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SEZIONE I: Il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali: un ponte tra presente e futuro

2) Breve storia del diritto all’oblio

All’alba della nascita della nozione di oblio, quando nel panorama giuridico e sociale ancora non aveva irrotto con tutta la sua forza invasiva il web, la ricostruzione tradizionale della dottrina e della giurisprudenza si era consolidata prevalentemente su una concezione di oblio, come divieto di reiterazione della pubblicazione di una notizia, ormai datata nel tempo e per la quale l’interesse pubblico alla conoscenza era svanito146, collegando, in tal

modo, quel diritto, in stretta connessione con l’attività giornalistica e la riproposizione di fatti di cronaca, con il diritto della stampa ad informare e dei cittadini ad essere informati147.

Questa primigenia concezione del diritto all’oblio, quale divieto di reiterazione di una notizia nel tempo, si colloca in una dimensione ‘off-line’, che differisce da quella ‘on- line’ per il ruolo che assume, all’interno della dinamica ‘pubblicazione-violazione privacy’, il fattore tempo148, con la precisazione che tale concezione solo de relato sia

143 Questo si è verificato sin dalla prima fase, legata alla consultazione di Bruxelles, di maggio 2009, organizzata dalla Commissione europea. In questo senso anche Commissione europea, Comunicazione

della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni, Un approccio globale alla protezione dei dati personali nell’Unione europea,

Bruxelles, 4 novembre 2010.

144 Anche la Dichiarazione n. 20, allegata al Trattato di Lisbona e specificamente riferita all’art. 16 del Trattato sul Funzionamento dell’unione europea, precisa che «ogni qual volta le norme in materia di

protezione dei dati personali, da adottare in base all’art. 16, possano avere implicazioni dirette per la sicurezza nazionale, si dovrà tener debito conto delle caratteristiche specifiche della questione».

145 I lavori per la redazione del Regolamento si sono infatti aperti nel 2010 e solo il 17 dicembre 2015 la Commissione ha presentato il primo testo di legge.

146 Così: Cass. Civ., Sez. I, sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259, in Giur. It., 1985, 762 ss; Trib. Roma, sentenza 15 maggio 1995, in Dir. Inform., 1996, 424 ss; Trib. Roma, ordinanza 27 novembre 1996, in Dir.

Aut., 1997. 372 ss.

147 V. D’ANTONIO - S. VIGLIAR, Studi di diritto della comunicazione. Persone, società e tecnologie

dell’informazione, Padova, 2009, 1 ss.

148 Come ritenuto da V. D’ANTONIO, che analizza l’evoluzione storica del diritto all’oblio da una dimensione off-line ad una dimensione on-line, Oltre la cancellazione dei dati personali: l’originaria

concezione del diritto all’oblio offline, Oblio e cancellazione dei dati nel diritto europeo, in S.SICA,V.

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riconducibile al diritto alla riservatezza, in quanto non è trascurabile il fatto che in primis la pubblicazione della notizia era legittima, giacché relativa a fatti di cronaca di pubblico interesse che non fuoriuscivano dalla sfera di riservatezza dell’individuo e, dunque, non violavano la sua privacy.

L’oblio, secondo tale accezione, toccava il diritto alla riservatezza allorquando nell’equazione subentrava il fattore tempo: ciò perché la reiterazione della pubblicazione di una notizia, in precedenza legittimamente pubblicata, con il trascorrere del tempo, perdendo di attualità ed utilità informativa per la collettività, sarebbe andata a scalfire, violandolo, il diritto all’identità personale. Pertanto, stante la legittimità dell’originaria pubblicazione, il diritto all’oblio non coincideva con la cancellazione della notizia, ma andava ad incidere esclusivamente sulla reiterazione di quest’ultima in un arco temporale differito, senza che potesse configurarsi un’ipotesi di cessazione del trattamento.

Lo scenario muta completamente nella dimensione on-line, nella quale il fattore temporale perde del tutto la funzione discriminante tra il momento di pubblicazione della notizia e quello di riproposizione della stessa. Qui il dato temporale, infatti, risulta appiattito su di un’unica linea di contesto, quella del web, in cui non si ha più la presenza di momenti temporali separati e distinti, ma di uno spazio temporale unico e continuo, dove la notizia permane in Rete dal momento dell’upload, rendendosi consultabile da chiunque e in qualunque momento. E’ chiaro che in una situazione di questo genere, in cui manca la ‘riproposizione della notizia’, il diritto all’oblio non possa più essere interpretato come la pretesa dell’interessato a che il fatto che lo riguardi, ormai coperto dal tempo, non sia soggetto ad ingiustificate ripubblicazioni da parte di una testata giornalistica149.

Variato il contesto, è variata anche l’interpretazione e il contenuto di quel diritto, di modo che la tutela dell’identità personale del soggetto interessato possa essere efficacemente salvaguardata all’interno delle nuove trame delineate dalla Rete.

