Aspetti teorici e strumenti empirici per un recupero della qualità democratica
2.4 Fra liberalismo e comunitarismo: la teoria partecipativa della democrazia.
4.2.3 Verso la deliberazione: la concezione partecipativa di Benjamin Barber.
Il terzo autore di riferimento che intendiamo proporre in questa ricostruzione delle caratteristiche del
paradigma partecipativo è Benjamin Barber.
Nell’opera Strong Democracy Barber costruisce un modello di democrazia in grado di affiancarsi al
paradigma liberale per correggerne le debolezze derivanti della scarsa intensità con cui i cittadini
vengono chiamati a partecipare all’elaborazione delle politiche pubbliche e, più in generale, nella sfera
politica stessa50.
La “democrazia forte” proposta da Barber è definita formalmente come una “forma di politica
partecipativa dove il conflitto è risolto mediante un continuo processo di partecipazione, una prassi legislativa caratterizzata dal maggior grado di prossimità e la creazione di una comunità politica in grado di trasformare individui privati e dipendenti in liberi cittadini, così come interessi privati e
parziali in beni pubblici”51.
La critica di Barber a quella che egli stesso definisce “thin democracy”, corrispondente al sistema
politico derivante dalla dottrina liberale, si basa essenzialmente sulla contraddizione che sorge
dall’interazione fra le tre anime che ne costituiscono i presupposti.
Il carattere democratico proposto dalla teoria liberale è infatti un carattere contemporaneamente
anarchico, realistico e minimalista: anarchico per l’enfasi posta sulla centralità dell’individuo e su una
definizione di libertà riconosciuta essenzialmente come possibilità di perseguire i propri interessi
rifiutando impedimenti e limitazioni provenienti dall’esterno; realistico per il riconoscimento della
necessità di un potere capace di proteggere gli individui dalle conseguenze derivanti da
un’applicazione integrale della prima caratteristica; infine minimalista perché spinto a creare un
insieme di valori, quali ad esempio quello della tolleranza, che sussistono però solo per fini
strumentali, ovvero per tentare una mediazione che possa in qualche modo colmare il divario che
separa i primi due caratteri52.
50
B.Barber, 1984, Strong Democracy, Berkley, University of California Press.
51
ibidem, p. 132.
52
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Queste tre “anime” della teoria liberale conducono Barber a vedere nella concezione della politica di
matrice liberale una sorta di “stato di cattività” (zookeeping) nel quale gli uomini sono segregati come
bestie di differenti specie (leoni, volpi, rettili, pecore) costrette a vivere in gabbie che si sono costruite
per sfuggire ai pericoli del vivere allo stato brado.
Le democrazie liberali sono per questo definite deboli, poiché il loro è uno scopo meramente
protettivo, edificato su un desiderio di conservazione, e incapace di perseguire alcun fine costruttivo,
di trasformare effettivamente i contesti in cui agisce per perseguire quelle che vengono comunemente
riconosciute come le qualità sostantive proprie di tali regimi, ovvero libertà e uguaglianza.
Una concezione dell’uomo quale essere le cui azioni sono mosse unicamente da calcoli utilitaristici,
della politica quale sistema il cui unico fine è quello di preservare tali uomini dal reciproco
annientamento e di un insieme valoriale che si connota come unica soluzione per una società
conflittuale che potrebbe o auto-annientarsi, se lasciata a se stessa, ovvero sopprimere ogni libertà e
individualità, se dominata da un potere assoluto, fanno sì che ogni richiamo al bene collettivo,
all’interesse pubblico, alla fiducia nelle interazioni e ai benefici non solo strumentali di una vita
associata, risulti sconfitto in partenza.
E’ la stessa concezione della natura umana a giustificare sia l’esistenza di una qualche forma di potere
istituzionalizzata che la necessità di controllare tale potere per gli effetti perversi al quale questo può
condurre gli uomini chiamati ad esercitarlo.
In questo senso la partecipazione è vista solo come uno strumento di controllo e l’enfasi riposta in
questa attività è pari al semplice grado di accettazione. Non potrebbe non esserci perché questo
permetterebbe la nascita di uno stato autoritario, ma non se ne può richiedere neanche un livello
troppo alto poiché in questo modo gli individui agirebbero solo in vista dei loro interessi privati,
arrivando presto, in questo modo, ad una condizione di completa anarchia.
