«Il 17 novembre 1991, la Repubblica riferiva che democristiani e socialisti stavano tranquillamente delineando gli scenari politici per il prossimo decennio. In particolare i due partiti si erano accordati per governare insieme per altri cinque anni, possibilmente con livelli di tensione e di disaccordo inferiori a quelli che avevano caratterizzato il periodo precedente»117. Nulla poteva far presagire che di lì a poco una “grande slavina” avrebbe travolto l’intero sistema politico.
Il Psi era in un lento, ma costante aumento elettorale da quando Craxi era diventato segretario del partito, la famosa “onda lunga” non aveva ancora subito battute d’arresto. Qualcuno si aspettava che fosse più impetuosa, però, ora, con il Pds in crisi, sembrava giunto il momento dell’agognato sorpasso a sinistra118. Uno dei nodi nevralgici della strategia craxiana, il riequilibrio delle forze progressiste, la vittoria dello storico “duello a sinistra”119sembrava finalmente a portata di mano. Se il 5 aprile avesse vinto il Psi, diventando il primo partito della sinistra e Bettino Craxi fosse tornato alla guida del governo, si sarebbe compiuto, con successo, il disegno storico dell’autonomismo socialista. Un governo delle sinistre a guida socialista, al momento non era all’ordine del giorno, ancora troppo recente era il processo di metamorfosi del Pci, troppo distanti le posizioni sulle questioni di politica interna, però un sorpasso avrebbe potuto accelerare questa prospettiva proprio come era avvenuto in Francia durante gli anni ottanta e la presidenza di François Mitterrand. Seguendo quel modello presidenzialista tutta la campagna elettorale sarebbe stata puntata sul leader. Sui manifesti, sui volantini, negli spot televisivi compariva sempre il segretario: ormai il partito si riconosceva in lui e gli elettori identificavano il Psi in Craxi120. 117 Ginsborg, L’Italia del tempo presente, p. 471. 118 A dare fiducia a Craxi c’era la vittoria alla amministrative del 1990: il 15,3% alle regionali, il 15,7% alle provinciali, il 17,8% alle comunali. Con il 30,8% a Bari, il 30,8% ad Alessandria, il 31,6% a Salerno, ma anche il 20% a Milano. In C. Pinto, La fine di un partito, cit., p. 24. 119 L. Cafagna e G. Amato, Duello a sinistra: socialisti e comunisti nei lunghi anni '70, Marsilio, Venezia 1982. 120 C. Pinto, cit., p.24.
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Il 17 febbraio, però, quella che doveva essere una tranquilla giornata di campagna elettorale divenne l’inizio di un ciclone che avrebbe spazzato via gran parte della classe dirigente della Prima repubblica. Alle 18:30 sarebbe avvenuto un fatto che avrebbe cambiato le prospettive, i calcoli ed i progetti fatti fino a quel momento. Quando l’ingegner Mario Chiesa uscì scortato dai carabinieri fuori dal suo studio del Pio Albergo Trivulzio nessuno immaginava che in quell’istante si era spostata l’ultimo sasso che avrebbe prodotto la “grande slavina”121.
Fu così che la magistratura fece irruzione nella vita politica italiana122:
i magistrati non avevano resistito alla tentazione di sostituirsi alla classe politica italiana in una funzione di supplenza, a coprire il vuoto lasciato dai partiti incapaci di riformare se stessi e il sistema. L’arma in loro possesso era quella giudiziaria; ed era un’arma estremamente affilata se si considerava il grado di corruzione della società politica, tanto più affilata quando si abbatté sul Psi. Non era casuale che l’ultimo sassolino che fece precipitare la grande slavina fosse l’arresto di Mario Chiesa, […]123. All’inizio, comunque, sembrava un normale caso di corruzione da parte di un personaggio noto, ma non di considerevole importanza nel panorama politico milanese. In televisione se ne occupò solo il Tg3124, quasi a fine telegiornale, prima delle notizie sportive. Anche i quotidiani, il giorno dopo, non diedero particolare valore all’accaduto. «La Repubblica» relegò la notizia solo a pagina 21, titolando con un semplice, «Arrestato per concussione il presidente del Trivulzio»125. Sembrava uno scandalo locale, che sconvolgeva soprattutto i milanesi ed infangava un’istituzione benefica rispettata ed amata come la “Baggina”. Le forze politiche subito si divisero in una dialettica conflittuale. Già pochi giorni dopo l’arresto di Chiesa, durante un Consiglio comunale della città meneghina, Giovanni
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La data dell’inizio delle indagini è del 2 luglio 1991, il giorno della presentazione in Procura della prima denuncia di Luca Magni contro Mario Chiesa. Oltre quella di Magni, c’era già un’altra denuncia recente del 14 febbraio, ed ancora altre due ancora precedenti. In C. Sasso, La difesa di Chiesa, mi dissero:”Quei soldi dalli pure al partito”, «la Repubblica», 21 febbraio 1992.
