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Selezione e prioritarizzazione degli interventi, allocazione delle risorse

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 157-167)

Fase propedeutica all’affidamento ed esecuzione delle opere pubbliche *

Proposta 12 : Riallineare i processi di approvazione basati sul Piano nazionale e sulla valutazione degli investimenti delle opere pubbliche e quelli di programmazione di bilancio

1. Selezione e prioritarizzazione degli interventi, allocazione delle risorse

2. Valutazione dei progetti;

3. Strumenti per la gestione del ciclo del progetto; 4. Partecipazione dei cittadini;

5. Procurement e competenza delle stazioni appaltanti.

I paragrafi corrispondono a 5 aree di intervento prioritario che un disegno di riforma del settore dovrebbe privilegiare.

1. Selezione e prioritarizzazione degli interventi, allocazione delle risorse

Il recente Studio comparato prodotto nel 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti6 – che pure si riferisce alle sole infrastrutture di trasporto e si sofferma in particolare sulle funzioni di pianificazione/programmazione e di valutazione dei progetti e quindi sull’efficienza delle scelte allocative – reca indicazioni che hanno valenza anche più generale e, soprattutto, fornisce una serie di elementi di comparazione che aiutano a misurare il ritardo italiano. Ad esso si farà più volte riferimento, anche nel tentativo di delineare un percorso per dare attuazione ad alcune delle indicazioni di policy che in quel documento sono state avanzate.

Sullo specifico punto della prioritarizzazione, il riferimento di base è invece già contenuto nelle “89 proposte” presen-tate da Astrid, italiadecide e ResPublica nella primavera del 20117 che individuavano una delle maggiori contraddizio-ni della legislazione sulle infrastrutture strategiche introdotta nel 2001 proprio nella mancanza di un meccacontraddizio-nismo di selezione delle priorità. Si propose in quella occasione:

• di “definire una lista breve di opere prioritarie la cui realizzazione rappresenta interesse strategico per l’intero siste-ma paese e creare una cornice istituzionale idonea all’affersiste-mazione di questo principio: incorporazione della lista nel programma nazionale delle riforme per l’Italia previsto dalle procedure connesse al semestre europeo e quindi delibera del Parlamento nell’ambito delle nuove procedure di decisione di finanza pubblica” (proposta n. 87): • di “concentrare su un numero contenuto di infrastrutture strategiche le risorse derivanti dalla revisione delle

politi-che di coesione, anpoliti-che con la finalità di migliorare l’attività di monitoraggio e valutazione” (proposta n. 88);

• di “rafforzare le attività di monitoraggio, misurazione e valutazione dei comportamenti e dei risultati dei soggetti pubblici coinvolti nella realizzazione delle grandi infrastrutture, previste peraltro da alcune recenti leggi di rifor-ma: riforma del federalismo fiscale (l. 42/2009), riforma della contabilità pubblica e miglioramento della qualità

6 Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale; Direzione Generale per lo Sviluppo del Territorio, la programmazione ed i pro-getti internazionali; Nucleo di Valutazione e verifica degli investimenti pubblici, Studio comparato sui metodi internazionali di valutazione preventiva

delle opere pubbliche dal punto di vista della fattibilità tecnico-economica (2012).

7 “Le infrastrutture strategiche di trasporto, problemi, proposte, soluzioni: Rapporto elaborato dal Tavolo tecnico promosso dal Ministero per le

Infrastrut-ture e i Trasporti e coordinato dalla Fondazione Astrid, Associazione italiadecide e Fondazione ResPublica”, marzo 2011.

della spesa pubblica (l. 196/2009), riforma della pubblica amministrazione (l. 14/2009), anche attribuendo un ruolo propulsivo e di raccordo alla Autorità di vigilanza per i lavori pubblici” (proposta n. 89).