Anche la concezione liberale di cittadinanza, secondo Barber, presenta delle caratteristiche che la
rinchiudono in uno stato di passività ben lontano da quell’attivismo che un regime democratico
richiederebbe: la cittadinanza nella democrazia rappresentativa nasce infatti come risultato del
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La cittadinanza deriva quindi da un’originaria e astratta autorità e assume per questo una funzione di
controllo (a watch-dog quality): è passiva piuttosto che attiva e implica la titolarità ad assumere
comportamenti potenziali (uno status legale astratto) piuttosto che effettivi (un concreto status
politico)53.
Questo tipo di cittadinanza inoltre crea un’identità civica i cui legami risiedono non tanto fra i membri
della comunità, quanto piuttosto fra ogni singolo membro e il governo: il cittadino è tale solo in virtù
di un rapporto originario stabilito con il suo governo, del quale egli ne è contemporaneamente autore e
soggetto subordinato. La stessa virtù civica non può che essere interpretata sottoforma di
accountability, ovvero di reciproco controllo (del governo sulle interazioni dei cittadini per preservarli da azioni arbitrarie degli stessi cittadini; dei cittadini per evitare azioni arbitrarie dei governanti
condotte a danno dei primi).
Queste caratteristiche hanno un’ulteriore ripercussione sul concetto di cittadinanza: quella di far
apparire il ruolo di cittadino come uno fra gli innumerevoli ruoli presenti nella vita di un individuo,
diluendo in questo modo la sua caratteristica essenziale (ovvero l’essere il titolare della sovranità
politica) all’interno di posizioni ad essa subordinate, come ad esempio quella di fruitore di servizi,
contribuente, portatore di interessi specifici etc.
Il cambiamento che permetterebbe di arrivare ad una concezione “forte” di democrazia risiede dunque
in una diversa visione antropologica: pur non disconoscendo l’esistenza del conflitto nelle relazioni
sociali, e ammettendo dunque una struttura pluralistica della società contemporanea, Barber crede
nell’essenza sociale e non individualista degli uomini54.
L’uomo, le sue attività, i suoi interessi, nonché l’insieme delle sue percezioni, sono in realtà
modellabili e modificabili: i rapporti fra l’individuo e il mondo sono dunque percepiti come in
continua e reciproca interazione, dalla quale entrambe vengono forgiati.
Se è vero che la realtà è il prodotto di una costruzione sociale55 allora gli individui possono modificare
questa realtà e trasformarla senza peraltro rinunciare alla loro autonomia e ad una sfera privata in cui
53 ibidem, p. 218. 54 ibidem, p. 117. 55
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concentrare parte del loro agire: in questo senso la democrazia forte proposta da Barber, pur
allontanandosi dalla concezione liberale, non rientra nel campo opposto rappresentato dalle visioni
comunitariste racchiuse in quella che lo stesso autore definisce democrazia unitaria56, nella quale l’autonomia individuale viene sacrificata a vantaggio di una volontà generale e di una sfera pubblica
omnicomprensiva e totalizzante.
L’immagine di un uomo la cui essenza è rappresentata dalla socialità porta a ridefinire il rapporto che
esso ha con la politica e il ruolo stesso di quest’ultima: piuttosto che dominati dal reciproco controllo,
i rapporti fra individuo e politica si sostanziano in un’interdipendenza reciproca che permette al primo
di realizzarsi attraverso un’azione diretta sul governo, e al secondo di richiedere un confronto continuo
con gli individui al fine di giungere alle soluzioni più ragionevoli rispetto a determinati problemi per i
quali viene chiamato in causa il sistema politico.
La politica, e i sistemi di governo nei quali si sostanzia, non hanno dunque un mero fine strumentale,
ma devono contribuire a rendere possibile il raggiungimento del massimo grado di libertà per ogni
individuo attraverso un continuo processo di confronto e ridefinizione del concetto stesso di libertà.
E’ chiaro adesso come solo attraverso la partecipazione gli individui possano da un lato raggiungere
una chiara e costruttiva consapevolezza della loro interdipendenza e con essa della necessità intrinseca
e non residuale di una comunità sociale e politica retta dall’attivismo civico e, dall’altro, contribuire al
raggiungimento dei loro scopi personali che, dichiarati in un ambito pubblico, ricevono il supporto e il
consenso necessari.
E’ chiaro altresì come la partecipazione degli individui negli affari politici di una comunità modifichi
anche la concezione di cittadinanza: se nella teoria liberale essa è caratterizzata infatti da un rapporto
verticale che lega individuo e governo, nel modello democratico partecipativo proposto da Barber, si
viene configurando invece come un legame orizzontale fra gli individui stessi che danno vita ad una
comunità, e l’effetto che ne consegue è quello di aumentare, attraverso la partecipazione, lo stesso
legame di appartenenza che unisce un cittadino a questo contesto sociale.