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Cfr. L. Cafagna, «L’azione dei magistrati milanesi non è solo morale, non è solo giudiziaria, è politica. Il potere giudiziario rompe gli indugi, e dichiara guerra aperta al potere politico», cit., p. 114. Anche Giovagnoli ci ha lasciato un’interpretazione simile: «La magistratura assunse un potere in precedenza sconosciuto, accrescendo la sua influenza rispetto ad altri organi dello Stato e svolgendo di fatto un’azione di supplenza politica». Giovagnoli, Il partito nazionale, cit., p. 263. 123 Colarizi e Gervasoni, op. cit., p. 259. 124 Tg3, Arrestato a Milano amministratore Psi delle case di riposo, 17 febbraio 1992. 125 Arrestato per concussione il presidente del Trivulzio, «la Repubblica», 18 febbraio 1992.
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Colombo, un giovane consigliere dell’Azione cattolica, prendendo le distanze dal suo partito e collocandosi idealmente dalla parte dei magistrati, affermò che il caso non era isolato, anzi oramai c’era «una politica nera che ammorbava tutta la città»126. Il Pds, la Lega e il Msi, furono le altre forze politiche che a partire dall’inchiesta milanese si rappresentarono come la parte sana della politica. Uniti, ‐ insieme alla magistratura ‐, «per eliminare insieme la parte marcia della mela. Nella divisione del mondo tra buoni e cattivi, apparve subito evidente che questi erano i socialisti ed una parte dei democristiani»127. Il confronto cominciato durante la battaglia referendaria si riproponeva, stessi i fronti, identica la rivendicazione di fondo: i partiti di governo ormai si erano consunti nella gestione del potere, quindi era arrivato il momento di demolire la Repubblica dei partiti. Il colpo di grazia al sistema arrivò allorquando, come in occasione dei referendum, si mobilitò il mondo dell’informazione. Infatti, solo quando si accesero i riflettori delle televisioni, di fatto, partì l’inchiesta di “mani pulite”e dal singolo caso di Mario Chiesa si passò alla battaglia politica sulla “questione morale”.
Nei giorni successivi, la notizia, dalla cronaca di Milano, dalle ultime pagine dei giornali, risalì velocemente fino alle prime pagine e divenne l’apertura dei telegiornali nonché il tema dominante delle trasmissioni di approfondimento politico. Si creò un filo diretto tra pool di magistrati e giornalisti. Il terzo piano di Palazzo di Giustizia a Milano, quello della sala stampa, divenne un vespaio di cronisti in cerca della notizia del giorno, ovvero l’arresto. I primi tre quotidiani italiani per diffusione la «Repubblica», il «Corriere della Sera» e la «Stampa», scelsero una linea editoriale simile: pieno appoggio nell’azione della magistratura, tolleranza dei suoi metodi, anche l’uso estensivo della carcerazione preventiva, censura del sistema politico. I direttori di questi giornali hanno raccontato più volte dell’alleanza di ferro per abbattere Craxi: «Ci si sentiva due, tre volte al giorno, si concordavano le campagne, i titoli»128. E come ha confessato anni dopo Giulio Anselmi, all’epoca direttore vicario del Corriere della Sera, in tono autocritico, ci fu «l’idea che molti di noi, me compreso, avessimo un ruolo nella rinascita del Paese, con un impegno civile
126 T. Maiolo, Tangentopoli, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011, p. 23. 127 Ibidem. 128 M. Damilano, Eutanasia di un potere, cit., p. 144.
