1.6 Brescia: la sfida della Lega Nord
«La prima Repubblica è morta!»101. Era il 9 febbraio e così Umberto Bossi concludeva il suo intervento durante il primo congresso della Lega Nord.
Bossi si presentava così alla sua gente il giorno in cui incassava la sua scommessa vincente. Nasceva quel giorno di febbraio a Pieve Emanuele, alle porte di Milano, la Lega Nord. Finalmente un solo partito avrebbe unito tutte le anime delle leghe settentrionali. Il malcontento del Nord102 ora aveva un solo soggetto politico, ed una sola voce, quella del suo leader: Umberto Bossi103. L’obiettivo di fondo era ancora più chiaro, quanto semplice: demolire il sistema (corrotto ed inefficiente) dei partiti della Prima repubblica.
In realtà, Il “localismo”, che in Italia veniva declinato attraverso le “leghe” era un fenomeno comune a molte parti d’Europa negli anni ottanta. Un po’ ovunque, si era assistito alla nascita di diverse formazioni politiche a base territoriale, che sorgevano principalmente in segno di ribellione contro il potere centrale, oppure in paesi a forte emigrazione straniera come movimento di protesta contro i flussi migratori. In Italia il fenomeno era comparso già nel 1979 con la fondazione della Liga Veneta, che già nelle elezioni del 1983 aveva conquistato il 4,2% su base regionale104. In quella tornata elettorale un altro partito regionalista, la Lega Lombarda, aveva fatto il suo debutto, candidando alcuni suoi esponenti nella Lista per Trieste, pur non avendo eletto nessun rappresentante, il movimento salì alla ribalta della scena politica. La base elettorale di riferimento, fin dagli esordi, furono le periferie ad alto tasso di industrializzazione, dove il modello preminente era la piccola e media impresa. Il leader indiscusso, fondatore del movimento, Umberto Bossi. Considerato agli esordi, come un personaggio poco credibile, in realtà, dietro uno stile rozzo ed una buona dose di provincialismo, si nascondeva un leader di grande carisma portatore di un preciso progetto politico105. 101 G. Vergani, I due tempi del Senatore tarantolato dalla logorrea, «la Repubblica», 9 febbraio 1991. 102 Su questo tema, cfr. I. Diamanti, Il male del nord, Donzelli, Roma 1996. 103 Sulla Lega cfr. I. Diamanti, La geografia, la storia e la sociologia di un movimento politico, Donzelli, Roma 1995; F.
Jori, Dalla Liga alla Lega: storia, movimento e protagonisti, Marsilio, Venezia 2009; S. Allievi, Le parole della Lega, Garzanti, Milano 1992.
104 Diamanti I. e Riccamboni G., La parabola del voto bianco, Neri Pozza, Vicenza 1992, pp. 41‐64. 105
Sull’ascesa della Lega vedi, R. Biorcio, La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo, Laterza, Roma‐ Bari 2010; P. Ginsborg, op.cit., pp. 329‐ 337.
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«La Lega presidiava i punti di crisi come una specie di periscopio e al tempo stesso agiva come un detonatore»106. Portavoce e amplificatore del malcontento del Nord, la Lega, riusciva a rappresentare gli interessi e l’identità delle regioni settentrionali. Nelle elezioni del 1987, Bossi fu eletto al Senato, Giuseppe Leoni alla Camera, e fu a partire da quell’anno che il senatur cominciò a gettare le basi per far uscire il suo movimento dalla connotazione strettamente localistica, nel suo messaggio, infatti, era presente anche una forte spinta anti‐sistema. Fu così che nel 1989 Bossi riuscì nel suo capolavoro politico fondando la Lega Nord, che assorbiva la Liga Veneta e le altre organizzazioni minori, movimento che avrebbe celebrato il suo primo congresso nel 1991 appunto a Pieve Emanuele, vicino Milano. Ora dopo la scommessa vinta della nascita del nuovo partito e in seguito alla delusione del referendum107, dove la Lega si era schierata per il No, Bossi, aveva intenzione di misurare lo stato di salute del partito nelle amministrative di fine anno. Brescia era la città al centro dell’attenzione degli analisti politici. Le elezioni amministrative dello storico feudo Dc sarebbero state il barometro dello stato di salute dei partiti. I sondaggi d’opinione davano in grande ascesa la Lega di Bossi: la città di papa Montini ormai era «una montagna di dinamite sui cui la Lega era seduta con il fiammifero acceso»108. Così il giovane Della Torre, luogotenente di Bossi, rendeva efficacemente l’idea della protesta montante della città contro la Dc ed in generale di un clima di discredito nei confronti dei partiti tradizionali. Oppure all’ingresso della città si potevano vedere scritte sui muri come: «Spadolini pansùn, Craxi porcèl, Cossiga mafiùs, rivogliamo i nostri soldi», o ancora «Bossi in Loggia, Prandini sloggia»109.
Non era l’esposizione di un programma politico, ma rendevano chiaramente l’idea della sfida che la Lega e i suoi militanti lanciavano al potere della “repubblica dei partiti”. Tutto ciò era impensabile solo pochi anni prima, nel 1985 la Dc bresciana aveva raccolto il 38%, quattro anni dopo già era al 34%, ora, ad un anno di distanza ci si sarebbe accontentati di un risultato sul 20%. Anche tra i socialisti le cose non andavano meglio, il loro sindaco era 106 I. Diamanti, Il male del nord, p.7. 107 La Lega Nord si era schierata per l’astensione, ma il suo popolo aveva votato in massa per l’abrogazione della legge elettorale. 108 S. Messina, Brescia, L’autunno dei partiti, «la Repubblica», 19 novembre 1991. 109 Id., La sfida di Bossi all’impero bianco, «la Repubblica», 23 novembre 1991.
