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Il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio: i confini ridisegnati dalla sentenza CEDU ‘AFFAIRE M.L ET W.W c ALLEMAGNE del 28 giugno 2018 e la palese

SEZIONE II: Il diritto all’esercizio delle libertà fondamentali spettante alla collettività e il diritto all’oblio: forme di tensione

5) Il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio: i confini ridisegnati dalla sentenza CEDU ‘AFFAIRE M.L ET W.W c ALLEMAGNE del 28 giugno 2018 e la palese

distorsione del diritto all’oblio operata dalla Corte di Cassazione con la pronuncia 24 giugno 2016, n. 13161

Il diritto di cronaca, che rientra nella più vasta categoria delle libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, riconosciute dall’art. 21 della Costituzione, si estrinseca nel potere/dovere del giornalista di portare a conoscenza del lettore fatti d’interesse pubblico, con la precisazione che il diritto di manifestare il proprio pensiero, solo entro certi limiti può identificarsi con il diritto di cronaca, in quanto, viceversa, quest’ultimo, nel limitarsi ad una rappresentazione oggettiva della realtà, della quale il soggetto narrante ha avuto cognizione, priva di qualsivoglia considerazione personale critica, rappresenta sicuramente un minus rispetto alla più ampia categoria del diritto a poter manifestare il proprio pensiero e ad informare241.

Anche l’esercizio del diritto di cronaca, che negli ordinamenti democratici assolve alla funzione d’informare, riportando fedelmente i fatti e prescindendo dai personalismi del giornalista, affinché ciascuno possa liberamente orientarsi rispetto ad avvenimenti di rilevanza pubblica, è, infatti, un’estrinsecazione del più ampio diritto di manifestazione del pensiero e d’informazione e, come questi, viene a trovare un limite nell’esigenza di tutela della reputazione e dell’identità personale del protagonista del fatto oggetto di cronaca e, più in generale, nell’esigenza di tutela della sua privacy242.

241Così per G. GIACOBBE, Il diritto all’oblio (Atti del Convegno di studi, 17 maggio 1977), op. cit., 22: «Il

riconoscimento del diritto di manifestazione del proprio pensiero non si indentifica con il diritto di cronaca, il quale, solo entro certi limiti, può essere rappresentato come espressione del diritto di manifestare il pensiero. Infatti la manifestazione del pensiero si può configurare come un apporto critico di colui che si esprime, mentre la cronaca costituisce soltanto rappresentazione di una realtà della quale si è avuta cognizione e che si porta a conoscenza del pubblico».

242Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 25 giugno 1967, n. 1959, in Rep. Giur. It., 1959. L’esercizio legittimo del diritto di cronaca comporta, quali oneri per il giornalista, oltre alla necessità di riportare i farri in maniera oggettiva, privi di qualsiasi connotazione critica, anche quella di garantire, quale connotato essenziale e caratteristico di un regime democratico, l’accesso del pubblico a tutte le fonti di informazione idonee ad incidere sullo sviluppo culturale e morale dei singoli e dei gruppi e ad assicurare la libera formazione del loro orientamento politico e sociale.

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La qual cosa determina che, nell’esercizio del diritto di cronaca, l’intromissione nella sfera privata degli individui sia giustificata solo dalla presenza di “un interesse pubblico alla conoscenza di fatti oggettivamente rilevanti per la collettività243”, con la precisazione

che, talvolta, anche la narrazione di fatti privati potrebbe risultare di pubblico interesse, qualora dagli stessi possano desumersi elementi di valutazione sulla personalità e sulla moralità di un uomo pubblico, che proprio per il fatto di essere pubblico, deve godere della fiducia dei cittadini244.

Il diritto di sapere, la libertà di comunicare, la trasparenza, non possono in ogni caso cancellare il bisogno d’intimità, il diritto di sviluppare liberamente la personalità, di non veder lesa la propria sfera privata, nella sua nuova dimensione, faticosamente ricostruita con la complicità del decorso del tempo trascorso rispetto ad una vicenda obliata, soprattutto quando la conoscenza degli aspetti personalissimi della vita delle persone nulla aggiunge alla comprensione dei fatti narrati, servendo solo ad alimentare un insano pettegolezzo.

