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DAL GRANDUCATO DI TOSCANA AL REGNO DI NAPOL

1. Il breve rientro in Toscana

Il rientro in patria di Gatti non passò inosservato ed anzi ricevette un'accoglienza di tutto rispetto: i periodici annunciarono il suo arrivo con toni riservati ad una persona di riguardo572 e Pietro Leopoldo, che Gatti non aveva ancora avuto modo di conoscere dato il

suo allontanamento dalla Toscana, lo ricevette in udienza privata pochi giorni dopo il suo arrivo.573 Il Granduca, spinto dal consiglio materno si era fatto inoculare con successo nella

primavera del 1769 e doveva, quindi, nutrire una certa curiosità nei confronti di uno dei maggiori esponenti della diffusione e della pratica dell'inoculazione vaiolosa. Rimangono ad oggi oscuri gli argomenti del colloquio intercorso tra Gatti e Pietro Leopoldo, ma è lecito supporre che quest'ultimo fosse molto interessato a conoscere un suo suddito divenuto così celebre per la promozione di una pratica che poteva concorrere al raggiungimento della felicità pubblica,574 cara ai principi dell'assolutismo illuminato di cui Pietro Leopoldo fu uno

dei maggiori esponenti. Il Granduca infatti, sottoponendosi in prima persona all'inoculazione e facendola in seguito, come vedremo, praticare anche sui suoi figli, dimostrò di compiere un significativo passo avanti rispetto al governo del padre, durante il quale, nel 1756 erano state promosse le prime inoculazioni pubbliche su alcuni bambini dell'Ospedale degli Innocenti di Firenze. Alla base dei motivi che spinsero Pietro Leopoldo a prendere la difficile decisione ci fu senza dubbio una profonda fiducia nel progresso scientifico, di cui la tecnica preventiva dell'inoculazione vaiolosa era espressione.

La fama di Gatti, nel 1771, era ormai consolidata dal manifesto appoggio datogli, come abbiamo ampiamente dimostrato, da larga parte della nobiltà e borghesia illuminata francese, nonché dalla celebrità raggiunta in ambito medico grazie ai suoi due trattati

572Cfr. “Magazzino Toscano”, Firenze, Viviani, 1771, vol. 2, Firenze, 24 maggio 1771, s.p. e “Gazzetta toscana”, Firenze, Pagani, 1771, n. 21, Firenze, 25 maggio 1771, p. 82.

573ASF, Segreteria e Ministero degli Esteri – Appendice, 2, c.n.n., Piccolomini a Niccoli, 24 maggio 1771: “Il Sig. Cav. Gatti ha avuta una graziosissima udienza dal R. Padrone. Egli è stato subito a vedermi dopo il suo arrivo in questa città, e mi ha recate le migliori nuove di lei assieme con i saluti di cotesto degnissimo ambasciatore, che ho graditi moltissimo, e per i quali la prego di ringraziarlo con i termini più espressivi, e graziosi.”

574Il concetto di felicità pubblica rimanda chiaramente all'opera di Ludovico Antonio Muratori, Della pubblica felicità, pubblicata per la prima volta a Lucca nel 1749. Anche la medicina era secondo Muratori una chiave importante per il raggiungimento del benessere pubblico ed anche i medici, come altri intellettuali, avevano il dovere di aiutare il sovrano illuminato coadiuvandolo in quest'opera. Cfr. L.A. Muratori, Delle pubblica felicità oggetto dei buoni Prìncipi, Lucca, s.e., 1749, cap. XI Della medicina, pp. 130-143. Il trattato di Muratori arrivò ben presto a Vienna dove insieme ad altre opere fondamentali del periodo come l'Esprit des lois di Montesquieu e l'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, entrò a far parte della biblioteca imperiale e dell'educazione di Pietro Leopoldo e di suo fratello Francesco. Cfr. A. Wandruska, Pietro Leopoldo. Un grande riformatore, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. 27-29.