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che forse andava al di là del nostro lavoro. Abbiamo sbagliato a dare troppa briglia ai giudici, abbiamo dimenticato a volte che le procure sono solo delle fonti possibili e non la verità, abbiamo sbagliato a non riflettere subito sui eccessi delle indagini e del giustizialismo, anche se molte critiche erano finalizzate solo a seppellire Mani Pulite»129. Bobo Craxi a distanza dopo più di vent’anni l’ha definitiva «una bufera politica, ma soprattutto mediatica e giudiziaria pari solo soltanto ad una Guerra»130.
Poi un grande contributo lo diedero alcuni programmi di approfondimento politico della “terza rete”, come Profondo Nord o Milano, Italia condotte da Gad Lerner e Samarcanda di Santoro. La trasmissione di Lerner diede voce alle inquietudini del mondo del nord, lasciando il palcoscenico ai leghisti infuriati contro il sistema ed alla gestione clientelare degli enti della Dc al nord, inoltre non mancavano mai gli attacchi al potere milanese e dunque ai socialisti. Oppure nella prima puntata di Milano, Italia di Gad Lerner, giugno 1992, il teatro Litta di Milano da cui andava in onda la puntata era colmo di magistrati, avvocati e studenti con delle magliette con su scritto “Milano ladrona, Di Pietro non perdona”.
Anche Samarcanda pose l’accento sulla corruzione del sistema politico, Santoro era uno dei conduttori di questa una nuova generazione di giornalisti televisivi che prendevano parte senza nascondere le proprie opinioni e spesso trasformavano le loro trasmissioni in processi con pubblici ministeri, testimoni ed indagati. «Samarcanda non si limitava a rappresentare la realtà, puntava a crearla. Dava voce alla rivolta, anzi la sollecitava»131. «Sullo sfondo c’era il “Moloch” condannato da tutti: il potere, che si esprimeva in partitocrazia, sprechi ripetuti e consumati, mafia che praticamente governa tutto il Sud e si identifica con i partiti di governo. Un’analisi piuttosto schematica, che alla fine, ormai, dovrebbe essere sorretta da nomi, cifre, fatti documentati o documentabili»132. Ed invece nei tempi dei moderni programmi televisivi non c’era spazio per l’esposizione documentata dei fatti. Tre minuti di attacchi ed accuse feroci, un video sensazionalista, un collegamento con cittadini esasperati, poi, un spot, e di nuovo in studio per un nuovo ring. Ed al di là di 129 Ibidem. 130 Intervista dell’Autore a Bobo Craxi, 10/10/2011. 131 M. Damilano, op. cit., p. 149. 132 Ivi.
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quello che si poteva immaginare il messaggio anti‐sistema, anti‐partitocratico, per quanto rozzo nella versione Tv stava entrando nel comune sentire di una consistente fetta della popolazione.
Da questo punto di vista fu paradigmatica la puntata del 30 gennaio, Il partito che non c’è, che fu preceduta ed inframmezzata da tutta una serie di collegamenti da alcune delle strutture pubbliche più degradate della penisola, dove gli intervistati lamentavano l’inefficienza degli enti statali, i concorsi truccati per entrare nel personale, le tangenti per appalti e via su questa falsariga. In studio Eugenio Scalfari, Occhetto e Segni nel ruolo della pubblica accusa. Villetti e La Malfa in quello degli inquisiti, il primo avrebbe provato una difesa, l’esponente repubblicano, scuotendo la testa preferì non replicare, «non ne vale la pena»133. Non fu da meno «la Repubblica» del direttore Eugenio Scalfari che su
Tangentopoli assunse una linea di censura intransigente del pentapartito e del craxismo134. Da quando il 20 febbraio, con un articolo di Giorgio Bocca135, l’inchiesta arrivò in prima pagina, il tema degli scandali di Milano divenne il tema portante della linea editoriale del quotidiano. Con gli editorialisti Bocca e Pansa schierati quotidianamente in opera sistematica di demolizione della «Repubblica dei partiti».
Anche la Fininvest di Berlusconi che già aveva appoggiato con il suo impero televisivo la campagna dei referendum, diede ampio risalto alle inchieste non risparmiando asprezze anche al Psi del suo vecchio amico Craxi. Sono rimasti famosi i quotidiani collegamenti dal Palazzo di Giustizia di Milano del Tg5 con Andrea Pamparana e del Tg4 con l’inviato Paolo Brosio, che mantenevano costantemente informati i telespettatori su nuove inchieste e nuovi arresti. Ed ancora il grido entusiastico di Brosio «hanno arrestato il Cinghialone», quando si sarebbe diffusa la notizia degli avvisi di garanzia a Craxi. O ancora la copertina di «Tv, sorrisi e canzoni» con lo strillo «Di Pietro facci sognare»136.
