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Breve excursus sulla qualità della democrazia italiana.

Contesto della ricerca e metodologia di analis

4.1 Breve excursus sulla qualità della democrazia italiana.

Lo stimolo per una ricerca sulle nuove forme di partecipazione politica, con una specifica attenzione

nei confronti di uno fra gli strumenti più innovativi introdotto negli ultimi anni nell’ambito della

democrazia locale, nasce dalla consapevolezza di vivere all’interno di un momento storico difficile

per quanto riguarda la qualità della democrazia in generale, e quella italiana nello specifico.

Il caso italiano sembra presentarsi come un vero e proprio esempio delle innumerevoli discrasie e dei

molteplici paradossi che attualmente si presentano agli occhi dei ricercatori sociali interessati allo

studio delle democrazie.

In questo paragrafo forniremo i dati relativi ad alcuni degli indicatori già individuati da Morlino e

Diamond come propedeutici per rilevare il grado di democraticità (la qualità) di un regime politico

che non si voglia limitare a rientrare unicamente nelle c.d. soglie minime.

La prima dimensione è quella relativa alla Rule of Law, a sua volta legata principalmente ad un

significato procedurale di qualità1.

Fra gli indicatori segnalati per misurare tale dimensione rientrano: il grado di corruzione negli

apparati politici, giuridici e amministrativi; la ragionevole durata del processo penale e del

contenzioso civile o amministrativo; la facilità di accesso dei cittadini alla giustizia in caso di

contenzioso tra privati, ovvero tra privati e istituzioni; l’inesistenza di aree dominate da oligarchie o

dal crimine organizzato.

L’Italia è uscita da poco meno di 15 anni da uno dei periodi più tormentati della sua storia

repubblicana, apertosi nel febbraio del 1992 con l’arresto a Milano del presidente del Pio Albergo

Trivulzio, Mario Chiesa, avvenuto nel corso dell’inchiesta giudiziaria denominata Mani Pulite,

guidata da Antonio Di Pietro. Questa inchiesta ha portato alla luce una rete di corruzione (passata

1

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alla storia con il nome di Tangentopoli) i cui effetti hanno contribuito alla fine della cosiddetta Prima

Repubblica attraverso la scomparsa dei principali partiti di governo, la DC e il PSI.

Furono coinvolti i vertici politici, finanziari ed imprenditoriali nazionali e nessuna testimonianza può

rappresentare meglio lo stato di corruzione e di diffuso malcostume presente in quel periodo in Italia

quanto l’ammissione fatta dallo stesso Bettino Craxi di aver ricevuto circa 100 milioni di dollari di

fondi illegali destinati al partito.

Ma la giustificazione addotta dallo stesso Craxi in un intervento alla Camera dei Deputati risulta

forse ancora più indicativa: “lo facevano tutti”.

Dodici anni dopo, nel 2005, Beppe Grillo acquistava un’intera pagina dell’Herald Tribune (le

principali testate italiane avevano tutte rifiutato infatti di dare pubblicità alla notizia) per denunciare

la presenza di 25 parlamentari in carica condannati in via definitiva2, ai quali dobbiamo aggiungere 8

condannati in primo grado, 17 imputati in primo grado, 19 indagati in fase preliminare e 10 prosciolti

per decorrenza dei termini di prescrizione.

I reati contestati vanno dalla corruzione (18) al finanziamento illecito (16), passando per la truffa

(10), l’abuso d’ufficio (9), l’associazione mafiosa (8), la bancarotta fraudolenta e la turbativa d’asta

(7), l’associazione a delinquere e il falso in bilancio (6)3.

Un secondo indicatore della Rule of Law è stato rintracciato nella qualità del sistema giudiziario, in

particolare per ciò che riguarda la durata dei processi, la cui dilatazione temporale può produrre

effetti di distorsione sul diritto delle parti ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi

legittimi (art. 24 Cost.).

