Terzo Capitolo
3.4 Quelli di Viale Isonzo, 25 La struttura organizzativa
Le ricerche di mercato e i sondaggi per Berlusconi giocarono un ruolo fondamentale nella pianificazione della sua operazione politica. Non avendo altre strutture a cui appoggiarsi furono questi strumenti a guidare le sue scelte iniziali.
Il primo sondaggio esplorativo era stato commissionato all’Abacus già nel luglio del 1993. Il risultato era stato sorprendente: Silvio Berlusconi era conosciuto dal 97% della
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popolazione, mentre il presidente del consiglio Carlo Azeglio Ciampi solo dal 51%. C’era un giudizio molto positivo sulla sua immagine di imprenditore, piacevano il suo dinamismo, la sua capacità innovativa e il fatto di essersi fatto da sé. Inoltre il 70% degli intervistati credeva ci fosse bisogno di un rinnovamento della classe dirigente italiana e che questo poteva essere realizzato solo attraverso un nuovo movimento estraneo ai vecchi partiti; infine, il 78% degli elettori si dichiarava favorevole ad un nuovo partito che proponesse un programma liberal‐democratico, con candidati nuovi e competenti, provenienti dal mondo delle professioni, dell’imprenditoria e dell’università363.
Questi primi sondaggi, seppur incoraggianti non potevano essere considerati esaustivi. Nelle settimane seguenti furono commissionati altre tre indagini. Un’analisi del clima sociale italiano condotto da Makno; un’analisi del clima politico italiano commissionata all’istituto francese Sofres; ed ancora un’analisi dell’immagine pubblica di Berlusconi commissionata all’istituto Explain. Emerse un quadro di profonda sfiducia nei partiti tradizionali e della politica in generale: venivano condannati tanto la Democrazia cristiana quanto il Partito socialista, ma ciò non significava un travaso di voti verso il Pds, partito verso il quale gli elettori mostravano di nutrire un certo scetticismo per il passato comunista.
Risultava dominante l’incertezza e molti elettori erano ancora indecisi sulle intenzioni di voto. Gli intervistati piuttosto speravano in una nuova élite dirigente fatta di persone tecnicamente competenti, ma dal linguaggio semplice; che sapessero affrontare i problemi della disoccupazione e del debito pubblico: temi che venivano individuati come le principali problematiche del Paese. Gli intervistati identificavano in Mario Segni la persona più adatta a guidare il cambiamento in Italia, ma al secondo posto compariva sorprendentemente Berlusconi, a cui veniva riconosciuta la capacità di essere “moderno”, “competente”, “efficace” e “convincente”. Questi dati mostravano con chiarezza che era presente nel tessuto sociale italiano un diffuso consenso pre‐politico per Berlusconi.
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In E. Poli, cit., p. 50. Per i sondaggi anche in G. Pilo, Perché il Polo ha perso le elezioni, Newton Compton, Roma 1996, pp. 24‐48.
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Queste ricerche servirono a confermare le sensazioni iniziali dell’imprenditore milanese. Era evidente una forte sfiducia nei partiti tradizionali, tuttavia non c’era una volontà dell’elettorato di spostarsi su posizioni progressiste.
Non c’erano state rivoluzioni nell’orientamento elettorale, però si percepiva l’assenza di una classe dirigente moderata e credibile che sostituisse il personale politico del pentapartito. Si era aperto uno vuoto enorme nel sistema politico. Ai socialisti, ai democristiani, agli esponenti dei partiti laici non si era ancora sostituito nessuno, il Pds non era riuscito ad attrarre questo elettorato nonostante il trionfo nelle città. Alleanza democratica poteva essere un progetto interessante attorno al quale costruire una nuova classe dirigente, ma l’abbandono di Mario Segni, il suo membro più conosciuto, aveva fatto tramontare il movimento politico sul nascere.
Alle amministrative gli elettori moderati si erano probabilmente orientati in gran parte verso l’astensione, la Lega e il Msi, ma non erano scelte definitive. Quell’elettorato non desiderava il ritorno dei vecchi partiti ed in assenza di alternative il Msi e la Lega avevano rappresentato un rifugio temporaneo. La speranza nel nuovo era al momento riposta in Segni, che però stentava ad ultimare la costruzione del suo polo moderato.