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Secondo Barber questo legame, grazie alla partecipazione, si rafforza e si rinnova continuamente fino
ad assumere connotazioni volontaristiche, ovvero a concepire la partecipazione come un fine in sé
generato dal fatto di appartenere ad una determinata comunità.
Le condizioni per giungere a questo tipo di legame fra individuo e comunità (che ricordiamo non
corrisponde affatto ad un’entità totalizzante in grado di sopprimere l’essenziale autonomia individuale
e la capacità di riconoscere i suoi interessi primari) e a questo tipo di cittadinanza, trovano le
condizioni migliori laddove incontrano individui forniti di un’adeguata istruzione, la presenza di un
buon livello di attività sociali e, soprattutto, un livello avanzato di partecipazione politica che consenta
a ciascuno di contribuire alle decisioni che lo riguardano direttamente. E’ anzi soprattutto attraverso la
partecipazione che si possono apprendere sostanzialmente i contenuti dell’educazione civica e
accrescere le conoscenze relative ai propri diritti e doveri: come afferma Barber: “give people some
significant power and they will quickly appreciate the need for knowledge, but foist knowledge on
them without giving them responsability and they will display only indifference”57.
Come per gli autori precedentemente esaminati anche per Barber la partecipazione politica, intesa
come possibilità di prender parte alle decisioni politiche, innesca dunque un circolo virtuoso che
modifica in ultima analisi i rapporti fra gli individui, le relazioni fra politica e società, le qualità stesse
dell’uomo e l’essenza di alcuni status come quelli di cittadino e di consumatore.
Concludiamo questa analisi, e con essa la descrizione di alcuni dei principali contributi relativi alla
teoria partecipativa della democrazia, soffermandoci su alcuni aspetti che riteniamo particolarmente
importanti per l’oggetto della nostra ricerca.
Il primo attiene all’importanza della dimensione locale e dell’estensione degli strumenti e delle
modalità di partecipazione all’interno di quest’ambito; il secondo è relativo alle modalità con cui la
partecipazione viene ad essere interpretata; il terzo invece si riferisce alle strategie gradualiste e
riformiste con le quali introdurre una maggiore partecipazione all’interno delle democrazie liberal-
rappresentative.
Come per la Patenam e per Macpherson (così come per autori precedenti quali Rousseau, Touqueville
e J.S. Mill) anche Barber sottolinea l’importanza di sviluppare e istituzionalizzare forme di
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partecipazione locali. I suoi riferimenti al centenario istituto rappresentato dai town meetings
statunitensi e da altre modalità di partecipazione che fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80
stavano conquistando terreno in questa nazione58 vengono introdotti per dimostrare quanto l’ambito di
vicinato giochi un ruolo fondamentale per creare quel senso di appartenenza e quella consapevolezza
politica in grado di sostenere e sviluppare qualsiasi altro progetto partecipativo su vasta scala. In
particolare, riferendosi ai town meetings, Barber afferma come ci sia da parte dei cittadini un supporto
straordinario in favore di queste assemblee locali i cui poteri decisionali si estendono peraltro su
importanti materie quali salute, sanità, sicurezza locale, pianificazione locale, mobilità, servizi
scolastici, ambiente e ordinanze locali.
Riguardo alle modalità partecipative Barber introduce dei richiami fondamentali che a nostro avviso
ne fanno uno dei precursori dell’attuale dibattito sulla democrazia deliberativa: concependo la politica
come interazione fra individui in vista della formulazione degli indirizzi verso i quali condurre una
collettività e delle soluzioni più ragionevoli per il raggiungimento di tali obiettivi, l’enfasi maggiore è
data al linguaggio quale strumento di interazione e alla discussione pubblica quale forma di
interazione più idonea al dipanarsi dell’azione politica.
La discussione è anzi l’unica forma di agire politico che permette la trasformazione degli interessi con
cui i partecipanti accedono all’arena politica e la possibilità di raggiungere, grazie a tale elaborazione
e costruzione, soluzioni maggiormente condivise.
