SEZIONE I: Il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali: un ponte tra presente e futuro
3) Il diritto all’oblio
L’evoluzione rapida e profonda dell’istituto ha fatto sì che dello stesso non possa essere fornita una definizione univoca, così come non è semplice affermare che l’oblio, fino a qualche tempo fa, abbia potuto rappresentare realmente un diritto, nonostante già dal 2004 l’Autorità Garante italiana158, allora presieduta da Stefano Rodotà, si sia occupata proprio
di questo argomento, adottando un provvedimento ben articolato e motivato. Il ricorrente, in quell’occasione, aveva lamentato la pubblicazione di un provvedimento amministrativo obsoleto, relativo alla sua persona, sul sito dell’Autorità garante, che avrebbe arrecato grave pregiudizio alla sua sfera privata e professionale. Utilizzando, infatti, un normale motore di ricerca, la decisione dell’Autorità sarebbe stata costantemente affiancata al nome del ricorrente ed, avendo, questa modalità di pubblicazione, un carattere pressoché perpetuo, avrebbe potuto provocare conseguenze ben più gravi della pubblicazione a mezzo stampa, che pure costituiva una precisa sanzione accessoria, limitata però nel tempo. Istanza avversata da controparte, sul presupposto che la pubblicazione dei provvedimenti era mera ottemperanza ad un obbligo di legge.
Il problema dei dati personali, captati dai canali del web e destinati alla reperibilità eterna, è di gran lunga precedente alla pronuncia della Corte di Giustizia europea, la C-131/2014: quest’ultima, infatti, ha solo espressamente riconosciuto alcuni diritti all’interessato,
157 Cercando di sintetizzare, in due casi (C-70/10 e C-360/10), la Corte ha affermato che il giudice nazionale non può imporre ad un service provider l’adozione di specifici sistemi di filtro per impedire agli utenti di usare tecnologie di file sharing in violazione delle norme in materia di diritto d’autore. Un sistema di filtraggio attivo e preventivo, senza limiti di tempo, a totale carico economico del provider richiederebbe un controllo sistematico ed attivo sulla totalità delle comunicazioni elettroniche e, indistintamente, sugli utenti che si avvalgono del servizio, indipendentemente dalla natura dei contenuti trasmessi. Sul rapporto tra libertà in Rete ed operazioni di monitoraggio del Web, finalizzate alla repressione di possibili reati, si rinvia all’analisi di R. FLOR, Tutela penale ed autotutela tecnologica dei diritti d’autore nell’epoca di Internet, Cedam, Padova, 2010.
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titolare dei dati personali trattati, a tutela della sua sfera privata, in assenza di “un interesse pubblico che giustifichi la violazione di quell’aspetto della dignità/riservatezza, definito ‘diritto all’oblio159”. In tal modo si è espressa la Suprema Corte di recente, richiamando
l’impostazione classica, che tende a collocare il diritto entro i confini di concetti noti ed affermati, come la dignità e la riservatezza e, più in generale, nell’alveo dei diritti della personalità, dovendosi riconoscere all’individuo la possibilità di cambiare, trasformarsi e crescere, lasciandosi alle spalle un passato, a volte anche pesante160.
Ed in questi termini è anche un segno di civiltà, espressione della funzione rieducativa della pena, di cui all’art. 27, comma 3, Cost., volta non solo a punire il condannato, ma anche a favorirne il reinserimento sociale e la sua restituzione alla società civile.
E’ certamente difficile accettare l’idea di una rieducazione in assenza del silenzio della memoria: se nella società rimanesse ben saldo il ricordo di quanto commesso dal condannato e se questo fosse rinsaldato proprio dalla permanenza in Rete dell’informazione o dalla ripubblicazione, a distanza di tempo, della notizia, di sicuro verrebbe ad essere annientata la funzione rieducativa della pena e non si favorirebbe il reinserimento del reo nella comunità sociale, dalla quale si era estraniato, attraverso la pedagogica correzione della sua antisocialità e l’adeguamento del suo comportamento alle regole giuridiche e sociali.
E’ un diritto particolarmente fluido, dinamico e in continua evoluzione161; così è stato,
infatti, negli anni, potendosi riassumere, nell’espressione, più significati: la pretesa, del soggetto interessato, alla cancellazione dei propri dati (e di ‘diritto alla cancellazione’ parla il nuovo Regolamento europeo in tema di dati personali) nonché, da un’altra angolazione, il desiderio, espresso da un soggetto, di non vedere riproposte notizie attinenti al suo passato ormai superate162 ed in grado di arrecargli pregiudizio163.