Anche programmi più leggeri e rivolti al grande pubblico di Fininvest contribuirono alla creazione di un clima di discredito attorno ai partiti di governo. Per esempio, Mezzogiorno 133 Rai, Videoteca centrale, Samarcanda, 30 gennaio 1992. 134 Su «la Repubblica» come attore politico, cfr. A. Agostini, «la Repubblica». Un’idea dell’Italia (1976‐2006), il Mulino, Bologna 2005; M. Stefanini, Il partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e Mauro, Boroli Editore, Milano 2010. 135 G. Bocca, Tangenti d’Italia unitevi…, «la Repubblica», 20 febbraio 1992. 136 E. Berselli, L’Italia nonostante tutto, il Mulino, Bologna 2011, p.53.
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italiano trasmissione indirizzata alle casalinghe e condotta dal popolare Gianfranco Funari,
lanciava ogni giorno l’allarme su problemi che potevano sembrare minori, come la piccola criminalità oppure il pericolo dell’immigrazione clandestina, nondimeno, però, accusando i partiti politici di non essere in grado di risolvere questi problemi. Funari con il suo stile popolaresco riuscì ad ottenere livelli di ascolto sorprendenti, mediamente tre milioni di telespettatori, un’assoluta novità in quella fascia oraria, la mattina, trattando di politica, seppur con un approccio “dal basso”. Ebbe un enorme successo perché mentre Michele Santoro era politicamente strutturato e parlava ad un pubblico già politicizzato che si aspettava di vedere le sue denunce; Funari, al contrario, lavorava per un pubblico variegato e poco politicizzato, di cui divenne il difensore, rendendo popolare la politica che trasformava in un genere di consumo137. Lo stile era sicuramente diverso, meno aggressivo delle trasmissioni politiche di Rai3; l’effetto simile, si lanciava discredito sulla classe dirigente. A questo punto a poco servì la partecipazione ad una puntata di Claudio Martelli. Sembrò, piuttosto, un tentativo di Berlusconi per non inimicarsi del tutto il Psi. Questo era il clima delle piazze mediatiche, nei giorni in cui i magistrati sembravano aver scoperchiato un calderone di pulsioni sopite, ma estremamente violente, nei confronti dei partiti al potere.
Il segretario socialista era, dunque, in situazione difficile, gli scandali rischiavano di compromettere il risultato elettorale e l’agognato sorpasso a sinistra. Provò a reagire, la sera del 3 marzo, in una Tribuna Politica su Rai3, dichiarando: «Una delle vittime sono proprio io. Mi preoccupo di creare le condizioni perché il Paese abbia un governo che affronti gli anni difficili che abbiamo davanti, mi trovo davanti un “mariuolo” che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito»138. 137 M. Damilano, op. cit., p. 165. 138 In P. Colaprico e L. Fazzo, Milano, nuovo arresto, s’allarga il caso Chiesa, «la Repubblica», 4 marzo 1992. Qualche giorno prima aveva dichiarato: «Io sono uno che lavora per tessere una tela, per creare un’immagine: davanti ad episodi come quello di Milano mi viene un grande sconforto. Dopo lo sconforto, però, ho riflettuto e mi sono informato. In cinquant’anni di storia degli enti cittadini milanesi non c’è stato un solo amministratore socialista condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione. Il fatto di Chiesa è grave ma non può deturpare l’immagine socialista. I partiti a volta si trovano in difficoltà come certe famiglie che scoprono che c’è un poco di buono: è difficile trovare i rimedi preventivi, importante è essere inflessibili». In Craxi: «Chiesa non è il Psi. Ma i
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Tuttavia le indagini dei magistrati non si fermarono e gli attacchi dei media non si interruppero; i magistrati, a partire dal pool di Milano, continuavano a riscontrare gravi irregolarità penali, però era pur vero che era un sistema abbastanza consolidato e conosciuto dalla magistratura agli organi di informazione. Tanto che Craxi chiamato a testimoniare durante il processo Enimont sul tema avrebbe dichiarato senza giri di parole ed ipocrisie che lui era sempre stato al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti. «L’ho cominciato a capire quando portavo i pantaloni alla zuava». Perché, dunque, proprio in quel momento dei magistrati decisero si svolgere delle indagini sul potere politico? Era cambiato il clima sociale attorno ai partiti, nelle condizioni anche solo di due anni prima, le indagini, probabilmente, sarebbero state derubricate ad uno scandalo locale. I partiti, però, già da qualche anno, subivano una crisi di autorevolezza, confermata dal risultato del referendum. Avevano conservato un forte radicamento all’interno della società per via di un sistema bloccato: una rendita di posizione. Ma con la caduta del Muro questa condizione veniva meno e settori sempre più ampi della popolazione, del mondo dell’informazione o economico‐finanziario, non erano più disposti a tollerare le inefficienze del sistema politico. Quotidiani e Tv, in questo quadro, avevano dato sfogo a queste pulsioni, in parte indirizzandole, tuttavia era percepibile la carica di reale insoddisfazione verso la classe dirigente. I Giudici, dunque, si inserirono in questo contesto di delegittimazione dei partiti di governo e fornirono contenuti che finirono in pasto all’opinione pubblica139.
