Terzo Capitolo
3.9 Dai partiti alle coalizioni Il Polo delle libertà e del Buongoverno
3.9 Dai partiti alle coalizioni. Il Polo delle libertà e del Buongoverno.
Come abbiamo visto già dalla fine di dicembre Berlusconi aveva cominciato ad avere contatti costanti con Bossi e Fini. Si rivolgeva ai due leader dei partiti di destra, i cui elettorati, secondo i sondaggi della Diakron, apparivano i più contigui all’elettorato potenziale di Berlusconi. Ai primi di gennaio era ancora possibile un’ipotesi di allargamento verso il centro con i popolari e pattisti, ma ormai Berlusconi vi riponeva poche speranza, di fatto puntava ad un’intesa con Lega e Msi‐An. Questa rimaneva l’unica strada percorribile per costruire una coalizione che avesse possibilità di vittoria contro le sinistre. Per il mondo cattolico avrebbe fatto affidamento sul Ccd di Casini e Mastella, acquisito il rifiuto di Segni e Martinazzoli.
I negoziati tra Forza Italia ed il Movimento sociale, dai primi di gennaio ufficialmente ribattezzata Alleanza nazionale, richiamarono l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Fin dalla famosa dichiarazione di Berlusconi a favore di Fini candidato sindaco si era concentrato un grande interesse mediatico sulla possibile intesa. Un’alleanza elettorale con il partito erede della tradizione fascista costituiva un’assoluta novità nel panorama della politica italiana, nonostante il cambio di nome del partito ed alcuni gesti simbolici del suo leader Fini433. Eppure l’ingresso in politica di Berlusconi ebbe l’effetto di innescare un’immediata quanto inaspettata legittimazione degli ex‐missini434. Poi sdoganati di fatto attraverso il voto popolare nelle amministrative del 1993. La crescita del partito dimostrava anche che gli elettori moderati credevano nel percorso di trasformazione dal Msi in Alleanza nazionale, con annessa accettazione delle regole democratiche e l’abbandono delle ultime reminiscenze fasciste435.
Il 13 febbraio 1994, Fini e Berlusconi annunciarono il loro accordo. Avevano trovato un’intesa per correre insieme al Sud e al Centro, Forza Italia ed Alleanza nazionale si
433
Per esempio l’11 dicembre Fini si reca alle Fosse ardeatine per rendere omaggio alle vittime dell’eccidio nazista. Cfr. M. Latella, Fini compie la svolta: va alle Fosse ardeatine e dà vita ad Alleanza Nazionale, «Corriere della Sera», 12 dicembre 1993; la svolta missina invece avviene a fine gennaio tra l’ultimo congresso del Msi e quello di fondazione di An, cfr. B. Tucci, Fini battezza Alleanza nazionale, «Corriere della Sera», 23 gennaio 1994; G. Battistini, E Fini
sponsorizza Berlusconi, «la Repubblica», 29 gennaio 1994.
434 Cfr. A. Carioti, Dal ghetto al palazzo: l’ascesa di Alleanza nazionale, in P. Ignazi e R. Katz (a cura di), in Politica in
Italia. Edizione 1995, cit., pp. 73‐95.
435
163 sarebbero presentate sotto un comune simbolo, quello del Polo del Buongoverno, in tutti i collegi uninominali. Ad Alleanza nazionale sarebbe spettato il 55% dei collegi a Forza Italia il 35%. Altre tre formazioni minori si sarebbero divisi il restante 10%, si trattava dell’Unione di centro (Udc), una nuova formazione erede del vecchio partito liberale, il Ccd degli ex‐Dc contrari alla scelta centrista di Martinazzoli, ed infine i radicali di Pannella436.
Due giorni prima, a Macherio, Berlusconi aveva concluso anche il patto elettorale con la Lega. Il negoziato non fu semplice437: Bossi si era dichiarato più volte contrario a stringere alleanze con chi stava trattando con i “fascisti”.
L’intesa fu più volte sul punto si saltare. Infatti all’interno della Lega convivevano tre correnti di pensiero differenti: chi auspicava un accordo con Segni, chi con Berlusconi ed un parte non trascurabile, tra cui figurava l’ideologo Miglio, che avrebbe preferito che la Lega andasse da sola alle elezioni. Tramontata l’ultima ipotesi e rotto il tavolo delle trattative con Segni, non rimaneva che l’opzione Forza Italia, tuttavia la Lega condusse una trattativa serrata, da cui riuscì a spuntare notevoli concessioni da parte di Berlusconi. Fu per andare incontro a Bossi, infatti, che Berlusconi decise di presentarsi alle elezioni con un’alleanza divisa in due blocchi: Polo del Buongoverno nel centro‐sud con Alleanza nazionale e Polo delle libertà al nord con la Lega. «Incontrai Berlusconi ad Arcore – ha raccontato Fini – e nacque l’ipotesi di un cartello nazionale comprendente Forza Italia, Alleanza nazionale e la Lega Nord. Ma Bossi si oppose. I suoi attacchi nei nostri confronti erano così duri che un giorno andai a trovarlo per chiedergliene ragione. Sul veto ad un’alleanza generale Bossi fu irremovibile, e lì si manifestò la grande capacità di Berlusconi di fare da cerniera tra i due movimenti che si trovavano molto lontani tra loro»438.