Nel 2007 un Procuratore aggiunto presso la Procura di Torino ha riunito in un volume una serie di

testimonianze di un gruppo di giudici e pubblici ministeri che restituiscono un perfetto spaccato dello

stato di asfissia in cui giace il nostro sistema giudiziario: mancanza di risorse, di personale, cavilli

giuridici che impediscono di punire gravi illeciti, impunità per i reati contro l’economia e la pubblica

amministrazione (destinati a cadere in prescrizione proprio per l’incongruenza fra i termini fissati per

tali illeciti e la durata media dei processi), inefficienza delle amministrazioni giudiziarie, etc.

2fonte: Corriere della sera, 23 Novembre 2005. 3

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Queste testimonianze, espresse sotto forma di brevi racconti che descrivono momenti di vita ordinaria

all’interno dei nostri tribunali trovano conferma in un’indagine sulla durata dei processi (di natura

penale) condotta dall’Eurispes che, secondo le parole dello stesso Presidente Gian Maria Fara, per

l’ampiezza del campione, la sua dettagliata precisione, ed il fatto che esso sia stato raccolto nel più

grande Tribunale italiano, conferise ai risultati di questa ricerca una attendibilità ed una forza

illustrativa del fenomeno di valore certamente generale4.

I risultati peraltro assumono un significato chiarissimo ed inequivocabile: il processo penale è

paralizzato dalla catastrofica condizione della struttura amministrativa deputata a gestirlo; le garanzie

processuali non svolgono, obiettivamente, alcuna influenza apprezzabile sui tempi di svolgimento del

processo penale.

Il tempo che trascorre mediamente tra l’inizio di un’indagine ed il suo approdo in Tribunale risulta

essere in media 2,7 anni per i procedimenti collegiali e 3 anni per i procedimenti monocratici. A questi

tempi medi così calcolati, indicativi solo della fase di iscrizione del procedimento sui ruoli del

tribunale, deve aggiungersi il tempo che mediamente trascorre tra tale iscrizione e la fissazione, dato

ad oggi non conosciuto, ed ancora il tempo medio di durata del processo fino alla sentenza, che è stato

ufficialmente indicato in 302 giorni per il rito monocratico, e in 560 giorni per il rito collegiale. In

caso di rinvio ad altra udienza (emerso nel 69,7% dei casi), i tempi medi si attestano a 152 giorni per i

procedimenti monocratici e 134 giorni per i procedimenti collegiali.

Le condizioni appena descritte fanno in modo che i procedimenti che si concludono con l’emissione di

una sentenza ammontino al 28,6% del totale dei processi trattati.

La situazione di grave lesione dei diritti individuali dovuta ai ritardi con cui opera il sistema

giudiziario italiano è giunta da tempo all’esame delle istituzioni europee: nel 2007 il Comitato dei

Ministri del Consiglio di Europa, dopo ben 2183 violazioni per la eccessiva durata dei processi, ha

nuovamente sollecitato le autorità italiane a mantenere il loro impegno politico per risolvere il

problema della lentezza delle procedure giudiziarie, denunciando che questo malfunzionamento,

dovuto alla lentezza delle procedure della giustizia, rappresenta un importante pericolo per il rispetto

4

- 165 - dello Stato di diritto5.

Concludiamo questa carrellata di dati relativi ad uno degli indicatori della Rule of Law fornendo

qualche esempio comparativo fra Italia, Francia, Spagna e Germania relativo alla durata dei processi

per alcune fattispecie: nel 2004, secondo la Commissione Europea per la Efficienza della Giustizia il

tempo necessario per concludere una causa di licenziamento in primo grado in Italia è stato di 696

giorni, più del doppio che in Francia, quasi nove volte il tempo necessario in Spagna; nello stesso anno

una causa di divorzio in primo grado è durata il doppio della media tra Francia, Spagna e Germania6.

Un terzo indicatore della dimensione della Rule of Law citato da Morlino è costituito dalla presenza

sul territorio di aree dominate da oligarchie e/o da organizzazioni mafiose.

