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Il Polo vince le elezioni Forza Italia tra innovazione e fratture di lungo periodo

Terzo Capitolo

3.11  Il Polo vince le elezioni Forza Italia tra innovazione e fratture di lungo periodo

 

I risultati elettorali diffusi la sera del 29 marzo diedero la dimensione del successo di  Berlusconi. I due Poli, della “Libertà” e del “Buongoverno”, avevano raccolto nel complesso  il 42,9% dei consensi alla Camera che corrispondevano al 58,1% dei seggi. I “Progressisti”  ottennero  il  34,4%  che  tradotto  in  seggi  equivaleva  al  33,8%;  il  centro  cattolico  e  dei  “Pattisti” riusciva ad arrivare al 15,7% dei consensi che in seggi però corrispondeva al solo  7,3%, la mancata scelta di uno schieramento era costata molto cara. Al Senato il vantaggio  del  Polo  era  minore:  la  coalizione  di  centro‐destra,  otteneva  solo  il  49,2%  dei  seggi,  mancando la maggioranza assoluta. 

Nella  quota  proporzionale  Forza  Italia  risultava  il  primo  partito  con  il  21,1%  di  voti,  corrispondente  a  8.119.287  elettori461.  A  seguirlo  il  Pds  con  il  20,4%,  che  migliorava  di  quattro  punti  percentuali  il  suo  risultato  del  1992462.  Alleanza  nazionale,  dopo  i  notevoli  successi  alle  passate  amministrative,  continuava  a  crescere  divenendo  il  terzo  partito  italiano con il 13,5%. Dell’eredità democristiana rimaneva l’11,1% del popolari da sommare    460 M. Lazar, L’Italia sul filo del rasoio, Rizzoli, Milano 2009, p. 7‐20.  461  La novità di Forza Italia fu dirompente: dei 104 eletti nella quota maggioritaria alla Camera, solo quattro avevano  avuto una precedente esperienza politica. In generale i partiti che crebbero di più furono quelli che ebbero il più alto  tasso di ricambio. Il 90,4% di Fi, il 77,5% di An, e il 69,5% di quelli della Lega erano di prima nomina. Anche tra Pds, Rc  e Ppi più della metà dei nuovi parlamentari non aveva esperienze precedenti. P. Ignazi, op.cit., p. 173.  462  Per le percentuali vengono considerati i risultati nella quota proporzionale. 

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al 4,7% dei pattisti di Segni. La Lega Nord appariva per la prima volta in affanno, otteneva  l’8,4%  in  leggera  diminuzione  rispetto  al  1992,  l’armata  verde  subiva  un  rallentamento,  ciononostante l’abile contrattazione di Bossi sui collegi uninominali garantiva alla Lega 118  seggi, più di ogni altro partito. Rifondazione comunista migliorava leggermente dello 0,5%  arrivando al 6,1%, per il resto avevano deluso gli altri partiti “progressisti”, tutti ben al di  sotto  della  soglia  del  4%  che  permetteva  l’ingresso  in  parlamento  con  la  quota  proporzionale463.  

I flussi di voto rispetto al 1992 evidenziarono come Forza Italia fosse il fenomeno attrattivo  principale, riuscendo ad intercettare gran parte dell’eredità elettorale del pentapartito, in  più  riusciva  ad  erodere  l’elettorato  delle  Lega  in  alcune  sue  roccaforti464.  In  particolare  Mannheimer  e  Diamanti  studiarono  questa  dinamica  poco  dopo  le  elezioni,  dimostrando  che Forza Italia aveva drenato circa un elettore su quattro tra quelli che nel ’92 avevano  scelto un partito di governo ed addirittura uno su tre alla Lega465. 