sull'inoculazione. A tessere le lodi del medico mugellano contribuirono anche funzionari granducali come Raimondo Niccoli, segretario di legazione toscana a Parigi. In una lettera del 10 giugno 1771 il Niccoli, scrivendo al neoeletto Segretario di Stato per gli affari esteri, conte Tommaso Piccolomini, manifestava la profonda stima che nutriva nei confronti di Gatti augurandosi che potesse mettere a frutto le sue doti di medico in Toscana così come aveva saputo fare in Francia:

“Je suis très reconnaissant de la bonté que vous avez eu de vous entretenir avec Gatti de ma petite personne. Vous aurez trouvé un homme qui m'aime, et qui desire d'inspirer aux autres les sentiments qu'il a pour moi. Je lui ai des grands obligations; si vous êtes dans le cas de lui rendre quelque service, je vous en aurois la même réconnaissance comme si vous l'aviez rendu à moi même. […] Je crois que le G.D. fera bien d'engager Gatti à rester à Florence [pour] les connoissances qu'il a acquis en médecine et sa methode d'inoculer.”575

Tra coloro che si rallegrarono del ritorno in Toscana di Gatti ci furono anche esponenti di spicco dell'ambiente culturale fiorentino come Giuseppe Pelli Bencivenni che conosceva il medico mugellano fin dagli studi universitari. Pochi giorni dopo l'arrivo di Gatti a Firenze il Pelli riportava nelle sue Efemeridi le conversazioni avute con l'amico in merito a vari argomenti, tra questi riflessioni squisitamente mediche ma anche spinose questioni di attualità francese come il presunto ritorno dei gesuiti e le scarse doti della favorita del re:

“Ho discorso molto col dottor Gatti venuto di Parigi, già mio amico, e celebre per avere in Francia, se non affatto introdotta, almeno molto dilatata l'inoculazione per cui vi ha fatta fortuna essendo Cavaliere di San Michele, e Medico Consultante del Re, ed ho sentite delle cose curiose. Fra le altre mi ha detto che la famiglia reale è una razza che va a finire, perché dei re derivati d'altri re per tanti secoli perdono il fisico natural vigore delle razze incrociate; ch'erano sul punto di ritornarvi i Gesuiti pochi giorni doppo la caduta del ministro, se l'indiscretezza del nunzio [in nota: Choiseul] non lo avesse fatto scoprire all'ambasciatore di Spagna, il quale andò tosto a parlare al re; che la Barry non è femmina di talento ecc. ecc. ecc. ecc.”576

575ASF, Segreteria e ministero degli Esteri – Appendice, 2, c.n.n., Niccoli a Piccolomini, Parigi, 10 giugno 1771. 576BNCF, G. Pelli Bencivenni, Effemeridi, serie I, vol. XXVII, p. 153, 30 maggio 1771. Due giorni dopo Pelli riporta

un'altra interessante riflessione fatta da Gatti, secondo la quale Voltaire con la sua filosofia e le sue opere avrebbe cambiato il modo di pensare, incontrando però lo scetticismo di Pelli che scrive: “Mi diceva Gatti che Voltaire ha il merito di aver variato il modo di pensare degli uomini. È egli vero? È vero che non ci sono eretici nuovi, ma molti deisti. Al contrario i devoti mancano? È vero che siamo più civili degli avi nostri, e che ci sono meno duelli, ma le

Gatti trascorse nella capitale del Granducato gran parte dell'estate, come testimoniano persone a lui vicine tra cui il Pelli ed il Piccolomini,577 tornando probabilmente per brevi

periodi nel suo paese d'origine, Ronta, dove, secondo il Segretario di Stato, si stabilì all'inizio di ottobre.578 In seguito alla morte di Giuseppe Pananti, marito della sorella

