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Cittadinanza attiva e virtù civica: il Repubblicanesimo.

Aspetti teorici e strumenti empirici per un recupero della qualità democratica

2.3 Cittadinanza attiva e virtù civica: il Repubblicanesimo.

Un secondo filone teorico al quale ricondurre metaforicamente il nucleo delle teorie discusse nel

presente capitolo può essere individuato nel repubblicanesimo: pur consapevoli dell’eterogeneità delle

ricostruzioni storiche, ontologiche, politiche e filosofiche che riguardano questo paradigma, riteniamo

infatti che la tradizione repubblicana e i principi ai quali la stessa fa appello possano contribuire ad

una ricostruzione del campo semantico in cui prendono forma e agiscono le teorie partecipative della

democrazia, nonché ad una maggiore comprensione degli strumenti attraverso i quali si è tentato di

introdurre principi appartenenti a tali teorie all’interno del contesto liberal-rappresentativo delle

democrazie contemporanee.

Delle due correnti in cui il paradigma repubblicano può essere suddiviso, quella originaria espressa da

Pocock e definita da Rawls come “civic humanism”12 e la versione fornita da Skinner e Pettit,

conosciuta come “classical republicanism”, verrà qui ripresa quella che lega la tradizione

repubblicana moderna al pensiero classico di matrice aristotelica, ovvero la corrente repubblicana

definita come umanesimo civico.

La ragione di questo richiamo è nella centralità che i concetti di virtù civica e di cittadinanza attiva (e

quindi di partecipazione) ricoprono al suo interno. A sostenere questi due concetti vi è, come del resto

nella filosofia classica espressa dai greci, l’idea di un uomo la cui qualità essenziale è rappresentata

dalla sua politicità, dalla sua deliberazione attiva all’interno della comunità di cui fa parte13.

Il Repubblicanesimo civico corrisponde ad un paradigma che interessa soprattutto la storia del

pensiero politico. Questo modello ha riscosso un crescente interesse a partire dagli anni ’70 del secolo

scorso, allorché la tesi proposta da Pocock circa l’esistenza di una tradizione repubblicana che aveva

permeato il linguaggio politico moderno distinguendosi dunque dal filone liberale, cominciò a

diffondersi e a raccogliere numerosi consensi all’interno degli ambienti accademici, soprattutto

anglosassoni.

12

vedi J. Rawls, 1993, Political Liberalism, New York, Columbia University Press.

13 J.G.A. Pocock, 1975, The Machiavellian moment: Florentiane political thought and the Atlantic republican tradition, Princeton, Princeton Univerity Press, p.550.

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Nel proporre la sua “tunnel history” Pocock si contrapponeva esplicitamente alle interpretazioni di

matrice straussiana o marxista che tendevano a fornire una ricostruzione del pensiero politico moderno

quale dominio incontrastato, a partire dall’età di Hobbes e di Locke, del liberalismo.

A suo giudizio, invece, questo pensiero era in larga parte permeato dal linguaggio repubblicano e dalle

sue categorie concettuali delle quali vita activa e vivere civile, virtù e corruzione ne erano i termini

chiave.

In questa interpretazione l’ideologia liberale, costruita sulle tradizionali categorie giuridiche della

«natural law», aveva impiegato molto tempo e molta fatica, se mai si potesse sostenere che vi fosse

riuscita del tutto, a soppiantare il linguaggio repubblicano14.

Secondo Pocock può infatti essere tracciato, a livello teorico, un filo rosso che lega il pensiero di

Machiavelli a quello delle riflessioni dei rivoluzionari americani.

Ma le tesi di questo autore si spingono ben più in profondità in prospettiva cronologica, giungendo ad

individuare un legame molto stretto fra le formulazioni machiavelliane e le idee chiave contenute nella

visione antropologica di matrice aristotelica: il cittadino di Machiavelli e dei repubblicani inglesi non

sarebbe altro, in questa ricostruzione, che la “reincarnazione” di quello zóon politikón espresso dallo

Stagirita.

Questo ovviamente non può significare altro se non che la vita politica rappresenti la piena

realizzazione dell’uomo e che possa darsi una nozione condivisa di bene comune.

L’individuo repubblicano è dunque intimamente legato alla sua comunità politica, la sua identità si

forma e si mantiene grazie alle relazioni che può stabilire con gli altri membri della comunità.

Per sfruttare le sue potenzialità l’uomo deve vivere all’interno di una qualche associazione politica.

Come sostiene Dahl in una ricostruzione della tradizione repubblicana di chiara matrice pocockiana:

“un uomo buono deve essere un buon cittadino; un buon sistema di governo è un’associazione

costituita da buoni cittadini; un buon cittadino possiede la qualità della virtù civica che può essere definita come la predisposizione a perseguire il bene di tutti nelle questioni pubbliche; quindi un buon

14 M. Genua,1998, La Tradizione Repubblicana e i suoi interpreti, in Filosofia Politica, Bologna, Il Mulino, a.

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ordinamento politico è quello che non solo riflette ma promuove anche la virtù dei propri cittadini”15

Dahl prosegue affermando che la dottrina repubblicana ribadisce che nessun sistema politico può

essere considerato legittimo, auspicabile o positivo se esclude il popolo dalla partecipazione al

governo.

A differenza dell’unencumbered self o dell’atomistic self dei liberali, l’individuo repubblicano è

costitutivamente legato alla sua comunità politica: il suo Sé è un Sé situato, la sua identità si forma e si

mantiene nelle relazioni con gli altri membri della comunità.

Se le teorie liberali postulano una priorità del giusto sul bene ed una priorità dei diritti sui doveri, i

repubblicani muovono da una concezione condivisa del bene comune, concezione che motiva gli

individui ad ottemperare ai loro doveri di cittadini.

Il peso della tradizione repubblicana sulle teorie democratiche discusse in questo capitolo non si limita

solamente alla concezione ontologica e al suo richiamo alla partecipazione politica dei cittadini

all’interno delle rispettive comunità di riferimento, ma interessa anche le modalità con le quali si

perviene alle decisioni politiche, fornendo da questo punto di vista un terreno fertile sul quale trovano

innesto le teorie deliberative della democrazia: la tradizione repubblicana delineata da Pocock è

utilizzata ad esempio da Cass Sunstein per identificare un insieme di idee fondamentali che non solo

contribuiscono a definire il repubblicanesimo, ma che vengono ritenute anche di fondamentale

importanza per le società politiche contemporanee, in particolare quella di percepire la politica come

un processo deliberativo al quale gli individui partecipano perché spinti dalla virtù civica16.

Frank Michelman utilizza invece il principio repubblicano di libertà intesa come autogoverno,

piuttosto che il concetto di politica, come base per proporre una democrazia deliberativa ed un nuovo

costituzionalismo democratico intrisi di significativi richiami alla dimensione dialogica dell’agire

politico17.

15

R. Dahl, 1989, La democrazia e i suoi critici, Roma, Editori Riuniti, p. 41.

16Cfr. C.R. Sunstein, 1988, Beyond the Republican Revival, in «The Yale Law Journal», XCVII, pp. 1539-1589;

dello stesso autore si veda anche The Enduring Legacy of Republicanism, in S.L. Elkin – K.E. Soltan (eds.), 1993, A New Constitutionalism. Designing Political Institution for a Good Society, Chicago, The University Chicago Press, pp. 174-206.

17F. Michelman, 1988, Law’s Republic, in «The Yale Law Journal», XCVII, pp. 1493-1537; dello stesso autore

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