A questo punto Berlusconi desiderava un monitoraggio più costante dell’elettorato, non poteva più affidarsi a società esterne: aveva bisogno di un gruppo di lavoro che si dedicasse a tempo pieno al suo progetto politico. Berlusconi individuò in Gianni Pilo, fidato responsabile dell’Ufficio marketing strategico della Fininvest, la persona adatta a svolgere questa mansione. Giovane, all’epoca trentanove anni, dopo un faccia a faccia introduttivo, “più per tastarmi il polso”364, Berlusconi gli sottopose lo studio di Urbani, quello famoso sulle previsioni elettorali per le politiche del 1994. Come prima cosa gli chiese di verificare con i numeri, le statistiche e sondaggi se ci fosse rispondenza. Quella di Urbani era un’analisi a tavolino, dal punto di vista dell’offerta, ora Berlusconi chiedeva a Pilo di capire se ci fosse anche una domanda rispetto all’offerta politica che stava prendendo vita.
Da queste premesse, il 27 settembre, nacque a Milano l’istituto di ricerche ed analisi Diakron, fondato da Gianni Pilo, che subito fu affiancato da un altro giovane del Gruppo, Mario Valducci, già direttore del settore Sviluppo immobiliare di Standa, allora
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trentaseienne, in seguito deputato Forza Italia e sottosegretario, attuale parlamentare Pdl. Lo specialista del marketing, Pilo, così descriveva il suo lavoro: «L’idea è capire i bisogni della gente, creare legami diretti. Ed evitare strutture burocratiche che allontanino cittadino e amministratori. Abbiamo realizzato e stiamo analizzando decine di sondaggi. I risultati dicono che la gente chiede soprattutto nuovi leader, persone che abbiano prestigio e dimostrino competenza professionale. I cittadini accusano la politica di essersi troppo allontanata dalla società»365. Ecco il lavoro della Diakron: tastare il polso della società, andare tra la gente in città come in periferia e capire quali fossero la richieste più pressanti. Non avendo una struttura consolidata sul territorio solo le interviste telefoniche ed i sondaggi conseguenti potevano coprire questo deficit.
La Diakron stabilì la sua sede a Viale Isonzo, 25, palazzo di proprietà Edilnord. Quattro piani e seimila metri quadri nel traffico plumbeo della periferia sud di Milano. Qui a breve si sarebbe aggiunta oltre alla Diakron, anche il coordinamento nazionale dei Club «Forza Italia!» di Angelo Codignoni, 46 anni, figlio di un minatore emigrato in Belgio, diventato poi responsabile delle attività Fininvest in Francia e direttore generale di La Cinq. Ne coordinava l’attività dal 19 novembre: con il sostegno di una decina di persone, molte delle quali volontarie. Raccontava così ai giornalisti l’entusiasmo attorno al progetto di Berlusconi: «Riceviamo centinaia di telefonate. Sono persone che condividono le idee di Berlusconi e sono disposte a collaborare. Molti si sentono in colpa per aver assistito passivamente al degrado politico, e ora vogliono partecipare. Dicono: “i nomi dei partiti cambiano, gli uomini sono sempre gli stessi; non possiamo avere fiducia nelle stesse persone che ci hanno portato allo sfascio; Occhetto e D’Alema ripetono che sono pronti per andare al potere, ma non si preoccupano dei nostri problemi”. Così quelle persone sono pronte a sostenere chi ha mostrato nei fatti quel che sa fare. Vogliono leader capaci, lontani dalle ideologie»366.
Tuttavia la simpatia verso Forza Italia non si riscontrava solo nelle persone comuni, cominciava a mobilitarsi una parte dei gruppi dirigenti rimasti orfani dei loro partiti di riferimento e che condividevano il progetto di Berlusconi: «Il clima politico nei primi mesi, 365 E. Parodi, Il suo uomo di marketing: ecco il nostro progetto, «Corriere della Sera», 10 dicembre 1993. 366 E. Parodi, Un palazzo per il partito di Berlusconi, «Corriere della Sera», 12 dicembre 1993.
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quelli della costruzione del movimento, dei club, era di grandissimo entusiasmo e di grande partecipazione. – Ha ricordato in un’intervista Enrico La Loggia, già amministratore a Palermo con la Dc e poi senatore dal ’94 con Forza Italia ‐ Noi stessi eravamo increduli di quanta gente si schierasse insieme con Forza Italia, con questo grandissimo vento rinnovatore, con il messaggio chiaro e semplice di Berlusconi, con la qualità di avere inventato un nuovo linguaggio che colpiva direttamente il cuore e la mente delle persone»367.