Non crediamo che, per il caso italiano, questo punto abbia bisogno di dati empirici a supporto di tale

presenza.

La qualità si riferisce anche al risultato, e sotto questo profilo Morlino introduce la dimensione della

responsiveness che può essere declinata per un verso attraverso il grado di soddisfazione dei cittadini nei confronti dei loro rappresentanti, e per l’altro mediante il tipo di legittimità goduto dalle istituzioni

politiche.

Questi indicatori possono essere misurati con il ricorso all’esito delle tornate elettorali in base

all’assunto che più alto il livello di soddisfazione maggiori le possibilità di veder rinnovata la fiducia

al governo e alla maggioranza parlamentare uscente, ma, viste le scadenze di questi avvenimenti

centrali nella vita politica di un paese, il ricorso a strumenti ad hoc (quali i sondaggi) per misurare il

grado di soddisfazione e di fiducia che i cittadini presentano nei confronti delle istituzioni sembra

poter restituire un quadro evolutivo più dettagliato.

Nel caso in cui volessimo comunque ricorrere ad un esame dell’esito fornito dalle urne elettorali, i dati

italiani degli ultimi 14 anni non forniscono risultati particolarmente apprezzabili: 5 elezioni politiche

(1994, 1996, 2001, 2006, 2008) cinque differenti governi e maggioranze politiche che hanno dato vita

ad un’alternanza perfetta fra centro-destra e centro-sinistra.

Se da una fiducia presunta (derivante da un’estrapolazione rispetto ai dati elettorali) passiamo ad una

5Fonte: Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, risoluzione del 13.2.2007 6

- 166 - misurazione ad hoc i risultati non cambiano.

Abbiamo già avuto modo di rilevare del resto come all’interno dei cosiddetti regimi democratici

consolidati uno dei problemi più avvertiti sia proprio quello del rapporto di fiducia che intercorre fra

cittadini e rappresentanti politici.

Nel caso italiano questo indicatore assume valori che non lasciano dubbi.

I dati raccolti a proposito nel corso di un’inchiesta campionaria condotta nel 2003 dall’Istituto

Cattaneo, nell’ambito delle attività del suo Osservatorio sull’astensionismo elettorale, su un gruppo

di oltre 500 elettori astensionisti certi e 500 votanti certi, eguali fra loro a coppie per età, genere e

sezione di residenza, mostrano infatti come quasi il 60% di coloro che hanno partecipato alle elezioni

dichiari di avere poca o nessuna fiducia nel parlamento, percentuale che sale a più dell’80% se

riferita ai partiti politici (vedi tabelle 1 e 2)7.

Tabella 1. Percentuale di votanti e non votanti che si dichiarano “molto” o “abbastanza d’accordo con i seguenti giudizi politici

7

D. Tuorto, 2006, Apatia o protesta? L’astensionismo elettorale in Italia, Bologna, Il Mulino.

Ha votato Non ha votato

La gente come me non ha nessuna influenza su quello che fa il governo 63,2 70,4

Talvolta la politica sembra così complicata che non si riesce a capire cosa sta succedendo

76,7 77,1

Le persone che eleggiamo al Parlamento perdono presto il contatto con gli elettori

87,8 88,4

I partiti sono tutti uguali 49,4 54,8

Chiunque va al potere cerca sempre di fare i suoi interessi personali 80,9 89,1

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Tabella 2. Percentuale di votanti e non votanti con “poca” o “nessuna” fiducia nei confronti di alcune istituzioni.

Fonte: D. Tuorto (2006)

L’esame dei dati ricavati da questa inchiesta riporta anche un giudizio non certo positivo per quanto

riguarda il senso di efficacia politica da parte dei cittadini (che si lega alle possibilità di innescare

processi di partecipazione attiva): solo un terzo degli intervistati si dichiara convinto che il suo

attivismo possa influenzare in qualche modo le decisioni dei rappresentanti politici, e questa

percentuale scende al 25% se la risposta proviene da coloro che si sono astenuti nel corso delle

ultime elezioni a cui si riferiscono questi dati (politiche 2001).