Caterina, Gatti aveva deciso di curare gli interessi sia di quest'ultima che dei suoi figli, divenendo tutore dei nipoti. Giuseppe Pananti, deceduto il 15 novembre 1768, aveva lasciato alla moglie e ai figli un patrimonio, in parte fidecommisso ed in parte libero, aggravato da molti debiti, alcuni dei quali ereditati dal padre, Lorenzo Pananti. In Francia, oltre ad aver guadagnato una grande celebrità, Angelo Gatti era riuscito anche ad accumulare una certa fortuna derivata dal suo lavoro di medico inoculatore e dalle pensioni provenienti dai titoli e dagli incarichi ricevuti: era quindi perfettamente in grado di poter sostenere la sorella e la sua numerosa famiglia. Stando a quanto riportato da Luigi Andreani nella biografia del medico mugellano più volte citata, dei dieci figli nati da Caterina e Giuseppe Pananti tra il 1755 ed il 1768, al rientro di Gatti in Toscana nel 1771, ne rimanevano in vita soltanto sei, tre maschi, Luigi, Filippo e Pietro Paolo e tre femmine, di cui soltanto di una di esse conosciamo per certo l'identità, Maddalena Elisabetta.579 Secondo

l'Andreani, Gatti non si limitò a saldare i debiti che pesavano sulla sorella ma si occupò

guerre sono meno crudeli? Si ruba meno? Si adultera meno? Si offende meno il prossimo? E se questo è, lo dobbiamo a Voltaire? Sono al più 15 o 20 anni che predica, mentre avanti cantava, e questa apparente riforma di costumi non è più vecchia? Voltaire diverte: questo è tutto il suo merito, e conferma delle idee che altri prima di lui avevano più rozzamente sparse. Montesquieu ha scritto più utilmente di lui a' nostri giorni ed io lo chiamerò sempre lo scrittore maestro del XVIII secolo. È vero che tutto quello che dice non è nuovo, ma è ancor vero che la massima parte è utile, e vero per la felicità degli uomini.” Ivi, pp. 155-156, 1 giugno 1771.

577Nell'estate del 1771 Piccolomini e Niccoli nella loro corrispondenza parlano di Gatti in più occasioni (ASF, Segretria e Ministero degli Esteri, 2334, Piccolomini a Niccoli 9 agosto 1771, c.n.n.; Segreteria e Ministero degli Esteri – Appendice, 2, Firenze, 2 luglio 1771, cc.n.n.; ivi, Niccoli a Piccolomini, Compiègne, 4 agosto 1771). Anche il Pelli riporta nelle sue Effemeridi di aver conversato con Gatti in due occasioni nel settembre di quell'anno (BNCF, G. Pelli Bencivenni, Effemeridi, Serie I, Vol. XXVIII, p. 44 (4 settembre 1771) e p. 49 (7 settembre 1771).

578ASF, Segreteria e Ministero degli Esteri – Appendice, 2, Piccolomini a Niccoli, Firenze, 24 ottobre 1771, c.n.n.: “Al S. Dottor Gatti, che si trova da molti giorni in Mugello, ho preso il partito di fare colà rimettere per mano sicura la lettera da lei inviatami per il medesimo.”

579Cfr. L. Andreani, Il Dott. Angelo Gatti di Ronta, op. cit., p. 13. Luigi Andreani ha curato anche un'edizione delle opere di un nipote di Gatti, il poeta Filippo Pananti: F. Pananti, Scritti minori inediti o sparsi, con notizie della vita e delle opere sue, raccolti e pubblicati da Luigi Andreani, Firenze, Bemporad, 1897, in fondo alla quale si trova un albero genealogico della famiglia Pananti. In questo albero sono elencati i nomi e le date di nascita, ma non di morte, dei nipoti di Gatti, con alcune lacune che tuttavia possono essere integrate grazie alla tesi di laurea del Dott. Pier Tommaso Messeri, che per le sue ricerche ha avuto accesso all'archivio privato della famiglia Magnani-Misseri, ultimi eredi dei Pananti di Ronta. Cfr. P.T. Messeri, Filippo Pananti, viaggiatore e poeta, Università degli Studi di Firenze, Relatore Prof. Giovanni Cipriani, correlatore Rolando Minuti, a.a. 2011-12. Giuseppe Pananti e Caterina Gatti ebbero in tutto undici figli: Lorenzo (1755), Maria Matilde (1756), Maddalena Elisabetta (1757), Isabella Penelope (1759), Anton Francesco (1761), Anna Eleonora (1762), Luigi (1764), Filippo (1766), Pietro Paolo (1767), Teresa Ottavia (1768), Maria Maddalena Giovanna (1769); di questi solo sei, tre maschi e tre femmine, sopravvissero alla prima infanzia. Cfr. Archivio Famiglia Magnani, Ronta (A.F.M.R.), Genealogia della famiglia Pananti di Poggio ai Greppi, compilata da Girolamo Magnani, 1878.