139 Craxi, al contrario, avrebbe dichiarato in un’intervista a Bruno Vespa: «Quella di stampa e televisione è stata
un’opera nefasta, si è spesso perso il senso della misura, dell’obbiettività, della serenità e della critica. […] Hanno fatto la loro comparsa la censura, la discriminazione, la manipolazione delle notizie ed un rapporto perverso ed illegale con esponenti del potere giudiziario. Tutto questo ha inquinato fortemente la vita democratica e non ha reso un buon servizio all’opera di verità, di moralizzazione e giustizia che era invece necessario». Archivio Craxi, sezione III, serie 3, sottoserie 1, interviste. 4/07/1994.
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1.8 Le elezioni del 1992 tra persistenza elettorale e conflittualità politica.
Da qualche tempo agiva sicuramente fuori dagli schemi il Presidente Cossiga. Ma fu con l’inizio del nuovo anno che la sua azione cominciò a concentrarsi contro il sistema politico nel suo complesso. Il Presidente diventava una variabile impazzita all’interno dei consolidati equilibri tra attori e partiti politici della Prima repubblica.
La sua prima uscita pubblica del nuovo anno fu il messaggio presidenziale del capodanno del ’92. Lasciando sorpresi e sconcertati osservatori e cittadini, il suo discorso durò esattamente tre minuti. Per giustificare il suo comportamento dichiarò: «Per prudenza, meglio tacere tutto quello che in spirito e dovere di sincerità si dovrebbe dire»140. Pochi giorni dopo, inviò al «Popolo» una lettera in cui sanciva il suo divorzio dalla Dc nella quale aveva militato per più di quarant’anni. Nelle quindici cartelle del testo era presente una dura requisitoria contro il suo ex‐partito, la sua storia e la sua politica attuale141.
A pochi giorni dalla presentazione di Andreotti in Parlamento per l’atteso scioglimento delle Camere la situazione politica appariva cristallizzata. Tra Dc e Psi resisteva l’accordo anche per la prossima legislatura, mentre appariva ancora prematuro un coinvolgimento del Pds. Forlani dichiarava che nei suoi incontri con Craxi gli era stata confermata da parte del leader socialista «la disponibilità a collaborare con la Dc anche nella prossima legislatura. Ora bisognerà confrontare programmi, indirizzi. Ma questa disponibilità l’ho riscontrata e ne ho preso atto con soddisfazione»142.
Craxi, tuttavia, non poteva ignorare la tensioni che crescevano attorno al suo partito e tentando di reagire dichiarò che la prossima legislatura avrebbe avuto il compito di «diradare la confusione, contrastare la demagogia, il qualunquismo, le campagne puramente distruttive. Concentrare l’attenzione e l’impegno sui problemi reali, sulle prospettive concrete di collaborazione e di azione politica e sociale». Mentre gli arrivava anche su questi temi la solidarietà di Forlani, continuava, al contrario, la contrapposizione con il Pds che attraverso D’Alema, uno dei giovani emersi dalla svolta della Bolognina,
140 A. Gava, op. cit., p. 21. 141 Per il testo della lettera, cfr. F. Cossiga, Il torto e il diritto, cit., p. 153‐ 166. 142 S. Folli, Quirinale: gioco a tre Craxi, Forlani, Occhetto, «Corriere della Sera», 28 gennaio 1992.