Oppure vennero attratti personaggi che fino a quel momento erano stati coinvolti sono marginalmente in politica, ma avevano ricoperto importanti ruoli come dirigenti della Pubblica amministrazione. Franco Frattini, per esempio, ha così descritto il clima di quei mesi e il motivo della sua immediata adesione a Forza Italia: «Erano ancora gli anni sì di un crescente e pericoloso distacco del popolo dalle istituzioni. Fare politica era una grande conquista e allo stesso tempo una grande sfida. Quando Berlusconi decise a sorpresa di scendere in campo e di far nascere Forza Italia lo fece in uno dei momenti più drammatici della nostra storia nazionale e repubblicana. Di quell’intuizione mi colpirono la velocità con cui ci si apprestava a nutrire il dibattito politico di nuovi impulsi e contenuti, la determinazione nel combattere le forze politiche illiberali eredi del comunismo e che sino ad allora avevano utilizzato la politica per strappare nuovi spazi, risorse e mezzi di indottrinamento e propaganda. C’era tanta voglia di partecipazione a quel nuovo spazio che nel panorama politico italiano aveva portato un inedito pragmatismo ed uno sguardo immediatamente volto ai problemi economici e sociali da risolvere. Pensai che non dovevo stare a guardare»368. Forza Italia diventava un coagulo di esperienze differenti, dove si incontravano pezzi di gruppi dirigenti del pentapartito con persone fino a quel momento estranee alla militanza politica. Tutto avveniva nei club che continuavano a proliferare in tutta Italia e sotto il continuo monitoraggio dei sondaggi. Infatti, nei locali della Diakron si continuava a lavorare. Viale Isonzo rimaneva il cuore della costruzione di Forza Italia, nonostante il successo dei Club, importantissimi nel fornire dei luoghi di aggregazione reale, non deve sfuggire che Forza Italia rimanesse una struttura fortemente centralizzata 367 Intervista dell’Autore ad Enrico La Loggia, 16/12/2011. 368 Intervista dell’Autore a Franco Frattini, 15/11/2011.
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e fu in questi locali che vide la luce l’organizzazione politico‐aziendale destinata ad affrontare la «gioiosa macchina da guerra» del Pds369.
Entro dicembre la Diakron occupava a tempo pieno 150 operatori telefonici e 20 ricercatori ed esperti di marketing, la metà dei quali era stata distratta dall’Ufficio marketing della Standa che dirigeva Valducci. Già dall’inizio di ottobre i quotidiani sondaggi della società cominciarono a raggiungere i 500 contatti. Lo schema delle interviste era sempre lo stesso. Dieci‐ quindici domande, alcune fisse: propensione di voto, preferenze partitiche, livello di fiducia nei leader, gradimento di Berlusconi, livello di conoscenza di Forza Italia; ed una parte invece mutava a seconda degli avvenimenti politici. Ogni due giorni Gianni Pilo andava ad Arcore e relazionava a Berlusconi sull’andamento dei sondaggi. Per Berlusconi i sondaggi ricoprirono una funzione fondamentale. Gli facevano percepire il gradimento verso la sua persona, il grado di penetrazione del suo progetto politico all’interno della società italiana, il quadro degli orientamenti di voto, delle issues che più preoccupavano la popolazione, insomma guidarono i suoi primi passi nell’agone politico, guidato da una bussola di estrema precisione370. 3.5 Publitalia: il ruolo aziendale nell’individuazione delle candidature. Marcello Dell’Utri fu un personaggio chiave nella costruzione del progetto politico di Berlusconi. A lui fu chiesto di rendere reali le ambizioni di Berlusconi e le idee di Urbani. Palermitano, nato da parto gemellare l’11 settembre del 1941, laurea in giurisprudenza, amico di Berlusconi dai tempi dell’università, all’epoca era il presidente di Publitalia. Questo ramo dell’azienda Fininvest era un caso particolarmente interessante all’interno del Gruppo. Publitalia si occupava della raccolta pubblicitaria attraverso la televisione commerciale, era la punta di diamante del Gruppo dal punto di vista finanziario. Ma a rafforzare la sua importanza in Fininvest era la sottocultura che si era formata attorno a queste persone e che si richiamava ai principi fondanti di Fininvest e di Berlusconi: essere 369 E. Parodi, Un palazzo per il partito di Berlusconi, «Corriere della Sera», 12 dicembre 1993. 370 In E. Poli, cit., pp. 50‐53.