A due anni di distanza, può dirsi che tutte le tre proposte hanno avuto riscontro, ma mentre per la prima e la terza si è trattato per ora di riscontri meramente normativi (che saranno di seguito commentati), solo la seconda ha visto im-portanti risultati concreti, attraverso una serie di delibere CIPE e il Piano di Azione Coesione, attuativi delle normative varate nel 2008, con i decreti 112 e 185 (vedi, in questo Rapporto, il Report opera relativo alla Napoli-Bari).

In riferimento alla prima delle tre proposte: l’assenza di un sistema trasparente e ancorato a parametri oggettivi di selezione delle priorità rappresenta una contraddizione particolarmente evidente per una legge – la n. 443 del 2001 – che è nata proprio dall’esigenza di istituire una corsia preferenziale e straordinaria per un numero circoscritto di opere strategiche ai fini dello sviluppo dell’intero paese. Tale limite non è invero attribuibile ai promotori di quella legislazione, ma piuttosto alle conseguenze che – su quel meccanismo – ha avuto la riforma del Titolo V.

Senza ripercorrere le note vicende del conflitto fra Stato e Regioni e della giurisprudenza costituzionale chiamata a di-rimere tale conflitto, occorre prendere atto del fatto che lo Stato in questi anni ha rinunciato a darsi una sua strategia nazionale. Funzione che invece era stata esattamente delineata da una norma ormai dimenticata: l’art. 52 del decreto legislativo 112 del 1998 che definisce come “compito di rilievo nazionale” la “identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla artico-lazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonchè al sistema delle città e delle aree metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del paese”.

Occorre quindi registrare positivamente l’approvazione – nel dicembre 2011 – dell’articolo 41, comma 1, del decreto legge n. 201. Anche se, è opportuno ricordare che già alcune (poche e generiche) parole venivano dedicate alle opere “prioritarie” dal decreto legislativo n. 113 del 2007. Inoltre, varie delibere CIPE e i successivi allegati al DPEF avevano (genericamente) identificato “priorità”, sia pure in termini assolutamente variabili, e perciò stesso, poco convincenti: “19, poi 9, poi 184, adesso 28, ecc.”8.

L’art. 41 ha prescritto che il Documento di Economia e Finanza rechi l’elenco delle infrastrutture da ritenersi priori-tarie, indicando anche tre criteri generali: a) coerenza con l’integrazione con le reti europee e territoriali; b) stato di avanzamento dell’iter procedurale; c) possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato. Le norme specifica-no poi che – delle opere prioritarie – si debbaspecifica-no indicare espressamente una serie di dati (opere da realizzare, crospecifica-no programma, fonti finanziarie, quota coperta da capitale privato).

8 S. Maffii, R. Parolin, R. Scatamacchia, Guida alla valutazione economica dei progetti di investimento nel settore dei trasporti, Angeli, 2011, p. 12. Si può, inoltre, seguire l’evoluzione del tema delle “priorità” anche attraverso la lettura degli “allegati infrastrutture” al DPEF che si succedono negli anni (tipico, in questo senso, l’allegato al DPEF 2007-2011).

Queste norme possono provocare un primo duplice commento critico:

• in primo luogo, non si chiarisce il rapporto fra i tre criteri indicati. Infatti, il rispetto dello “stato di avanzamento dell’iter procedurale” ha come effetto di restare a lungo prigionieri delle priorità regionali cristallizzate dalla attuale programmazione; inoltre il rispetto del criterio della “possibilità prevalente di finanziamento con capitale privato” spinge a dare la precedenza a quello che si può finanziare (opere calde) rispetto ad opere fredde anche più urgenti (in merito alla troppo scarsa incidenza, in Italia, del PPP su opere fredde, si rinvia al capitolo di questo Rapporto de-dicato al PPP). La norma potrebbe quindi essere modificata o interpretata – ad esempio – nel senso che i criteri b) e c) dovrebbero valere solo entro il recinto delle opere che rispondono al criterio a) di coerenza con le scelte europee. Ma questo non viene oggi previsto, lasciando quindi uno spazio ancora troppo ampio alla mancanza di trasparenza di ogni scelta finale;

• in secondo luogo, nessun riferimento viene fatto – da tale norma – ad altri parametri, quali il rapporto fra costi e benefici attesi da ogni singola opera, il rapporto fra obiettivi strategici, programmazione di settore e criteri per la selezione delle priorità.