In termini di geografia elettorale il risultato di Forza Italia era straordinario. Primo partito al  Nord, insieme alla Lega un vero dominio. In Lombardia il duo Fi‐Lega ottenne 73 seggi sui  74  in  lizza  per  il  maggioritario  alla  Camera  e  35  su  35  al  Senato.  Qualche  spazio  per  i  progressisti solo in Liguria e nell’area urbana di Torino, poi quasi ovunque una disfatta.  Il  centro  si  confermava  “zona  rossa”,  i  collegi  uninominali  erano  quasi  tutti  progressisti,  ciononostante  Forza  Italia  risultava  il  secondo  partito  nella  quota  proporzionale  a  conferma del suo insediamento costante nella società italiana anche in zone con una forte  subcultura avversa, costringendo il Pds sempre più a guardia di un fortino sotto assedio.   Il Sud risultava essere la zona a più alta competizione elettorale. Eccetto la Sicilia, dove la  coalizione  di  centro‐destra  otteneva  un  altro  risultato  notevole,  nelle  altre  circoscrizioni  elettorali  spesso  il  risultato  era  in  bilico,  anche  se  alla  fine  risultava  comunque  una  prevalenza del centro‐destra. Forza Italia era il terzo partito, ma non aveva presentato la    463 Ginsborg, op.cit., pp. 543‐546.  464  N. Tranfaglia, Vent’anni con Berlusconi, cit., p. 41‐42.   465  R. Mannheimer e I. Diamanti, Milano a Roma, p. 32. 

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lista in Puglia, se ciò fosse avvenuto Forza Italia sarebbe risultato con molta probabilità il  primo partito anche in quest’area geografica del paese466con uno scarto del 1%‐2%. 

Forza  Italia  era  stata  la  forza  politica  che  meglio  aveva  colto  lo  spirito  ed  i  sentimenti  profondi  dell’elettorato  moderato.  Sicuramente  il  carisma  di  Berlusconi  e  l’efficacia  della  comunicazione  furono  un  fattore  indubitabile  del  successo  di  Forza  Italia,  tuttavia  spiegavano fino ad un certo punto l’ampiezza del risultato del partito azzurro. Il contesto  storico  all’interno  del  quale  nasceva  Forza  Italia  era  quello  della  “rivoluzione  contro  la  politica”467,  quando  vennero  al  pettine  gli  antichi  nodi  del  confronto  tra  società  civile  e  potere politico. Dopo due anni di aspro conflitto, Forza Italia probabilmente rappresentò la  risposta  più  credibile  alla  crisi  dei  partiti  della  Prima  repubblica.  Il  tentativo,  riuscito,  di  rispondere ad un’emergenza e dare rappresentanza all’Italia moderata rimasta orfana dei  sui riferimenti storici468. Forza Italia, dunque, in questa elaborazione diveniva il frutto di un  processo  dove  si  intrecciavano  novità  e  continuità.  Offriva  una  rappresentanza  ad  ampi  settori  del  pentapartito,  senza  scontentare  coloro  che  erano  stanchi  della  politica  tradizionale469. Proponeva  una  rivoluzione  liberale,  contro  la  rivoluzione  dei  giudici  e  le  tradizioni  stataliste  dei  partiti  della  Prima  repubblica.  Inoltre  un  nuovo  partito  nei  programmi, nei volti e nei metodi della costruzione del consenso, ma che si inseriva in una  vecchia  frattura:  porre  un  argine  alle  forze  progressiste.  I  pidiessini,  infatti,  nonostante  fossero passati attraverso la “Bolognina” suscitavano ancora poca credibilità come forza di  governo.  

Ed  infatti,  gran  parte  dell’elettorato  del  pentapartito  si  orientò  verso  Forza  Italia,  Giovagnoli,  qualche  anno  dopo,  riflettendo  sul  successo  del  partito  di  Berlusconi  e  sull’eredità politica dei cattolici, avrebbe scritto: «Nel marzo del 1994 Forza Italia avrebbe  colto  un  grande  successo,  assai  sorprendente  a  pochi  mesi  dalla  sua  costituzione.  Tale  successo fu strettamente legato al collasso della Dc: gran parte del voto moderato che si 