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aggressivi, cogliere ogni occasione, possedere una mentalità vincente e positiva. Erano l’aristocrazia Fininvest: sicuramente i meglio remunerati, poi condividevano gli stili di vita e i modelli di comportamento del leader aziendale ed inoltre avevano sviluppato un forte senso di appartenenza di gruppo, rafforzata dall’idea di appartenere all’élite che aveva rivoluzionato il mercato televisivo e commerciale italiano negli anni ottanta. Molto più che dei professionisti affermati, erano contemporaneamente gli artefici e il miglior prodotto della cultura del benessere degli anni ottanta.
Berlusconi per il movimento politico non poteva fare a meno di queste persone. Consapevole di ciò Berlusconi nel settembre 1993 contattò il suo amico Dell’Utri: «Dobbiamo fare un partito e tu hai Publitalia»371. A Dell’Utri non serviva altro, non avendo mai nutrito dubbi sull’opportunità che l’amico si impegnasse direttamente in politica. Già nella famosa riunione del 10 luglio ad Arcore alla presenza anche di Confalonieri, Letta, per discutere del possibile ingresso in politica, lui, a differenza degli altri due dirigenti, fu da subito favorevole alla discesa in campo, anzi la propose come un’unica alternativa372. Ora doveva partire solo con l’organizzazione. Per dare un’idea di cosa fossero i pubblicitari di Publitalia riportiamo la descrizione che ne ha lasciato Montanelli: «Marcello Dell’Utri era presidente di Publitalia ossia il capobranco di quei pubblicitari Fininvest che muovono all’attacco dei loro obiettivi come lupi affamati»373.
Ed infatti alla fine di settembre del 1993374 era già tutto predisposto. Publitalia veniva coinvolta ufficialmente nel progetto politico del fondatore del gruppo. Era il “Progetto Botticelli”, che prese il nome dalla sala Botticelli del Jolly Hotel di Milano Due, dove Berlusconi illustrò ai 26 capi‐area appositamente convocati per l’occasione il progetto del movimento politico ed il loro compito in questo disegno: trovare un candidato in ciascuno dei collegi uninominali di Camera e Senato. Ad ognuno dei 26 manager venne altresì
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P. Pagani, cit., p. 138.
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Ricorda così Cossiga in Per carità di patria: «Il 10 luglio 1993, Berlusconi decise con i suoi massimi dirigenti di dare il via al progetto di fondare un movimento politico. L’idea sarebbe stata proprio di Marcello Dell’Utri […]. (Letta e Confalonieri erano in disaccordo, nda) e contando sulla mia influenza su Berlusconi mi pregarono di convincere il Cavaliere a rinunciare all’azione politica diretta. Ma non ci fu nulla da fare». Per carità di patria, Mondadori, Milano 2003, p. 40.
373 I. Montanelli e G. Cervi, L’Italia di Berlusconi, Bur, Milano 2001, p. 28. 374
Sulla data esatta c’è ancora oggi un certo mistero. Dell’Utri ricorda a fine settembre, Lo Jucco afferma che l’incontro avvenne nella prima decade di settembre.
140 assegnata una delle 26 circoscrizioni elettorali, che corrispondevano grosso modo alla loro area di lavoro. Questi uomini oltre ad essere capaci e fidati, erano perfettamente inseriti nelle strutture economiche e sociali delle circoscrizioni di cui si dovevano occupare. Dagli anni ottanta gli agenti Publitalia imperversavano lungo lo stivale intessendo rapporti col mondo imprenditoriale, ora a distanza di quindici anni molti rapporti di lavoro si erano trasformati in cordiale conoscenza se non in sincere amicizie. Città per città, i manager Publitalia oltre all’imprenditoria locale avevano intrecciato rapporti anche con le associazioni degli industriali, le Camere di Commercio, spesso erano presenti agli incontri dei Rotary Club, avevano infine rapporti con società sportive ed istituzioni di ricerca e benefiche. Per farla breve, erano perfettamente inseriti nel tessuto produttivo. Una struttura con evidenti connotati pre‐politici.
Uniti da una grande spirito di corpo, da un forte senso di appartenenza al Gruppo e da una fiducia indiscutibile nei confronti del fondatore dell’azienda, i 26 capi‐area raccolsero la sfida di Berlusconi e di Dell’Utri con entusiasmo.