In questo modo la vecchia concezione del diritto all’oblio si è trasformata nella pretesa dello stesso soggetto a che il fatto che lo riguardi sia ‘contestualizzato’ e l’informazione

149 Come sottolineato da G. FINOCCHIARO, La memoria della Rete ed il diritto all’oblio, op. cit., 593 «In

Rete la ripubblicazione non è più necessaria, dal momento che per la stessa organizzazione dell’informazione, nella rete l’informazione non è cancellata, ma permane disponibile o quantomeno astrattamente disponibile. In altri termini non si tratta solo o necessariamente di una ripubblicazione dell’informazione, quanto piuttosto della sua permanenza in Rete. Muta dunque il ruolo che gioca il temo e muta l’esigenza che si vuole soddisfare».

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relativa alla sua persona sia aggiornata, vera ed utile alla conoscenza, con un appiattimento del fattore temporale che, tuttavia, non scompare del tutto: è infatti proprio lo strumento dell’aggiornamento, obbligo posto in capo al responsabile della pubblicazione di mutare sul web ciò che è mutato nella realtà, che dà una nuova dimensione al fattore tempo.

Questa nuova accezione del diritto all’oblio, quale contestualizzazione del dato online, è stata recepita con successo, tanto dal Garante Privacy italiano, che più volte ha preteso che gli archivi dei quotidiani online fossero aggiornati150, che dalla giurisprudenza

italiana151.

Il significato del diritto all’oblio viene ad assumere un’ulteriore sfaccettatura esegetica a seguito dell’ormai nota sentenza Google Spain, C-131/12 del 13 maggio 2014152, ad

opera dei giudici europei, emessa a seguito del ricorso presentato dal Sig. Gonzales, diretto ad ottenere il taglio dei link alla notizia relativa ad una sua vicenda personale, che comparivano su semplice digitazione dei suoi dati, dal momento che le informazioni che lo riguardavano erano relative ad una vicenda datata, ormai relegata ad un momento passato e risultavano altamente lesive per la sua immagine, non essendo i contenuti aggiornati. Un quotidiano spagnolo, La Vanguardia, infatti, aveva pubblicato un elenco di proprietà che erano state sequestrate dal dipartimento di sicurezza sociale per procedimenti correlati al recupero di crediti. Tra le proprietà elencate, c’era una piccola proprietà in Catalogna: prima dell’asta i proprietari erano Mario Costeja Gonzales e la moglie. Nel 2009 il quotidiano cominciava le pubblicazioni anche online e, da quel momento in avanti, i lettori avrebbero potuto fare gratuitamente ricerche sul sito del quotidiano sino al 1981. Gonzales, che dieci anni dopo era divorziato ed aveva onorato i suoi debiti, effettuando un banalissimo ego search in Google, mediante l’inserimento del proprio nome e cognome nel box del motore di ricerca, notava che uno dei primi risultati a comparire era proprio la pagina del quotidiano che annunciava una sua proprietà

150 Si veda Garante per la protezione dei dati personali, Doc. Web n. 2286820, 24 gennaio 2013; Doc. Web

n. 1617673, 8 aprile 2009; Doc. Web n. 1583162, 11 dicembre 2008, in www.garanteprivacy.it.

151 Cass. Civ., Sez. III, sentenza 5 aprile 2012, n. 5525, in D&G, 2012, 5 aprile: sentenza storica in tema di aggiornamento in cui i giudici di legittimità hanno imposto alla testata giornalistica on line la necessità della contestualizzazione dell’informazione e l’obbligo del suo aggiornamento perché “la notizia non può

continuare a risultare isolatamente trattata e non contestualizzata in relazione ai successivi sviluppi, giacché altrimenti la notizia, originariamente completa e vera, non aggiornata, diviene quindi parziale e non esatta e pertanto, sostanzialmente non vera”.

152 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-131/2012 Google Spain SL, Google Inc. vs Agencia Espanola

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all’asta. Gonzales iniziò a domandare al quotidiano la rimozione, ma ricevette risposta negativa e contattò Google, facendo presente che il primo risultato che lo riguardava era un’informazione non più rilevante, né tantomeno aggiornata. Dopo le due prime risposte negative, decise di rivolgersi all’Autorità garante per la protezione dei dati in Spagna, che respinse la domanda nei confronti del quotidiano, ma accolse quella diretta a Google, in qualità di intermediario: Google avrebbe avuto il dovere di rimuovere quei contenuti, in quanto non più attuali e rilevanti, essendo l’asta avvenuta dieci anni addietro e non riscuotendo, la notizia, alcun interesse attuale. Google decise allora di appellarsi all’Autorità superiore, in Spagna, che decise di rinviare la decisione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Il ricorso è stato integralmente accolto dalla Corte di Giustizia europea, che ha riconosciuto, senza ombra di dubbio, come il trascorrere del tempo fosse da solo idoneo a rendere illecito un trattamento originariamente lecito. Con quella pronuncia i giudici europei hanno obbligato il gestore del motore di ricerca alla cancellazione dei collegamenti alle pagine elettroniche, su semplice digitazione dei dati del ricorrente, ritenendo in tal modo il ‘diritto ad essere dimenticati’ prevalente sia sul diritto all’informazione che sugli interessi economici del motore di ricerca.