Nonostante gli evidenti limiti di questa innovazione normativa, tuttavia con l’approvazione dell’art. 41 il sistema sem-brerebbe comunque essere progredito verso un metodo più evoluto di prioritarizzazione.

Ma – come spesso accade – uno sguardo più ravvicinato alle complessità dell’attuazione costringe a conclusioni di-verse. Infatti, dalla lettura dei documenti prodotti dopo l’emanazione della norma (DEF presentato al Parlamento nel mese di aprile 2012 con allegate linee guida del Programma delle infrastrutture strategiche, 10° Allegato infra-strutture, trasmesso al Parlamento il 1° ottobre 2012 in occasione della presentazione della Nota di aggiornamento del DEF 2012) lo sforzo di identificazione delle priorità richieste dall’art. 41 non sembra essere approdato ad alcun successo, tranne quello ricavabile dall’espressione assai generica “coincidono con il sottoinsieme delle infrastrutture

strategiche comprese nella rete essenziale di trasporto TEN-T”. Se poi si considera anche che il citato art. 41 fa

comun-que “salve le priorità già deliberate in sede CIPE”, si arriva facilmente alla conclusione che – di fatto – non esiste ancora un criterio effettivo e vincolante di prioritarizzazione e gerarchizzazione fra le oltre 190 opere deliberate dal CIPE alla data odierna.

Ora, è evidente che nessun paese delle dimensioni del nostro può gestire contemporaneamente un così alto numero di “priorità”. È la scala stessa che deve essere ridimensionata (a prescindere da ogni considerazione di merito).

Pertanto, si può affermare che, nonostante il progresso (formale) segnato dall’art. 41, e nonostante il valore analitico e informativo di alcuni documenti (fra i quali va segnalato, da ultimo, il 10° Allegato Infrastrutture del PIS), il sistema nel suo insieme appare ancora molto debole e per nulla trasparente e oggettivo nei meccanismi di prioritarizzazione e gerarchizzazione degli interventi e, se di selezione si può parlare, questa è semplicemente la selezione operata dalla pianificazione europea.

Ora, questo è veramente troppo poco.

Certo, è da sostenere ogni azione volta a valorizzare questa opzione perché anche una via così tortuosa può comunque servire a recuperare (via vincolo europeo) quelle “linee fondamentali di assetto infrastrutturale nazionale” di cui non vi è traccia nella governance infrastrutturale italiana. Tanto più che il sottoinsieme italiano della rete TEN-T

essenzia-le risponde a criteri ben fondati di analisi territoriaessenzia-le europea-italiana, sarà valido e vincolante fino al 2030, è stato identificato dal Consiglio Europeo “d’intesa” con il Governo Italiano a norma del Trattato UE e verrà approvato con Regolamento Europeo non derogabile da legge nazionale9.

Tuttavia, è difficile non vedere quanto tortuoso sia questo percorso. Occorre invece affrontare frontalmente il proble-ma di fondo: la fortissiproble-ma, perdurante, difficoltà del “sisteproble-ma” a produrre strategie infrastrutturali che discendano da politiche pubbliche di medio-lungo periodo.

Non si sottovaluta lo sforzo di analisi compiuto da elaborazioni ministeriali, a partire dalle Linee Guida allegate al DEF dell’aprile 2012 e dal 10° Allegato10. Si evidenzia però la perdurante assenza di una strumentazione sempre più essenziale per un paese come il nostro, minacciato da un livello altissimo di incertezza; una strumentazione che tuteli un percorso di ottimizzazione nella allocazione delle risorse e di certezza dei flussi finanziari.