A coordinare il lavoro a livello nazionale fu chiamato Domenico Lo Jucco, napoletano, allora quarantaquattrenne e vice in Publitalia di Dell’Utri, che così ha decritto la base di partenza del suo lavoro: «Radicate sul territorio allora c’erano due realtà: da una parte noi, Publitalia, 5‐600 uomini, con un target medio‐alto, poiché avevamo rapporti diretto con imprenditori e inserzionisti; dall’altra una struttura come Programma Italia, composta da tremila persone. Un autentico presidio sui livelli di risparmio familiare, medio‐basso, soprattutto una struttura molto, molto efficace sul territorio». Inoltre non mancava il
know‐how: «[…] Organizzavamo seminari di medio ed alto livello per il Comitato direttivo a
Lugano. I gruppi più numerosi, la truppa, la convocavamo negli hotel, o magari in ufficio. Gli argomenti erano anche la politica, ma con argomenti tipo il funzionamento della macchina pubblica, ecco. Questo verso la fine degli anni ottanta quando era ancora di là da venire l’impegno politico»375. Però questa formazione li rendeva potenzialmente pronti ad intervenire velocemente nel progetto. 375 P. Pagani, op. cit., p. 92.
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Nel complesso Lo Jucco distrasse oltre ai ventisei capi‐area, una sessantina tra dirigenti a funzionari, che accettarono di partecipare alla costruzione di Forza Italia376. Fra ottobre e novembre, senza perder tempo, i manager Publitalia furono chiamati a seguire un corso intensivo di politica organizzato dall’Ufficio formazione dell’azienda. Le materie andavano dal diritto costituzionale alla storia politica, dall’economia politica ai metodi di finanziamento dei partiti, da analisi del sistema elettorale allo studio del marketing politico. Dopo grosso modo un mese i manager furono pronti ad intraprendere il loro lavoro di procacciatori di candidati e di riferimenti per ogni circoscrizione del nascituro partito. Inizialmente sul territorio furono aiutati dai loro agenti sottoposti e dalla struttura di Programma Italia, radicata in maniera più capillare in ogni comune. In ogni caso la loro prima mossa fu quella di contattare i loro clienti per capire se fossero pronti ad impegnarsi direttamente in politica, in caso contrario chiedevano informazioni su altre persone che potessero essere interessate. Durante il mese di novembre tutti manager si impegnarono in una serie di cene, di incontri, di telefonate, al fine di individuare in ogni circoscrizione i potenziali candidati, alla fine di novembre erano già presenti sul tavolo di Lo Jucco circa duemila nomi.
C’era anche un identikit ideale per il candidato: persone abbastanza giovani, sui quarant’anni e che non fossero politici di professione ma avessero riscosso successo nelle proprie attività professionali, infine devoto al credo liberal‐democratico377. Tra i duemila potenziali candidati arrivati sul tavolo di Lo Jucco il 30% risultavano essere liberi professionisti, il 12% piccoli e medi imprenditori, circa il 6% erano rispettivamente artigiani, docenti universitari o di scuole secondarie e giornalisti, solo il 3‐4% erano provenienti dal pubblico impiego378.
Agli aspiranti candidati fu chiesto di seguire un corso di formazione di quattro mattine, organizzato dalla Diakron e che si sarebbe svolto a viale Isonzo, al costo di cinquecento mila lire. L’alto costo aveva lo scopo di scoraggiare chi non fosse realmente convinto del progetto, il corso infatti fu seguito da circa cinquecento aspiranti. Il corso di per sé era
376 In E. Poli, op. cit., p. 55.
377 E. Parodi, Telecamere e marketing, così si addestra il candidato, «Corriere della Sera», 12 dicembre 1993. 378
Per un’idea del candidato tipo cfr. C. Beria di Argetine, Io, l’azzurro di Forza Italia, «L’Espresso», n.2, anno XL, 4 febbraio 1994.
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molto innovativo: veniva insegnato come esprimere concisamente, in trenta secondi, il motivo del proprio impegno politico; venivano istruiti su come comportarsi in un tele dibattito alla presenza di altri 8‐10 candidati. Ma c’era spazio anche ai contenuti, negli ultimi due giorni le lezioni si concentravano sui problemi sociali del paese. Ultimo capitolo il marketing politico: venne insegnato ai potenziali candidati quale era il modo migliore per farsi conoscere e per raccogliere consensi379. L’organizzazione di Forza Italia, per metodi utilizzati, per quanto venisse guardata con scetticismo, in realtà stava applicando solo le più moderne metodologie di comunicazione politica. Presto sarebbe stata imitata, con alterni successi, da tutte le altre forze politiche.
Il progetto di Berlusconi era un interessante combinazione di vecchio e nuovo. Cercava per il suo movimento persone nuove, senza precedenti esperienze politiche, ma che dessero corpo ad un disegno moderato e liberale. Ma non per questo Berlusconi intese, come la Lega, alimentare il conflitto contro il pentapartito, tra l’altro una parte di quel mondo