I giudici europei hanno così contribuito ad aggiungere un’ulteriore sfumatura del diritto all’oblio, passando dal diritto ad essere dimenticati, alla pretesa a ‘non essere trovati facilmente’, tecnicamente intesa come diritto alla de-indicizzazione delle informazioni153.

Secondo questa interpretazione, ciò che si persegue non è la totale eliminazione del dato personale dal web, quanto piuttosto un’operazione di linkaggio che vede la dissociazione del nome dell’interessato da un determinato risultato di ricerca, rendendo impossibile per il motore di ricerca ricollegare nuovamente le due informazioni, riunendole attraverso un nuovo link. Il dato conservato continuerà comunque a vivere all’interno di archivi on-line di pagine web, risultando sempre accessibile con altre e differenti chiavi di accesso, seppur con maggiori difficoltà.

In questa ulteriore specificazione il diritto all’oblio si traduce nella sottrazione al pubblico di una modalità di accesso semplificata e generalizzata ad informazioni sul proprio

153 Sul tema si rinvia a G. RESTA-V. ZENO-ZENCOVICH, Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza

Google Spain, Roma, 2015 e a F. PIZZETI, La decisione della Corte di Giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, Roma, 2014.

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conto154, con la conseguenza che saranno difficilmente ipotizzabili istanze di rimozione

di risultati di ricerca che vadano oltre la dissociazione di una determinata pagina del sito sorgente collegata ad un particolare nome, sino a coprire tutte le possibilità di accesso alla pagina stessa mediante differenti modalità di interrogazione del motore di ricerca155.

A differenza delle precedenti interpretazioni di quella pretesa, che non avevano come target finale quello della cessazione del rapporto di trattamento, anzi al contrario ne era consentivano la continuazione al fine dalla concreta operabilità dell’oblio, nel caso, invece, dell’oblio inteso come ‘de-indicizzazione’, anche se non è prevista la cancellazione del dato, come invece richiesto dall’art. 17 del nuovo Reg. UE, la finalità è pur sempre coincidente con quella della disposizione regolamentare, ossia la cessazione del trattamento imposta al titolare/ responsabile dello stesso.

Non a caso questa concezione è quella che più si avvicina all’interpretazione datane dal Legislatore europeo, che ha appiattito il diritto all’oblio sulla concezione di ‘erasure’, cioè della cancellazione del dato personale da parte del titolare del trattamento, con la conseguente cessazione del trattamento stesso.

La sentenza della Corte (Grande Sezione), pertanto, ha rappresentato l’alba di un nuovo concetto di oblio, facendo entrare nel vivo il dibattito su quell’istituito. E’ stato affermato, infatti, un diritto all’oblio dai confini differenti da quelli fino ad allora teorizzati dalla giurisprudenza italiana, strettamente legato al diritto all’autodeterminazione informativa, che ha visto i motori di ricerca divenire attori principali del processo di de-indicizzazione, preceduto in ogni caso da un’operazione di bilanciamento tra la pretesa ad essere dimenticati e quella contraria al permanere dei dati nei canali del web.

Non è, d’altra parte, la prima occasione in cui la Corte di Giustizia ha dovuto affrontare problematiche riguardanti il bilanciamento tra tutela dei diritti fondamentali ed accertamento e prevenzione di attività illecite e reati. In alcuni precedenti, la Corte156 ha

valorizzato i diritti previsti dagli articoli 8 e 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, oltre alla libertà di impresa, ai sensi dell’art. 16, per garantire la

154 Così V. D’ANTONIO, Il diritto all’oblio on line come diritto alla de-indicizzazione del dato. Oblio e

cancellazione dei dati nel diritto europeo, in S. SICA - V. D’ANTONIO - G.M. RICCIO (a cura di), La Nuova Disciplina Europea della Privacy, Milano, 2016, 212 ss.

155 Si veda inoltre S. SICA- V. D’ANTONIO, La procedura di de-indicizzazione, in Dir. Inform., 2014, fasc. 4-5

156 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 24 novembre 2011 (C-70/10) e sentenza 16 febbraio 2012 (C-360/10), nonché in termini parzialmente diversi, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 27 marzo 2014 (C-314/12).

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loro prevalenza nel bilanciamento con le esigenze di tutela della proprietà intellettuale in Internet, le cui violazioni costituiscono, in molti Stati, un illecito penale157.

Questa volta al centro della questione è stata la configurabilità del diritto all’oblio inteso in una particolare accezione: ottenere direttamente da un motore di ricerca la cancellazione, dai risultati generati dal sistema, dei collegamenti a notizie relative a circostanze dalle quali un soggetto si è nel tempo allontanato.

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