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  Per  un’analisi  dei  risultati  elettorali  cfr.  S.  Bartolini  e  R.  D’Alimonte,  Maggioritario  ma  non  troppo,  il  Mulino,  Bologna 1995; I. Diamanti e R. Mannheimer, Milano a Roma, Donzelli Editore, Roma 1995; particolarmente dettagliato  per  i  risultati  nei  singoli  collegi  Speciale  elezioni,  «la  Stampa»,  30  marzo  1994;  un  interessante  contributo  internazionale  é  M.  Bull  e  J.  Newell,  Italy  changes  course?  The  1994  elections  and  the  victory  of  the  right,  «Parlementary Affairs», 48, I, 1995, pp. 72‐99.  467 Nella definizione di Giuseppe Vacca, cfr., G. Vacca, Il riformismo italiano, cit., p. 41.  468  F. Adornato, La nuova strada. Occidente e libertà dopo il novecento, Mondadori, Milano 2003.  469  C. Pinto, op. cit., p. 32, in Uscire dalla Seconda repubblica, cit. 

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riconobbe  in  Berlusconi  veniva  infatti  dalla  Democrazia  cristiana»470,  anche  Follini  ha  espresso un giudizio simile: «Improvvisa e imprevista, la formazione di una nuova destra ha  trovato  il  suo  lievito  tra  gli  elettori  democristiani»471.  O  ancora:  «La  grande  novità  del  linguaggio e la grande sete di rinnovamento furono determinanti. – Ha dichiarato La Loggia  ‐  A  queste  va  aggiunto  un  altro  fattore,  rappresentato  dal  fatto  che  liberali,  socialisti  e  socialdemocratici  erano  rimasti  sostanzialmente  senza  casa  e,  nonostante  la  parte  più  robusta  fosse  quella  degli  ex  Dc,  anche  queste  eterogenee  componenti  trovarono  spazio  all’interno del nostro movimento e furono adeguatamente rappresentate»472. 

Tuttavia  Forza  Italia  non  intercettava  solo  l’elettorato  Dc,  Forza  Italia  rappresentava  qualcosa  di  più  complesso  da  questo  punto  di  vista.  Per  esempio,  Lagorio,  nel  suo  libro  sulla fine del Partito socialista ha osservato per quanto concerneva le scelte dell’elettorato  socialista,  «una  buona  parte  si  era  ritirato  nell’astensione,  un  20%  circa  si  era  speso  nel  voto  alle  residue  sigle  socialiste  e  in  una  misura  risicatissima  nel  voto  al  blocco  delle  sinistre  egemonizzato  dai  post‐comunisti.  Il  grosso  degli  elettori  socialisti  si  era  rifugiato  sotto  la  bandiera  di  Forza  Italia».  Inoltre  l’autore  avanzava  una  sua  interpretazione  riguardo lo scarso seguito che avevano avuto le liste progressiste tra gli elettori socialisti:  «Non era una scelta a favore del campo conservatore, il fronte moderato non era la casa  naturale  degli  elettori  socialisti,  ma  loro,  nella  battaglia  drammatica  a  sinistra  durata  decenni  fra  socialdemocrazia  e  comunismo,  avevano  maturato  convincimenti  autonomistici così profondi che ora non accettavano di votare gli epigoni del comunismo.  Non  accettavano  che  gli  sconfitti  della  storia,  profittando  degli  ultimi  tristi  avvenimenti,  potessero issarsi da trionfatori sulla vetta del potere in Italia»473.   

Il successo di Berlusconi era stato favorito, dunque, anche dallo spostamento dei socialisti  nel campo del centro‐destra, evento unico nel mondo Occidentale, ma che in questo caso  trovava  una  ragione  su  come  il  Pds  aveva  tematizzato  lo  scontro,  in  particolare  sulla  questione  giudiziaria474.  Per  Cicchitto  non  c’era  da  essere  sorpresi,  «perché  il  Pci‐Pds‐Ds 

  470  A. Giovagnoli, Il partito italiano, La democrazia cristiana dal 1992 al 1994, Laterza, Roma‐Bari 1996, p. 261.  471 M. Follini, C’era una volta la Dc, p.104.  472 Intervista dell’Autore ad E. La Loggia, 16/12/2011.  473  L. Lagorio, L’esplosione, cit., p. 186.  474  Su questo tema anche, cfr. A. Marino, In partibus infidelium, «Mondoperaio», Gennaio 2012,  pp. 63‐68. 