Il quadro che ne emerge è che il mondo della politica risulta completamente distaccato dalla sua base

elettorale e che lo stesso viene percepito come un sistema autoreferenziale, impegnato a perseguire

interessi autonomi rispetto ai bisogni, alle esigenze e alle aspettative dei cittadini.

A simili conclusioni si approda anche esaminando i dati contenuti nei più recenti rapporti

dell’Eurobarometro relativi ad un altro importante indicatore della qualità democratica esaminata da

un punto di vista procedurale: la trasparenza.

In base ai risultati contenuti nell’ultimo rapporto realizzato nel periodo compreso fra marzo e aprile

2008 su un campione di circa 1000 unità, 4 italiani su cinque ritengono che le istituzioni italiane non

funzionino in modo trasparente (83%).

Anche secondo queste stime la disillusione dei cittadini verso i soggetti e le istituzioni politiche

italiane è in continua crescita: il Parlamento riscuote la fiducia soltanto del 16% degli intervistati (a

Ha votato Non ha votato

Parlamento 58,0 67,5

Partiti 84,0 82,5

Partiti (nessuna fiducia) 28,5 33,5

Governo 63,7 72,5

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fronte del 27% registrato nell’ultimo rilevamento), e il governo appena del 15% (contro il precedente

25%). I partiti politici sono in assoluto il soggetto politico verso il quale gli italiani nutrono la più

alta sfiducia (l’80% del campione afferma infatti di non fidarsi, mentre solo l’11% risponde

positivamente).

Un’altra istituzione in costante calo di fiducia, anche in virtù dei dibattiti politici degli ultimi anni, è

la giustizia: solo il 31% degli italiani ripone piena fiducia nei giudici e nei magistrati, a fronte di un

61% che esprime pareri negativi. Dobbiamo ancora una volta sottolineare poi come tale rilevazione

appaia delineare un trend in crescita, visto che nel penultimo rilevamento le risposte orientate sulla

fiducia erano il 33% del totale, e quelle critiche il 59%8.

Ulteriori prove del momento di crisi nei rapporti fra istituzioni e cittadini ci vengono fornite dai

risultati dell’analisi della partecipazione elettorale e di quella relativa all’adesione ai partiti politici.

Nonostante l’Italia rimanga una delle democrazie con i più alti valori in termini di partecipazione

elettorale, secondo l’Istituto Cattaneo le ultime elezioni politiche hanno riscontrato la maggior

crescita di astensionismo mai registrata a partire dalle prime elezioni tenutesi nell’immediato

dopoguerra, con un dato che ha sfiorato i 20 punti percentuali.

Nel grafico n.1 abbiamo disegnato la curva relativa all’andamento dell’astensionismo, calcolato a

partire dalle elezioni del 1948, misurando i valori medi ottenuti nelle elezioni politiche tenutesi nel

corso dei sei decenni che costituiscono la storia della nostra Repubblica.

Come si può facilmente osservare, a partire dagli anni settanta la curva assume un andamento

progressivo e continuo con un tasso di crescita dell’astensionismo che varia fra i 30 e i 45 punti

percentuali.

L’astensionismo si lega poi ad un altro fenomeno: la diminuzione della militanza politica all’interno

dei partiti. In base alle indagini dell’Istituto IREF, realizzate nel periodo compreso fra il 1989 e il

2002, su un campione di 1000 intervistati, la percentuale di chi ha dichiarato la sua appartenenza ad

un partito politico è passata dagli 8,3 punti percentuali del 1989 a solo il 3,1%9.

8

Eurobarometro 69, 2008, Opinione Pubblica nell’Unione Europea, pp. 30-37.

9D. La Valle, 2006, La partecipazione alle associazioni in Italia. Tendenze generali e differenze regionali, in

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