Lo sviluppo tecnologico, tra l’altro, i motori di ricerca e soprattutto Internet, offrendo al giornalista l’accesso a molte più informazioni con la possibilità di divulgarle, hanno contribuito alla nascita di problemi ulteriori per le persone interessate, le cui vicende potrebbero essere lette ovunque e per un tempo indefinito, con gravi compromissioni della sfera privata dell’individuo.

Nonostante tutto, i due diritti non possono e non devono entrare in collisione tra loro, rappresentando l’uno la demarcazione ed il confine dell’altro. Due diritti che vanno resi compatibili, attraverso una costante, spesso non facile, opera di bilanciamento finalizzata alla ricerca di un giusto equilibrio che vedrà il prevalere ora dell’uno, ora dell’altro, sempre tenendo presente, come ha ribadito recentemente la Suprema Corte di

243Cass. Pen., 6 dicembre 1998, n. 1473, in Giust. Pen., 1999, pag. 687. Non è sufficiente la sola curiosità del pubblico a giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, occorrendo, invece, che quelle notizie siano di oggettivo interesse per la collettività. Il limite dell’utilità sociale della notizia, che è piuttosto elevato nell’ipotesi di conflitto fra il diritto di cronaca e di critica cin aspetti concernenti la vita privata dell’individuo, si abbassa notevolmente ove si tratti di fatti di natura non privata, relativamente ai quali va tenuto conto della notorietà della persona alla quale i fatti si riferiscano.

244UBALDI, Diffusione e diritto di cronaca: più spazio alla libertà di stampa, a patto che le dichiarazioni

siano d’interesse pubblico, in Dir. giustizia, 2003, pag. 16. Per i giudici la valutazione della violazione

della sfera privata dell’individuo, a mezzo l’esercizio del diritto di cronaca, non è per l’uomo pubblico la stessa che per il privato cittadino. Come nel sistema americano, l’uomo pubblico, più degli altri, deve sottostare alle esigenze della cronaca ed anche alla curiosità dell’informazione, mentre il privato cittadino vanta un diritto maggiore ad essere tutelato nella sua intimità. Grosso modo tutti i giudici si regolano alla stessa maniera, anche se con la nuova legge qualcosa è cambiato.

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Cassazione245, la prevalenza dell’attività d’informazione rispetto ai diritti personali della

reputazione e riservatezza.

A parere dei giudici di legittimità, infatti, se è vero che l’art. 1 della Costituzione assegna al popolo la sovranità perché sia esercitata nei limiti della ‘Carta’, il presupposto per un “pieno, legittimo e corretto esercizio di questa sovranità è che essa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici a tal fine predisposti dall’ordinamento, tra i quali un posto e una funzione preminenti spettano all’attività d’informazione246”.

In una pronuncia del 2014247 i giudici di legittimità, in tema di rapporto tra diritto

all’informazione e tutela della privacy, sono giunti alla conclusione che giornalisti ed editori sono tenuti a risarcire i danni morali ed esistenziali per la violazione del diritto alla riservatezza, nel caso in cui i protagonisti di un servizio giornalistico, sebbene non citati espressamente, siano comunque di fatto riconoscibili.

In senso opposto si sono orientati i giudici di Strasburgo in una recentissima pronuncia

(Affaire M.L. ET W.W. c. Allemagne) 248, nella quale hanno riconosciuto che gli archivi

online di giornali e radio siano un bene da proteggere, in quanto garantiscono il diritto della collettività a ricevere notizie d’interesse generale che, non essendo attenuato dal passare del tempo, comporta la prevalenza del diritto a ricevere la diffusione d’informazioni su procedimenti penali, anche a distanza di anni, rispetto al diritto all’oblio.