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non  aveva  culturalmente  superato  il  leninismo  con  l’approdo  alla  socialdemocrazia,  ma  aveva riconvertito il berlinguerismo in giustizialismo»475. Il suo gruppo dirigente, poi, che  era  in  perfetta  continuità  con  quello  del  Pci,  era  stato  l’artefice  della  “manipolazione  politica” che aveva portato alla dissoluzione del Psi476. Per molti socialisti diveniva a quel  punto naturale trovare uno sbocco politico in Forza Italia perché «a partire dal 1994, tutta  l’area  cattolica  moderata,  liberale,  socialista  riformista  del  paese,  orbata  a  colpi  di  scimitarra  giudiziaria  della  propria  rappresentanza  politica,  si  era  guardata  intorno  alla  ricerca  di  una  nuova  forza  politica  che  la  rappresentasse»477.  Così  l’iniziativa  di  un  imprenditore,  che  inizialmente  era  sembrata  velleitaria,  divenne,  “proprio  perché  capace  di  dare  una  risposta  politica  profondamente  sentita”,  un’alternativa  augurabile  per  molti  esponenti ed elettori di quello che era stato il pentapartito.  

Il  partito  azzurro,  insomma,  aveva  attratto  nel  suo  complesso  la  gran  parte  degli  elettori  del  pentapartito,  che  avevano  vissuto  con  preoccupazione  prima  la  scomparsa  dei  loro  partiti  di  riferimento  e  poi  la  vittoria  alle  amministrative  del  ’93  dei  Progressisti.  Inizialmente si erano rifugiati nell’astensionismo, oppure, una parte, nel ’93, aveva votato i  candidati della Lega e del Msi. Poi, alle politiche, la comparsa di Forza Italia aveva dato uno  sbocco elettorale ad un orientamento di cui erano scomparsi i riferimenti politici, ma non il  radicamento  sul  territorio.  È  importante  osservare  che  Forza  Italia  coinvolgeva  questo  elettorato,  ma  su  un  paradigma  ideologico  differente  rispetto  al  passato.  C’era  la  continuità  nella  volontà  di  contrapporsi  alle  sinistre,  ai  “comunisti”;  tuttavia  innescando  una  rivoluzione  liberale  in  Italia.  Berlusconi  rifiutava  lo  statalismo,  al  contrario,  una  delle  idee forza della sua compagna elettorale fu la promessa di abbassare la pressione fiscale e  diminuire  l’intervento  dello  Stato,  in  evidente  discontinuità  con  le  scelte  di  indirizzo  economico compiute negli ultimi anni dalla Dc e dal Psi.  

Da parte progressista si era immaginato che la caduta del Muro, Tangentopoli e la stagione  dei  referendum  avessero  rimescolato  profondamente  i  meccanismi  del  sistema  politico  italiano,  destrutturando  le  subculture  di  tradizionale  riferimento  elettorale.  I  referendum 

  475 F. Cicchitto, op. cit., p. 173.  476  G. De Michelis, L’ombra lunga di Yalta, Marsilio, Venezia 2002, p. 152.  477  F. Cicchitto, op. cit., p. 171‐72. 

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prima,  la  tornata  di  voto  amministrativo  poi,  avevano  nutrito  questa  illusione.  In  realtà,  invece,  i  cambiamenti  erano  stati  limitati:  la  sinistra  era  rimasta  egemone  come  da  tradizione solo al centro del paese, ma non aveva allargato i suoi consensi né geografici né  politici.   