Dall’analisi di benchmark condotta dallo “Studio comparato” citato alla nota 6, emerge che, quanto alla fase di defi-nizione degli obiettivi, in Italia “non mancano i documenti programmatici in tema di trasporti: Piano Generale della Mobilità, Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, Programma Operativo Nazionale Reti e Mobilità” (ma una lettura più ravvicinata di questi documenti ne rivela la povertà di raccordi reciproci, il mancato aggiornamento, oltre che il mancato nesso con la programmazione infrastrutturale). Insomma, “è mancata/manca una programmazione multimodale ed una coerenza delle programmazioni regionali con quella nazionale”.

Ancor meno è riscontrabile un percorso ordinato di programmazione intersettoriale, che abbracci anche infrastrut-ture non trasportistiche (energetiche, delle comunicazioni, ambientali) e sia in grado di porre su uno stesso piano e comparare su base oggettiva le esigenze complessive di sviluppo infrastrutturale: precondizione alla individuazione delle priorità.

Occorre allora partire dalle “politiche”: in Italia non esiste ancora una sufficiente esplicitazione degli obiettivi delle politiche pubbliche. Tanto meno una cultura e una prassi di definizione di tali obiettivi in termini quantitativi e misu-rabili.

Particolarmente istruttivo, invece, l’esempio britannico dei “National Policy Statements”, sottoposti a consultazione pubblica per tre mesi e poi approvati dal Parlamento, dai quali scaturisce l’indicazione delle infrastrutture prioritarie necessarie in ciascun settore e sulle quali viene aggiornato periodicamente il piano nazionale.

9 L’assunzione delle priorità europee come priorità nazionali avrebbe, inoltre, il vantaggio di contare sul cofinanziamento europeo delle stesse e otte-nere una deroga al patto di stabilità sul finanziamento italiano delle stesse (una deroga per un importo spalmato intanto sui sette anni 2014-2020 del bilancio europeo). Sul piano delle regole questo significa anche sottoporsi a quelle stringenti di controllo europeo della spesa.

10 Ad esempio, per i cinque sistemi multiportuali (p. 170 del 10° Allegato), si rinvia a quanto sostenuto in questo Rapporto, al capitolo “Sviluppo dei porti e crescita dei traffici e dei commerci”.

Si riporta una tabella riassuntiva aggiornata al novembre 2012:

Di particolare interesse, da una prospettiva italiana, l’effetto di “stabilizzazione” della decisione che potrebbe derivare da una procedura di consultazione pubblica su documenti di questo contenuto (vedi più avanti, par. 4, dedicato alle procedure partecipative).

Dall’aggancio a strategie di policy del genere indicato (e da un raccordo con la pianificazione territoriale) la program-mazione dovrebbe evolvere verso un documento di piano in grado di:

1. ordinare le scelte del Governo e degli enti territoriali su macroobiettivi: sviluppo sostenibile, riequilibrio modale, attrazione di traffici, ecc. ;

2. offrire un quadro di riferimento agli investitori privati e coordinare l’offerta infrastrutturale e la pipeline degli investimenti;

3. gestire meglio la valutazione della “affordability” delle politiche di investimento, e quindi innalzare il livello di trasparenza per conto dei contribuenti e dei consumatori.

Un approccio in quattro stadi (Infrastructure planning and prioritisation)

Si propone in questa scheda una sintesi dell’approccio britannico alla definizione di una policy a supporto delle decisioni di medio lungo termine in materia di sviluppo infrastrutturale intersettoriale.

1. Il Governo, attraverso una struttura dedicata (il “Planning Inspectorate”) definisce un set comune di obiettivi di piano a lungo termine, sviluppando le analisi già disponibili e confrontandole con i principali drivers della domanda infrastrut-turale; gli obiettivi devono includere riferimenti a scenari di sviluppo economico, a standard e vincoli, nazionali e interna-zionali.