Con questa strategia Berlusconi riuscì a far convivere nella stessa coalizione Lega e An senza che le due forze si coalizzassero tra loro. Berlusconi e Forza Italia giocarono così un ruolo decisivo, quello di collante tra le due forze e di unico partito con una dimensione nazionale del centro‐destra.
436 Destra, al Sud con un suo simbolo, «la Repubblica», 13 febbraio 1994; e cfr. con E. Poli, op.cit., pp. 59‐60. 437
G. Da Rold, Bossi: Cavaliere attento a restar solo, «Corriere della Sera», 4 febbraio 1994; G. Battistini, Nasce la cosa
grigia ed aspetta il Senatur, «la Repubblica», 23 gennaio 1994; il 5 febbraio una prima apertura di Bossi a Fini:
«Alleanza nazionale? Noi non la vediamo come interlocutore. Anche se sono possibili accordi tecnici con Forza Italia». Cfr. V. Testa, Il Cavaliere esulta: “Ora si fa sul serio”, «la Repubblica», 5 febbraio 1994.
438
164
Il prezzo da pagare a Bossi però fu carissimo: la Lega ottenne il 70% dei collegi uninominali al nord e la rinuncia di Berlusconi di potersi candidare a Milano. Comunque alla fine delle trattative e nonostante le rinunce a favore degli alleati, Forza Italia sarebbe arrivata a 276 candidati nei collegi uninominali, un numero comunque rilevante per una forza politica tenuta a battesimo pochi mesi prima439.
L’alleanza che unì Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega Nord, fu senza dubbio il capolavoro politico di Berlusconi, che riuscì ad unire due elettorati contigui sulle issues, ma regionalizzati e distanti nei rapporti tra le leadership. Inoltre riuscì a far emergere An dalla condizione ghettizzata in cui era stata reclusa e che la rendeva improponibile per ogni alleanza governativa; inoltre contribuì a trasformare la Lega da movimento anti‐sistema ad un forza, se non proprio responsabile, almeno credibile ed accettabile da parte di un elettorato moderato. Infine, essendo riuscito in extremis a trascinare anche i neocentristi, fuoriusciti dalla Dc, aveva allargato la coalizione al mondo cattolico e dava all’alleanza un’ulteriore impronta moderata. Infine a dare il loro contributo ci sarebbe stata anche una pattuglia di liberali superstiti delle inchieste di Tangentopoli e i radicali di Pannella.
Berlusconi, riuscendo in questa impresa che sembrava impossibile, ne risultò legittimato come attore politico nazionale. La sua presenza come leader ampliò anche il potenziale della coalizione, molti elettori moderati si sentirono tranquillizzati con il suo coinvolgimento, come se fosse una garanzia di tenuta democratica dell’alleanza. Berlusconi insomma era riuscito nel suo obiettivo: ad un mese dalle elezioni era riuscito a costruire una coalizione moderata ampia e credibile da contrapporre alla sinistra440.
L’Alleanza progressista, che pur partiva con il vantaggio di aver già sperimentato ampie coalizioni durante le elezioni amministrative del 1993, quando i suoi oppositori erano divisi, ora si trovò improvvisamente di fronte un’inedita alleanza di destra sorprendentemente unita e vasta. Intanto “la gioiosa macchina da guerra” era stata presentata a Roma il primo febbraio441. Era composta da otto partiti442, tra cui il principale
439 C. Brambilla, Patto con Berlusconi ora la Lega è tricolore, «la Repubblica», 11 febbraio 1994. Per la conferenza
stampa di ratifica dell’accordo vedi Archivio Radio Radicale, [75179] L’alleanza elettorale tra Forza Italia, Lega Nord e CCD riuniti in unico polo liberal‐democratico. 11 febbraio 1994. 440 Una volta formata l’alleanza la crescita della destra divenne esponenziale, soprattutto quella di Forza italia, cfr. The rise of italy’s right, «The Economist», 19 febbraio 1994. 441 F. Verderami, Parte la gioiosa macchina da guerra, «Corriere della Sera», 2 febbraio 1994.
165
era naturalmente il Pds di Occhetto, che si sarebbero presentati assieme sotto uno stesso simbolo, i “progressisti”443.
Tuttavia questa alleanza sarebbe stata segnata fin dal suo esordio dall’estrema litigiosità dei componenti444. L’elevato numero di attori, la densità partitica dello schieramento, la pluralità delle sedi negoziali resero la trattativa laboriosa e contrastata nonostante la quasi assodata disponibilità delle forze in campo ad allearsi. Infine sebbene i progressisti avessero vinto le amministrative dimostrando l’importanza di individuare un leader carismatico, all’appuntamento con le politiche sorprendentemente si trovarono impreparati. Mentre nello schieramento avverso emergeva la candidatura di Silvio Berlusconi, i Progressisti non individuarono un candidato premier.