Soprattutto pesava per il Pds il mancato sfondamento nell’elettorato socialista.  Su queste  tematiche D’Alema presentò una sua analisi sui motivi della sconfitta. La sua attenzione si  concentrava  proprio  su  come  il  gruppo  dirigente  del  Pds  aveva  interpretato  la  fine  della  Prima repubblica: «Una dialettica politica imperniata quasi esplosivamente sul conflitto tra  vecchio  e  nuovo  e  sulla  critica  alla  cosiddetta  “partitocrazia”  ha  finito  per  oscurare  i  caratteri  contradditori  del  “nuovo”,  che  aveva  le  sue  radici  nelle  dinamiche  sociali  e  culturali degli anni Ottanta, nel rifiuto non solo delle degenerazioni del sistema dei partiti,  ma della mediazione politica tout court»478.   

L’errore  del  Pds,  insomma,  fu  di  avallare  una  lettura  della  crisi  voluta  da  alcune  élite  economiche  e  dalla  grande  stampa,  che  avevano  riproposto  la  loro  avversione  verso  il  potere dei partiti. «Fra il ’92 e il ’94, il Pds aveva fatto da sponda a quella interpretazione in  modo subalterno» pensando che il crollo delle forze di governo lo avrebbe lasciato solo sul  campo. Ma il naufragare della credibilità dei partiti non poteva non trascinare anche il Pds,  a quel punto risultava chiaro che per le responsabilità del gruppo dirigente pidiessino era  stato  possibile  «che  il  crollo  del  regime  democristiano  avesse  come  sbocco  la  vittoria  di  Berlusconi»479.  

In  conclusione,  per  tornare  alla  domanda  che  apriva  il  paragrafo,  questa  vittoria  rappresentava sia l’affermazione di un nuovo movimento politico con tutte le innovazioni  che aveva contribuito ad apportare al sistema dei partiti; d’altronde non doveva sfuggire  che Forza Italia si era anche inserita in un’antica frattura storica e ciò le aveva permesso di  ereditare il sostegno ed il consenso elettorale dalle forze del pentapartito480. Soprattutto  era stato fondamentale il richiamo all’anticomunismo, che poteva essere percepito come    478  M. D’Alema, Sinistra e centro ora insieme dall’opposizione, «l’Unità», 8 maggio 1994; Cit. in G. Vacca, op. cit., p. 52.   479 G. Vacca, op. cit., p. 53.  480 R. Mannheimer, «Forza Italia», in R. Mannheimer e I. Diamanti, Milano a Roma, Donzelli, Roma 1994, pp. 29‐42; L.  Ricolfi, Quali Italie? Vecchie e nuove fratture territoriali, in «Rassegna italiana di Sociologia», n.2, 1996, pp. 267‐78; I.  Diamanti, Bianco, rosso, verde….e azzurro, Il Mulino, Bologna 2004, p. 85‐158. 

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strumentale,  eppure  coglieva  un  comune  sentire  profondamente  radicato  nella  società  italiana. Ovviamente nel 1994 l’anticomunismo come orientamento politico era qualcosa di  molto differente rispetto a ciò che aveva potuto rappresentare solo fino a pochi anni prima  con il Muro di Berlino elevato a dividere due mondi. In quel momento, più che altro, come  ha  dichiarato  Gaetano  Quagliariello,  «l’anticomunismo  ormai  era un  modo  di  vivere,  un  modo di essere, un modo di approcciarsi alla politica e di interpretare le cose in modo non  ideologico.  Io  inserisco  anche  quella  dimensione  più  pragmatica  che  si  ribellava  al  senso  comune dominante, che a causa della conquista dell’egemonia culturale era proprio della  sinistra e di parte del Pci»481. Oltre la frattura, la vittoria del Polo, gettava un ponte con il  passato, con le antiche persistenze e tendenze interne alla società italiana.  

 

 

  481  Intervista dell’Autore a G. Quagliariello, 13/04/2012. 

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