2. La struttura lavora con i Ministeri interessati per tradurre gli obiettivi strategici in esigenze settoriali di investimento, prendendo in considerazione le interdipendenze intersettoriali (es: obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2) e la capa-cità delle infrastrutture esistenti di soddisfare la domanda aggiuntiva o standard di servizio più alti. Questa attività è fo-calizzata sui programmi, e non ancora su specifici progetti e considera le azioni e gli investimenti sia del settore pubblico che di quello privato.

3. La struttura aggrega le esigenze di investimenti dei vari settori e le compara con una serie di parametri ed analisi, incluso il value for money per il Paese, e quindi la affordability per i contribuenti, gli utenti e le imprese, la disponibilità e certezza di risorse, sia provenienti dagli utenti sia dalla fiscalità generale, il livello e il tipo di finanziamento richiesto e la sua dispo-nibilità sul mercato, la capacità delle catene dell’offerta di progettare, costruire, mantenere e gestire le infrastrutture, gli impatti ambientali, il livello di resilienza richiesto all’infrastruttura. La struttura fornisce anche assistenza ai Ministeri per svolgere tali analisi di compatibilità all’interno dei settori.

4. La struttura lavora a stretto contatto con i Ministeri di settore per informare il Ministro di settore nei casi in cui è richie-sta la gestione di problemi complessi: più efficiente gestione della domanda per ridurre l’esigenza di nuove infrastrutture (es. attraverso l’innovazione tecnologica), differimento di decisioni di investimento per consentire il miglioramento delle condizioni di funding, di financing e della catena dell’offerta, ricerca di fonti alternative di finanziamento (es: passaggio dal finanziamento pubblico al finanziamento privato).

Si tratta di un processo iterativo, basato sul dialogo regolare fra le strutture, allo scopo di affrontare i trade-off, all’interno e fra i settori. Durante tutte queste fasi la struttura supporta i Ministeri e ne valida le analisi; inoltre lavora in stretto contat-to con i soggetti privati assicurando un continuo raffroncontat-to fra setcontat-tori e una gestione delle interdipendenze nella definizione dei programmi di investimento e delle priorità settoriali.

Da un procedimento così strutturato discende un elenco di priorità molto serrato, ben comunicabile e indubbiamente dotato di una forza e di una legittimazione che si farà sentire nelle fasi attuative. Si rinvia per una un’immagine – an-che visiva – delle 40 priorità britannian-che e del framework concettuale e regolativo da cui derivano – al documento: “National Infrastructure Plan: update 2012” (http://www.hm-treasury.gov.uk/d/national_infrastructure_plan_051212.pdf ).

Anche in Francia, si osserva una sequenza analoga: lo Schema national des infrastructures de transport (Snit), intro-dotto con l’art. 16 della legge n. 2009-967 del 3 agosto 2009, pubblicato in forma di bozza dal MEDTTL a luglio 2010 e poi in gennaio dell’anno successivo con varie revisioni. In quanto documento di pianificazione, contiene una visione dell’evoluzione delle infrastrutture di trasporto, senza il corredo di una valutazione approfondita del suo impatto socioeconomico. Sotto questo profilo non calibra gli investimenti sui vincoli di bilancio. Viceversa per gli interventi elencati si pospone al momento strettamente programmatorio, la valutazione di impatto socioeconomico e l’analisi della sostenibilità finanziaria.

Come infatti stabilito dalla seduta del Conseil de modernisation des politiques publiques del marzo 2011, gli impegni di spesa dovranno essere valutati in una fase successiva, onde pervenire a una precisa gerarchia degli interventi, con conseguente rigetto di quelli incoerenti rispetto ai flussi finanziari disponibili. In altri termini, lo Snit identifica i progetti e le misure realizzabili per fare progredire il sistema dei trasporti, migliorarne la performance e inscriverli all’interno di una dinamica di sviluppo sostenibile, ma solo se saranno in grado di superare tutte le procedure di con-certazione e di validazione in vigore sul piano legislativo e regolamentare, dentro il quadro dell’ analisi costi- benefici, della valutazione delle specificità di contesto, della stima dell’evoluzione dei bisogni etc.