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stato sfiduciato dai compagni di partito e sembrare più divisi dei democristiani non era un buon viatico per arrivare alle elezioni. Per gli ex‐Pci il trend era addirittura peggiore. Sei anni fa erano arrivati oltre il 24%, l’anno prima si erano attestati sul 16%, ed ora i sondaggi li davano in netta perdita, il rischio era quello di scendere sotto la doppia cifra percentuale. Invece qui la Lega Nord cinque anni prima non esisteva. L’anno un primo exploit inaspettato: alle amministrative più di trentamila voti, il 20% dell’elettorato e undici consiglieri110. Ed ora la Lega arrivava all’appuntamento elettorale in un clima estremamente positivo. Erano le altre forze politiche a fare campagna elettorale per lei: le divisioni della Dc locale tra Martinazzoli e Prandini giocavano a loro favore, poi ogni nuovo scandalo romano si tramutava in voti.
Il 25 novembre il Comune trasmise i risultati ufficiali, la Lega era il primo partito in città. Brescia la bianca, assediata, era caduta. Così Brescia diventava il primo capoluogo a consegnarsi ai leghisti. «A Brescia la Lega ha posto la prima pietra miliare della Seconda Repubblica», così Umberto Bossi esordì nella conferenza stampa della vittoria, «altro che voto di protesta e ingovernabilità, ‐osservò‐ questo voto è la conferma che il processo di maturazione dell’alternativa al sistema dei partiti ha superato la metà del guado». E poi concluse: «credo che il paese sia pronto per una semplificazione del quadro politico»111. Insomma Brescia, come si poteva presagire, si era trasformata in un test nazionale sul malessere popolare nei confronti dei partiti di governo, che solo la Lega sembrava interpretare.
Queste elezioni sembrarono essere un indicatore di ciò che stava succedendo in Italia e la crisi appariva molto grave112. Come scrisse Edmondo Berselli: «Quella di Brescia non è una febbricola, è potenzialmente una malattia letale»113.
Il referendum era stato il primo campanello d’allarme, soprattutto qui, nel profondo Nord, dove nonostante tutti i maggiori partiti avessero invitato l’elettorato all’astensione, la partecipazione un po’ ovunque era stata altissima, con i picchi del Veneto bianco. Ora le 110 Ibidem. 111 G. Passalacqua, E adesso governo io, «la Repubblica», 27 novembre 1991. 112 L’importanza delle elezioni di Brescia è sottolineata anche in Colarizi e Gervasoni, op.cit., p. 258; ed in G. Piazzesi, Le cifre gridano, «Corriere della Sera», 26 novembre 1991. 113 E. Berselli, L’Italia nonostante tutto, il Mulino, Bologna 2011.
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amministrative di Brescia erano un altro avviso dello scollamento che stava avvenendo tra partiti tradizionali e società. Infatti anche il Pds non riusciva, nonostante fosse all’opposizione ed avesse cavalcato l’onda del referendum a lucrare sulle difficoltà del quadripartito. Solo un partito come la Lega, totalmente fuori dagli schemi e dal “sistema”, riusciva a catalizzare consensi su di sé. Sempre più si aveva la sensazione come se «soffiasse nella società italiana un vigoroso vento di sfiducia, l’opinione pubblica si scopriva ogni giorno più insofferente e meno attenta verso le pratiche della democrazia»114.
Soprattutto il Nord si mostrava insofferente verso l’immobilismo e l’afasia delle forze di governo, come se dissolte le grandi ideologie con la fine del “secolo breve” una parte della borghesia settentrionale non riuscisse più a percepire i vantaggi nell’alleanza con politici del Sud115. L’assistenzialismo e il clientelismo erano stati una necessaria valvola di sfogo delle tensioni sociali ed un mezzo per procurare voti al blocco di potere dominante116, tutto ciò era stato tollerato dal ricco nord in chiave anti‐comunista; ora, però, venuto meno quel pericolo, la Lega dava rappresentanza a quella parte della società che guardava con preoccupazione la prospettiva di una perdita di benessere e voleva che le risorse prodotte rimanessero nelle province e regioni di appartenenza. Ma soprattutto dava voce al malcontento verso una classe politica che veniva percepita come parassitaria, corrotta ed improduttiva. Rimaneva aperto il nodo politico di chi potesse raccogliere questa rappresentanza a livello nazionale, rimanendo la Lega, per radicamento geografico e alcuni tratti xenofobi, un partito che non poteva ambire ad essere guida nazionale di un processo 114 M. Fuccillo, Nell’urna pala e piccone, «la Repubblica», 23 novembre 1991. 115 Sulla questione settentrionale si suggerisce G. Berta, Nord. Dal triangolo industriale alla megalopoli padana 1950‐ 2000, Mondadori, Milano 2008; Id., La questione settentrionale, Feltrinelli, Milano 2007. 116 A. Lepre, op. cit., p. 340.
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1.7 Magistrati, media e le scelte del sistema economico‐finanziario di fronte alla