La discussione può avere infatti diverse funzioni, alcune delle quali riconosciute ampiamente dalla
teoria liberale, come ad esempio la funzione persuasiva, quella di mediazione e di scambio e quella
esplorativa; la caratteristica principale della discussione nel modello forte di democrazia è di gettare le
basi per una nuova definizione delle posizioni di partenza dei singoli individui che vi partecipano, per
giungere ad un accordo in grado di rappresentare la decisione più ragionevole per l’intera collettività,
58
Barber si riferisce ad esperienze come quelle dei consigli di comunità, dei consigli di quartiere, di quelli di zona riprendendone gli effetti virtuosi da studi condotti nel corso degli anni ’70 quali quelli di M. Kotler, 1960,
Neighborhood Government: the local foundation of Political Life, Indianapolis, Bobbs-Merrill; D. Morris e K.Hess,1975, Neighborhood Power: The new Localism, Boston, Beacon Press; E.F. Schumacher, 1973, Small is
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dando vita in questo modo ad un processo capace di soddisfare interessi pubblici e di generare beni
comuni e cittadini attivi59.
Questa particolarità del modello di democrazia proposto da Barber (ovvero di essere fondato non solo
sulla partecipazione, ma su un suo particolare tipo, ovvero la discussione in vista di una decisione)
permette a questo sistema di “trasformare” il conflitto che caratterizza l’uomo e la società attraverso
l’uso di un linguaggio pubblico in grado di esaminare gli interessi privati, sottoporli alla discussione, e
trasformarli in questo modo in questioni pubbliche.
Gli argomenti appena esposti costituiscono il nucleo centrale della teoria deliberativa della
democrazia, e proprio per questo i due paradigmi possono essere intesi come la prosecuzione di
un’unica teoria che fa della partecipazione la sua caratteristica fondamentale.
Un ultimo spazio di discussione viene riservato al rapporto fra democrazia liberale e democrazia
partecipativa e alle modalità immaginate per la transizione da un modello di democrazia all’altro.
A differenza infatti delle teorie marxiste e leniniste, i teorici della partecipazione, pur servendosi
spesso di strumenti fondamentalmente marxiani e marxisti per una critica dell’attuale sistema politico-
economico, non sembrano concordare su concetti quali quello di lotta di classe e di rivoluzione per
modificarlo.
Lo stesso Barber, nonostante introduca nel suo modello di democrazia forte strumenti radicali rispetto
all’attuale sistema politico istituzionale, quale ad esempio un sistema nazionale di assemblee di
vicinato, un modello antesignano di e-democracy60, o un sistema di rappresentanza fondato sul
sorteggio, è consapevole del fatto che queste innovazioni radicali non potrebbero essere introdotte tout
court e perciò adotta una strategia riformista, che come sostiene egli stesso: “adds without removing
and that reorients without distorting”61.
In tutti e tre gli autori finora esaminati la volontà di modificare radicalmente l’attuale modello
democratico va di pari passo con la consapevolezza che un cambiamento repentino in direzione di un
modello interamente fondato sugli assunti della democrazia diretta è impossibile e che l’unico
59
B. Barber, op. cit., pp. 178-98.
60
vedi in particolare il sottoparagrafo Television Town Meeting and a Civic Communications Cooperative, pp. 273-279.
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cammino percorribile passa attraverso un percorso graduale che chiama in causa la disponibilità delle
stesse istituzioni politiche esistenti, sia a livello locale che a livello nazionale, in modo tale da
affiancare metodi partecipativi alle consuete pratiche fondate sulla rappresentanza.
Questa strategia, come avremo presto modo di confermare, è quella peraltro seguita negli ultimi anni
da un numero sempre più elevato di istituzioni politiche come percorso per tentare di ridurre la
distanza che le separa dal corpo sociale, distanza che si sostanzia in una crisi di legittimazione e di
rappresentanza.
Quadro Sinottico
Fonte: D. Held (1997)
Le caratteristiche del Modello Partecipativo
Principio di giustificazione: un uguale diritto all’autosviluppo può essere raggiunto unicamente in una società partecipativa, che incoraggi un sentimento di efficacia politica, alimenti un interesse per i problemi collettivi e contribuisca alla formazione di una cittadinanza ben informata capace di avere un interesse prolungato per il processo di governo.
Caratteristiche fondamentali:
• Partecipazione diretta dei cittadini alla regolamentazione delle istituzioni chiave della società;
• Riorganizzazione del sistema dei partiti verso un più alto grado di accountability e responsiveness;
• Apertura del sistema istituzionale per assicurare la possibilità di sperimentare nuove formule politiche;
Condizioni Generali:
• Maggiore redistrtibuzione delle risorse;
• Riduzione del potere burocratico;
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