Oggi la Francia si muove su una lista di priorità centrata sul riequilibrio modale e articolata in 63 proposte destinate ad essere messe in opera nell’immediato: 28 progetti di sviluppo ferroviario; 11 progetti di sviluppo portuale finaliz-zati al miglioramento del trasporto via mare, conformemente al dettato della riforma portuale del 2008; 3 progetti di autostrade del mare a cui si aggiungono 28 progetti relativi alla rete stradale suddivisi fra 10 già dichiarati di pubblica utilità e 18 suddivisi a loro volta in 4 in risposta a esigenze di maggiore sicurezza, 8 a problemi che non vengono af-frontati a livello locale, 6 rispondenti al fabbisogno di equità territoriale e di collegamenti.

In Italia, la Legge Obbiettivo – com’è noto – ha puntato sull’accelerazione procedurale ma non consente di definire il concetto di strategicità delle opere e – soprattutto – non aggancia il riconoscimento di tale carattere ad un sistema di valutazione trasparente, comunicabile e unitario, ma – al contrario – lo fa discendere da intese fra Stato e Regioni (in conseguenza delle previsioni costituzionali dell’art. 117) alterando – sin dalle origini – ogni possibile razionalità e unitarietà del sistema. Com’è noto, la legge obbiettivo non ha rielaborato il Piano Generale dei trasporti (1986, 2001) nella sua sostanza metodologica, ma ha modificato il parco infrastrutture in esso previsto. La crescita esponenziale del numero di opere strategiche – che in origine dovevano essere poche e disporre di finanziamento completo – ri-versate nel piano per il tramite dei Documenti di programmazione economica e finanziaria, ha poi avuto l’effetto di elevare il livello complessivo di entropia del sistema e di abbassarne la trasparenza.

Un terzo riferimento di comparazione – quello tedesco – vede invece una distinzione alquanto netta fra due livelli di pianificazione: quella “urbana” di competenza dei Länder e delle municipalità, e quella “infrastrutturale”, di com-petenza federale limitatamente agli ambiti di strade, ferrovie e navigazione interna, a cui si è aggiunta, dal 2011, la rete di distribuzione elettrica; minori sono invece le competenze federali in materia di porti, aeroporti, reti idriche e infrastrutture per il trattamento di rifiuti.

Lo “Studio comparato” (cit. nota 6) sottolinea come la pianificazione federale in Germania sia fortemente centrata sull’ACB. Questo ancoraggio, reso poi particolarmente efficace dalla disponibilità di Linee Guida scritte, consultabili e complete di parametri e valori base da usare nelle ACB pone su un piano corretto e “ragionevole” il rapporto fra pia-nificazione centrale e governi locali.

Tornando all’Italia, fermo rimanendo che dell’art. 117 della Costituzione italiana si propone comunque la modifica11, il vero obbiettivo dovrebbe essere – anche a costituzione vigente – quello di rafforzare gli strumenti per rendere og-gettive e legittimare maggiormente le procedure di prioritarizzazione delle infrastrutture, soprattutto di quelle di interesse nazionale e sovranazionale. Questi interventi – anche a Costituzione vigente – potrebbero essere orchestrati in modo da sostenere davanti al giudice costituzionale italiano la “ragionevolezza” di una competenza statale piena nelle selezione delle grandi opere prioritarie per l’economia del Paese, come accade in un ordinamento addirittura federale come quello tedesco.

L’intero sistema – e non solo quello delle opere “strategiche” – può essere riordinato solo attraverso la scelta “forte” di ripartire dalla definizione di un assetto territoriale insediativo – produttivo, residenziale e di servizio – di piano, secondo una concezione di trasporti e territorio da progettare e governare insieme.

Le infrastrutture di trasporto, energetiche, digitali, ambientali sono un mezzo non un fine; sono un mezzo per

Nel documento INFRASTRUTTURE E COMPETITIVITÀ 2013 (pagine 157-167)