anche di assicurare ai nipoti maschi un'istruzione adeguata e alle nipoti delle buone doti.580

Di un nipote in particolare, Filippo,581 Gatti curò maggiormente l'educazione spingendolo ad

entrare, dopo aver seguito i primi studi presso il collegio del seminario vescovile di Pistoia, nella facoltà di legge dell'ateneo pisano, dove, seppur come emerito, deteneva ancora la cattedra di medicina pratica.582

580L'Andreani ha probabilmente attinto queste informazioni dalle lettere di Filippo Pananti a Giuseppe Castinelli, in particolare quella scritta da Sorèze il 22 maggio 1802, nella quale il poeta descrive minuziosamente la controversa questione dell'eredità lasciata da Gatti alla sorella Caterina e ai nipoti. Cfr. C. Casalegno, Sette lettere inedite di Filippo Pananti, “Otto/Novecento”, a. 2 (1978), pp. 170-173.

581Su Filippo Pananti si vedano i suoi scritti: Avventure e osservazioni sopra la costa di Barberia, Firenze, Ciardetti, 1817; Discorso presentato dai patrioti ai municipalisti di Firenze, Firenze, s. t., 1799; Filippo Pananti Soldato della Guardia Nazionale ai suoi Compagni, detto alla società Patriottica di Firenze li 16 Florile, “Monitore fiorentino”, 47, 1799; Discorso del Cittadino Filippo Pananti Soldato della Guardia Nazionale ai suoi Compagni, detto alla società Patriottica di Firenze li 16 Florile, “Monitore fiorentino”, 47, 1799; Il Poeta di Teatro, Milano, G. Silvestri, 1817; Lettera del Cittadino Filippo Pananti all’Estensore del Monitore Fiorentino, “Monitore Fiorentino”, 27, 1799; Opere in versi e in prosa del dott. Filipppo Pananti, Firenze, Piatti, 1824. Per gli studi su Filippo Pananti si vedano invece: L. Andreani, Filippo Pananti: Scritti minori inediti o sparsi con notizia della vita e delle opere sue , op. cit.; C. Casalegno, Sette lettere inedite di Filippo Pananti, op. cit.; L. Ciulli, Filippo Pananti e Giuseppe Giusti nel Seminario-Collegio vescovile di Pistoia, Prato, Guasti, 1883; E. Del Cerro, Filippo Pananti Giornalista, “Rivista d’Italia”, XII, 1915; A.F. Giachetti, Un poeta mugellano precursore delle grandi imprese d’Africa, “Messaggero del Mugello”, I-XI-XXXIV, 1912; P. Gori, Rime e Prose di Filippo Pananti, Firenze, Salani, 1882; P.T. Messeri, Filippo Pananti, viaggiatore e poeta, op. cit.; F. Palazzi (a cura di), Filippo Pananti, Il Poeta di Teatro, Firenze, Ultra, 1945; G. Sforza, Filippo Pananti e gli avvenimenti toscani del 1798, “Archivio Storico Italiano”, serie V, III, 1889; A. Vannucci, Onori a Filippo Pananti, “L’Alba”, 1848.

582Cfr. D. Barsanti, I docenti e le cattedre dell'università di Pisa dal 1737-'38 al 1798-'99, “Bollettino storico pisano”, LXII, 1993, p. 258.