle decisioni da prende-re, dovrebbero essere concentrati i supporti informativi (di tipo economico, tecnico-costruttivo, ambientale, territo-riale, economico-sociale e finanziario), le procedure autorizzatorie e quelle partecipative.
Ogni diluizione di queste connessioni logiche innalza il livello di incertezza e instabilità dell’insieme.
Ciò ci riporta quindi alle fasi del ciclo del progetto/intervento, che è utile ricordare e sarebbe importante seguire per allinearsi a standard internazionalmente riconosciuti:
• programmazione;
• identificazione (studi di pre-fattibilità e Terms of Reference); • formulazione (studi di fattibilità e preliminary design); • implementazione (final design e costruzione);
• valutazione finale.
Nella fase di programmazione non c’è bisogno di sviluppare alcuna progettazione particolare, anche se gli esperti in-caricati della programmazione delle opere dovrebbero possedere un bagaglio tecnico di ampio spettro.
Nella fase di identificazione e tipicamente nella preparazione degli studi di pre-fattibilità si ricorre a valutazioni tecni-che di larga massima (si è ancora in fase di pre-design), sufficienti per pervenire a stime dei costi delle opere, spesso con valutazioni parametriche, tali da consentire una stima di massima degli interventi e la convenienza di approfon-dirne gli studi e la progettazione (specificando nei ToR i servizi d’ingegneria necessari per le successive fasi, ed in par-ticolare specificando le indagini di campo da realizzare nel primo e nel secondo livello di progettazione). Il “documen-to di identificazione” che ne scaturisce ha – nella prassi italiana corrente – una qualità insufficiente, anche perché la normativa tende a scoraggiare in ogni modo il ricorso a professionalità esterne all’Amministrazione. E invece si tratta di una fase breve ma ad alta complessità interdisciplinare, nella quale può giocare un ruolo decisivo non solo il mix di competenze economiche, normativo/amministrative ed ingegneristiche, ma anche l’esperienza pregressa.
Successivamente, nella fase di formulazione di un progetto, e tipicamente nella preparazione degli studi di fattibilità, il livello di progettazione dovrebbe invece essere spinto ad un livello di dettaglio sufficiente a determinare la migliore alternativa tecnica per soddisfare una certa domanda e a definirne realisticamente i costi e conseguentemente a valu-tarne la sostenibilità ambientale, sociale, economica e finanziaria.
In Italia tutta la fase dell’identificazione viene svolta (in maniera insoddisfacente) all’interno dell’Amministrazione, che né dispone al proprio interno (spesso per ovvi motivi di crescente complessità degli interventi) né può avvalersi in maniera snella ed efficiente di tutte le competenze tecniche necessarie proprio in questa fase. Successivamente, si coprono le inadeguatezze tecniche dell’Amministrazione delegando la progettazione alle imprese (con il ricorso mas-siccio all’appalto integrato). Infine, la debolezza dei RUP, sia in termini di competenza tecnica che di poteri decisionali, e la mancanza di una cultura amministrativa del project management completano il quadro di progressivo indeboli-mento di tutte le funzioni pubbliche.
La fattispecie del RUP ha posto in capo ai funzionari della pubblica amministrazione competenze e responsabilità ampie, spesso non commisurate alle risorse effettivamente disponibili negli uffici tecnici. Laddove invece il Regola-mento di attuazione della “Legge quadro sui lavori pubblici” del 1994 rendeva possibile, ove l’Amministrazione non possedesse le risorse e le competenze necessarie, affidare all’esterno la maggior parte delle attività di supporto al re-sponsabile di procedimento, con esclusione di quelle istituzionali.
È vero che dietro questi processi normativi si intravede, in molti casi, più che un disegno organico una mera esigenza di compressione dei costi dovuta alla crisi della finanza pubblica. Così come non poco hanno probabilmente influito suggestioni e semplificazioni che talvolta hanno visto nell’outsourcing generalizzato il superamento di ogni criticità. Tuttavia è giunto il momento di individuare un percorso ragionato di riforma che – riallineando il Paese alle norme e alle pratiche europee – ridefinisca il confine fra il nucleo delle funzioni di indirizzo, controllo e raccordo che devono saldamente essere detenute dall’Amministrazione, potenziate e riqualificate (attraverso un processo di centralizzazio-ne di funzioni e di strutture), e quelle di contenuto tecnico ed esecutivo che possono essere affidate a soggetti esterni o essere svolte obbligatoriamente da centrali pubbliche di committenza dotate di dimensioni e competenze adeguate (vedi il successivo par. 5)36.
Giunti, infine, alla decisione di finanziare l’opera, esigenza primaria è che essa sia quanto più consapevole dei costi pre-visti. Tale decisione avviene quindi normalmente (fuori dall’Italia) a valle della formulazione definitiva del progetto. Se si sceglie di farla avvenire prima, a valle dell’identificazione, la formulazione viene “adjusted to budget”, per evi-tare il rischio che si sfondi il budget del progetto già in fase di progettazione. In altre parole si deve consentire che in fase di formulazione ci sia l’eventuale ridimensionamento dello “Scope of Work a fronte dei probabili aumenti dei costi”, progettando in stralci funzionali. Il contratto che si usa con questo approccio è il contratto Design-Build. Tale contratto è notoriamente ad alto rischio “di sfondamento” del budget in situazioni di contesto variabile, e per-tanto non è raccomandato dagli organismi internazionali per le infrastrutture civili (mentre in Italia è la regola per le infrastrutture strategiche).
Nella fase di implementazione si sviluppa infine la progettazione di dettaglio per le esigenze dell’impresa di costruzione. Da una tale opera di riordino dovrebbe risultare senza equivoci che sia lo Studio di pre-fattibilità che lo Studio di fat-tibilità37 non rappresentano propriamente strumenti di progettazione bensì documenti necessari per giustificare l’ac-cesso a (ed il finanziamento di) fasi successive. Lo Studio di fattibilità deve essere inteso come una valutazione della convenienza a realizzare l’opera, basata – questa volta – su stime molto più realistiche dei costi e dei benefici attesi. Tale livello di attendibilità può dipendere (entro certi limiti) dal grado di complessità dell’opera. Per cui il livello di progetto necessario può spaziare da un preliminare “spinto” a un progetto molto meglio definito. Per esempio la
anali-36 Sui limiti della normativa italiana in materia di progettazione e direzione lavori, e sui suoi effetti deresponsabilizzanti, si era già focalizzato il lavoro dell’Osservatorio dello scorso anno. Si rinvia, in particolare, al contributo di F. Satta e A. Romano, Ridurre i tempi per le infrastrutture, in “10 opere per la ripresa: Osservatorio Infrastrutture e competitività, 2012, italiadecide, 2012.
si di fattibilità di un tunnel alpino o di un ponte molto complesso richiede studi ed indagini di livello molto dettagliato. Le norme italiane hanno cominciato a prendere atto di questa necessità di concentrazione e semplificazione delle fasi di progettazione, prevedendo la possibilità di ridurre da tre a due tali fasi, ma tale giusta innovazione – introdotta solo nel 2012 – è andata a calarsi in un contesto normativo che permane ambiguo e contraddittorio.
Sarebbe auspicabile che il legislatore prendesse atto del fatto che una seria riforma di questa materia può avere nel medio termine significativi impatti:
• sui tempi di realizzazione delle opere;
• sulla qualità delle progettazioni e delle analisi di fattibilità; • sulla stabilità dei costi preventivati;