159 Cass. Pen., Sez I, 8 gennaio 2015, n. 13941, in Ced. Cass., 2015. 160 Così anche per L. RATTIN, Il diritto all’oblio, in Arch. Civ, 2000, 1069.
161 In particolare, sul punto si rinvia a G. FINOCCHIARO, La memoria della Rete ed il diritto all’oblio, op. cit., 392; F. DI CIOMMO- R. PARDOLESI, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. E’ la rete, bellezza!, in Danno e resp., 2012, fascicolo 7, 703.
162 G. MARCHETTI, Diritto di cronaca online diritto all’oblio, in AA.VV., Da internet ai social network, Rimini, 2013, 71.
163 Un’attenta voce ha ritenuto che il diritto all’oblio può essere indicato come “il diritto a non essere esposti
a tempo indeterminato ai pregiudizi che può comportare la reiterata pubblicazione di una notizia; si tratta del diritto a non vedere più associato il proprio nome a vicende che, pur avendo avuto una rilevanza pubblicistica in un certo momento, si ritiene non ne abbiano più per essere trascorso un lasso di tempo significativo dalla relativa divulgazione, tale da far ritenere che l’interesse alla conoscenza della notizia sia venuto meno” (L. CAPUTO, Il diritto all’oblio, Dylan Dog e il desiderio di dimenticare, in
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Dalla giurisprudenza, e nemmeno tanto obsoleta, il diritto all’oblio è stato trattato come un istituto strettamente connesso al diritto alla riservatezza, tanto da esserne considerato una sua declinazione. Allocare, tuttavia, l’istituto nell’alveo della riservatezza non può che essere riduttivo: il diritto all’oblio non è una costola della disciplina della privacy ma, rientrandovi la pretesa alla tutela dei dati personali164, sarebbe più corretto considerarlo
come estrinsecazione dei diritti della persona, in particolare come risposta alla necessità di porre un freno al diritto alla libertà di pensiero e d’informazione, laddove queste, senza arrecare alcuna utilità informativa alla collettività, si rivelassero lesive, adombrando ingiustamente l’identità dell’individuo. E’, infatti, utile precisare che il diritto all’informazione debba essere considerato sovrano e che, solo in presenza di alcune condizioni (una notizia obsoleta o di scarso interesse pubblico o ancora, non aggiornata), la pretesa alla de-indicizzazione o cancellazione dei dati dovrà essere oggetto di bilanciamento con il diritto di cronaca e con l’interesse pubblico alla conoscenza delle informazioni acquisibili attraverso la Rete.
Il diritto all’oblio, al più, in quanto strettamente legato al controllo dei propri dati, potrebbe rappresentare una declinazione del ‘diritto all’autodeterminazione informativa’, recuperando un’impostazione tradizionale relativa ai diritti del soggetto all’onore e soprattutto alla reputazione165: in effetti, come chiarito dalla Suprema Corte nel 2012166,
“il diritto all’oblio, pur apparendo legato alla nozione di riservatezza, salvaguarda la proiezione sociale dell’identità personale, l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione d’informazioni potenzialmente lesive, in ragione della perdita di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell’esplicazione e nel godimento della sua personalità”. Il tutto naturalmente in una logica di bilanciamento tra il diritto del soggetto a fornire un’immagine sociale il più possibile compatibile con la propria percezione del sé e il diritto della collettività di conoscere eventi d’interesse pubblico.
In forza di queste premesse, la giurisprudenza nazionale ha tendenzialmente riportato il diritto ad essere dimenticati entro i confini dell’ampia disciplina della protezione dei dati personali che impone il corretto uso degli stessi in sede di trattamento, sino a legittimarne
Iurisprudentia.it). Tale diritto, secondo l’Autore, costituisce una sorta di rovescio della medaglia
dell’interesse pubblico all’informazione.
164 Si veda G. SCIULLI, Il diritto all’oblio e l’identità digitale, Narcissus, Milano 2014. 165 Così, A. DE CUPIS, Condizioni morali e tutela dell’onore, in Foro Pad., 1960, Vol. I., 677. 166 Cass. Civ., Sez III, sentenza 5 aprile 2012, n. 5525, cit.
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la richiesta di cancellazione qualora quei dati non fossero più attuali, risultando quindi lesivi dell’identità.