E’ ciò che ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo in una sua pronuncia, respingendo il ricorso di due cittadini tedeschi condannati all’ergastolo per omicidio e scarcerati con una misura di messa alla prova. A parere dei due ricorrenti il mancato accoglimento della loro richiesta di anonimizzazione di alcuni reportage che li riguardavano, avrebbe violato l’art. 8 CEDU, che assicura il rispetto della vita privata. Tesi respinta da Strasburgo che ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore dell’art. 10 della Convenzione, privilegiando la libertà di espressione.

In quella pronuncia, in particolare, i giudici, pur avendo riconosciuto il diritto al rispetto della vita privata, che include anche quello di non essere ricordato per fatti del passato legati a condanne penali, hanno ritenuto prevalente il corrispondente diritto della

245Cass. Civ.,Sez. III, sentenza del 9 luglio 2010, n. 16236, cit. 246Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 9 luglio 2010, n. 16236, cit 247Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 27 gennaio 2014, n.1608.

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collettività a ricevere informazioni sui procedimenti penali e sulla scarcerazione dei colpevoli, così come a poter svolgere ricerche su eventi del passato.

Non solo!

I giudici di Strasburgo, nell’intento di mettere in guardia dai rischi di un accertamento in sede giudiziaria delle richieste di rimozione presentate da individui a danno degli organi di stampa, che potrebbe spingere gli organi d’informazione ad omettere notizie d’interesse generale, ha definito alcuni parametri cui le autorità nazionali debbono attenersi per raggiungere un equo bilanciamento dei diritti in gioco.

Per i giudici europei, prima di tutto, è necessario verificare che la notizia contribuisca ad un dibattito d’interesse generale; di non secondaria importanza, risulterebbero gli altri parametri, quali la notorietà della persona, l’oggetto del reportage, il comportamento precedente della persona interessata, il contenuto, la forma e le ripercussioni della pubblicazione e, all’occorrenza, anche le modalità con le quali sono stati acquisiti eventuali documenti.

La Corte ha, infine, lanciato l’allarme sui rischi della libertà di stampa laddove si chieda, in una fase successiva rispetto alla pubblicazione, un accertamento sulla liceità della stessa pubblicazione. In questi casi, infatti, potrebbe accadere che gli editori arrivino a ritenere più conveniente non curare gli archivi: rischio assolutamente da evitare, anche attraverso il rafforzamento della libertà di stampa.

Il rapporto tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca non può che essere un rapporto dialettico che vedrà, come l’esperienza insegna, la prevalenza dell’uno o dell’altro diritto, in considerazione delle circostanze del caso concreto e che potrebbe anche non essere affrontato come contraddittorio, avendo la giurisprudenza tracciato una possibile terza via.

Infatti, relativamente alle ‘notizie archiviate in Rete a fini di cronaca giornalistica', è riconosciuto al soggetto, cui le informazioni si riferiscono, il diritto di richiedere l’aggiornamento dei contenuti al fine di tutelare la propria reputazione. I giudici di legittimità, nel 2012249, hanno affrontato la questione della raggiungibilità delle notizie

archiviate nella edizione online dei giornali, a partire da una ricerca, sul motore, da parte dell’utente, evidenziando come tali ricerche permettano l’accesso a contenuti

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decontestualizzati, che rischiano, a distanza di tempo, di ledere la reputazione del soggetto, nonostante si tratti di contenuti legittimamente archiviati a scopo giornalistico. In casi del genere, quando la rimozione dei contenuti non sia possibile a fronte delle legittime finalità dell’archiviazione, i giudici di legittimità hanno stabilito che sia diritto dell’interessato richiedere che il contenuto archiviato venga aggiornato per tutelare la sua reputazione, altrimenti continuamente compromessa ed esposta ad una gogna mediatica

ad libitum, sulla base di fatti verificatisi e conclusisi molti anni prima.

Soluzione, suggerita nel 2012, e quindi precedente alla Google Spain, con la quale la Suprema Corte ha tracciato una terza via circa le modalità con cui affrontare i casi aventi ad oggetto trattamento dati per finalità lecite, tuttavia incidente sul fattore reputazionale, e quindi sull’identità digitale, in un senso più ampio rispetto alla sola questione della privacy e della tutela dei dati personali.