L’assenza di un opzione precisa dei progressisti indebolì la proposta della sinistra. L’ipotesi più accreditata era una riedizione del governo Ciampi, ma la poca chiarezza su questo punto avallò la tesi che in caso di una vittoria dei progressisti fosse il Pds a prendere le redini di Palazzo Chigi con un suo uomo. Questa supposizione cementò una vasta opposizione moderata che contribuì alla deludente perfomance elettorale dei progressisti445. Inoltre la coalizione di sinistra, in particolare il Pds, fece poco per recuperare pezzi di gruppi dirigente dopo il crollo della Dc e del Psi.
Eppure la sinistra nella sua storia non aveva mai passato la soglia del 40% alle elezioni; era evidente che occorreva un’operazione di recupero al centro dell’elettorato. Invece i progressisti furono riluttanti ad aprirsi ad altre forze politiche ed interlocutori. Ai socialisti furono lasciati pochi e difficili collegi uninominali. Secondo De Michelis: «Quegli stessi comunisti, o post‐comunisti, che nella fase finale del craxismo avevano respinto l’ipotesi di Craxi dell’Unità socialista, […], si posero successivamente l’obiettivo di svolgere la stessa funzione alla rovescia e ritennero necessaria come precondizione la distruzione radicale della struttura organizzativa del Partito socialista. È evidente che nel compiere la scelta di 442 Mattina, Adornato, Del Turco, Occhetto, Orlando, Bertinotti, Ripa Di Meana, Gorrieri. 443 G. Battistini, L’Italia che vogliamo, «la Repubblica», 2 febbraio 1994. 444 Solo alcuni titoli da «la Repubblica» che seguì con attenzione la campagna elettorale dei “Progressisti”. S. Messina,
Scoppia la “grana verde”, «la Repubblica», 2 febbraio 1994; G. Battistini, E il tavolo traballa…, «la Repubblica», 4
febbraio 1994; M. Fuccillo, Il complesso di Peter Pan che affligge la sinistra, «la Repubblica», 4 febbraio 1994; S. Messina, “Smettetela di comportarvi come bambini”, «la Repubblica», 4 febbraio 1994.
445
166
questa scorciatoia, essi hanno posto le premesse della loro sconfitta. Perché il risultato è stato di aver diffuso in quella parte del corpo elettorale italiano che si era espressa nel Psi‐ […]‐ un tale rigetto nei confronti delle posizioni comuniste e post‐comuniste da condannarli alla sconfitta elettorale»446.
Anche il corteggiamento nei confronti di Segni e Martinazzoli fu minimo, nonostante fosse presente nel Partito popolare una consistente componente di “sinistra”447 e dalla Dc si fosse staccata già staccata una piccola pattuglia di “cristiano sociali” guidati da Ermanno Gorrieri. L’aggregazione su cui evidentemente si riponevano maggiori speranze era l’Alleanza democratica di Adornato, Ayala e del sindaco di Roma Rutelli, un raggruppamento creato per orientare i ceti medi “riflessivi” verso la coalizione progressista. Tuttavia questa formazione al momento del voto si sarebbe dimostrata poca cosa. Rimanevano poi la Rete e i Verdi di Mattioli. Infine gli uomini di Rifondazione comunista, forza organizzata e con un discreto radicamento territoriale, ma che per alcuni aspetti programmatici rappresentava più una zavorra che una risorsa.
Probabilmente molti, troppi erano stati i successi dell’autunno del ’93, tanto da avvalorare l’ipotesi un’avanzata irresistibile. In tanti pensarono che il “centro” fosse scomparso, lo dimostravano le sfide di Roma, Napoli, Torino e Palermo. Ormai la dialettica era tra destra e sinistra. E quando si arrivava al dunque era chiaro da che parte pendesse la bilancia. Così fu che tra i progressisti si accreditò l’opinione che fosse giunto il momento della loro vittoria, in un determinismo storico ingiustificato448. 446 G. De Michelis, L’ombra lunga di Yalta, p. 165. 447
Per un maggiore approfondimento sulla formazione e le strategie delle coalizioni cfr. con S. Bartolini e R D’Alimonte, Maggioritario ma non troppo, il Mulino, Bologna 1995, pp. 177‐233; A. Di Virgilio, Dai partiti ai poli. La
politica delle alleanze, in Rivista italiana di scienza politica, n. 3, dicembre 1994, il Mulino, Bologna 1994, pp. 493‐ 547.
448
V. Bufacchi e S. Burgess, L’Italia contesa. Dieci anni di lotta politica da Mani pulite e Berlusconi, Carocci, Roma 2001, p. 189‐191.
167
3.10 La pianificazione della campagna elettorale e l’importanza della