3.1) Il ‘diritto all’oblio nelle pronunce dei giudici nazionali, successivamente alla ‘Google Spain’
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, C-131/12 del 13 maggio 2014, che, nell’operazione di bilanciamento tra l’istanza del ricorrente alla de-indicizzazione dei dati che comparivano su digitazione del suo nome e cognome e il diritto alla conoscenza di quei dati, ha ritenuto la prevalenza della prima rispetto all’interesse economico del motore di ricerca ed all’interesse pubblico ad accedere a quelle informazioni, costituisce tutt’oggi uno spartiacque nel panorama giuridico, non solo europeo, riferimento imprescindibile, qualora ricorrano i presupposti delineati dai giudici europei, per i giudici nazionali.
Così è stato, sia pure con alterne vicende!
Poco dopo la pubblicazione della sentenza della CGUE, un interessato si è rivolto al Tribunale di Roma167 per vedersi accolta la sua richiesta di ‘oblio’ nei confronti di un
motore di ricerca. I giudici aditi, pur avendo seguito l’orientamento della Corte di Giustizia nel riconoscere il diritto del soggetto a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, a causa della presenza in Rete di notizie liberamente accessibili a chiunque e, dopo un’approfondita disamina della situazione, sono giunti alla conclusione opposta, ossia di non accogliere la richiesta dell’istante. Nell’operazione di bilanciamento, infatti, essendo ancora la notizia di pubblico dominio ed avendo un valore attuale, in quanto il caso giudiziario che vedeva coinvolto l’interessato non si era concluso, è risultato prevalente l’interesse alla conoscenza dell’informazione da parte della collettività.
Decisione differente è stata di recente assunta dal Tribunale di Milano168, che ha
“riconosciuto il diritto dell’interessato di rivolgersi al gestore del motore di ricerca al fine di ottenere la rimozione dei risultati ottenuti inserendo, come criterio d’indagine, il nome del soggetto cui si riferiscono le informazioni, quando le stesse risultino inadeguate, non
167 Trib. Civ. Roma, sentenza 3 dicembre 2015, n. 23771. 168 Trib. Milano, Sez I, sentenza 4 gennaio 2017, n. 12623.
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pertinenti o non più pertinenti ovvero eccessive, in rapporto alle finalità per le quali sono state trattate e al tempo trascorso”.
Orientamento ribadito dai giudici di legittimità169, i quali hanno affermato che “l’illecito
protrarsi del trattamento dati giustifica l’accoglimento della pretesa risarcitoria quando – secondo una valutazione bilanciata del diritto di cronaca e del diritto all’oblio – il mantenimento del diretto ed agevole accesso sul web alla risalente notizia di cronaca esorbita dal fine del lecito trattamento di archiviazione online, ledendo i diritti all’identità ed alla reputazione dell’interessato”.
Ancora la Suprema Corte170, accogliendo in parte il ricorso del cantautore romano
Antonello Venditti contro Rai 1, per la messa in onda, 13 anni fa, di un servizio da parte della trasmissione ‘La vita in diretta’, senza il suo consenso, offensivo e denigratorio per le affermazioni a commento, gli ha riconosciuto il diritto a che i suoi dati non fossero più oggetto di trattamento, con la precisazione che in tema di riservatezza, dal quadro normativo e giurisprudenziale nazionale ed europeo, si ricava che il diritto all’oblio può subire una compressione in favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di taluni presupposti, tra i quali verrebbe ad emergere l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, e non la mera diffusione della stessa per ragioni divulgative o, ancor peggio, commerciali, come individuate dai giudici nel caso loro sottoposto.
Pronunce giudiziali assai distanti tra loro, nonostante i presupposti invocati dai ricorrenti fossero gli stessi e, ciò che è ancor più grave, pronunce opposte, relative allo stesso caso giudiziario, destinate a ripetersi nel tempo, anche a causa dell’assenza di criteri precisi ed oggettivi, uniformemente validi per tutti. Le leggi europee e nazionali che si sono susseguite, ivi compreso il recente Regolamento UE, pur avendo individuato la soluzione nella tecnica del bilanciamento laddove si fosse profilata un’ipotesi di conflitto tra il diritto ad essere dimenticati e l’antagonista diritto all’informazione, si sono ben guardate dall’indicare modalità e/o parametri in forza dei quali operare la tecnica risolutrice, perdendo un’utile occasione per perimetrare la discrezionalità dei motori di ricerca, che avessero voluto tagliare in maniera generosa, e dei giudici successivamente chiamati a decidere, anche per limitare il rischio di pronunce tra loro confliggenti, seppur relative allo stesso caso giudiziario.
169 Cass. Civ., Sez. I, sentenza 24 giugno 2016, n.13161, in www.ridare.it,19 ottobre 2016 con nota di D. BIANCHI.
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4) Il diritto all’oblio e la tutela dei diritti fondamentali della persona nel