La possibilità di richiedere l’aggiornamento di un contenuto, ove questo non possa essere rimosso, perché legittimamente tutelato dal diritto d’informazione, rappresenta senza dubbio, un punto d’incontro tra l’interesse legittimo del singolo alla tutela della propria reputazione, ove questa dipenda solo dalla permanenza o meno on-line della notizia, e l’interesse del pubblico ad acquisire informazioni, avendone libero accesso.

Ma la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità nella pronuncia del 2012, ed ancor più in successive pronunce, risulta piuttosto scivolosa, fornendo un’interpretazione tanto inedita quanto pericolosa del diritto all’oblio. Stupisce che i giudici di legittimità non abbiano tenuto, in alcun modo, conto della giurisprudenza, se non italiana almeno europea, che mai in passato aveva chiesto la rimozione dei contenuti dell’archivio di un giornale, ben sapendo che ciò avrebbe indebolito fortemente la libertà di stampa, fulcro di una società democratica.

Nella pronuncia del 2016250, la Corte ha stabilito che «un articolo di cronaca su un

accoltellamento in un ristorante dovesse essere cancellato dall’archivio digitale perché, pur essendo corretto, raccontando verità e non travalicando i limiti di legge, aveva prodotto un danno ai ricorrenti, cioè i soggetti attivi della vicenda giudiziaria».

La Cassazione ha richiamato la celebre sentenza Google Spain, C-131/12, che per prima sancito l’esistenza di un diritto ad essere dimenticati, nonché le linee guida del W.P. 29, redatte nel 2014, successivamente alla famosa pronuncia europea.

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Ma gli indirizzi richiamati non sono stati affatto rispettati: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quell’occasione, aveva sancito il diritto alla de-indicizzazione dai motori di ricerca delle notizie riguardanti il ricorrente, se lesive della sua dignità, denigratorie, non più rilevanti per l’opinione pubblica, ma mai ha stabilito che tali informazioni possano essere rimosse dagli archivi dei giornali.

Il riferimento costante operato dalla giurisprudenza europea al diritto all’oblio è volto alla rimozione del collegamento alla notizia che compare nella lista dei risultati fornita dal motore di ricerca, mai alla recisione della notizia in sé.

Anche le linee guida del W.P. 29, nel paragrafo 18, confermano l’indirizzo appena esposto, giungendo ad affermare che la de-indicizzazione non si riferisca ai motori di ricerca di piccola portata, come quelli dei giornali on-line. Pertanto, per i siti di testate giornalistiche non vi sarebbe neppure l’obbligo di de-indicizzare la notizia dal motore di ricerca interno al sito, nonché, a fortiori, di rimuovere l’intero contenuto dell’articolo. Con la pronuncia del 2016, i giudici di legittimità sono andati ben oltre il diritto del singolo alla de-indicizzazione dei risultati offerti da un motore di ricerca, determinando una palese distorsione di quanto sino a quel momento affermato rispetto al diritto all’oblio, stabilendo che buona parte dell’informazione giornalistica scivoli col tempo oltre i confini dell’essenzialità.

Ma al di là del bilanciamento tra interessi confliggenti, ciò che si contesta è il rimedio adottato dalla Corte, che lungi dal disporre la de-indicizzazione, ha previsto la definitiva rimozione dell’articolo: un rimedio sovradimensionato, che comporta una definitiva condanna a morte della memoria, determinando un insanabile vulnus nell’informazione. La decisione domestica, nello stabilire la rimozione dei contenuti informativi allorquando la semplice de-indicizzazione non consenta una tutela completa dei diritti degli interessati all’oblio, stranisce maggiormente se confrontata con la giurisprudenza europea, che mai prima d’ora è giunta a tali aberranti approdi.

Nel caso Wegrzynowski and Smolczewski c. Polonia251, nonostante i ricorrenti

lamentassero che un articolo ritenuto lesivo della loro reputazione dall’autorità giudiziaria continuasse a permanere sul sito del giornale che lo aveva pubblicato, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che il rimedio della completa rimozione di un articolo dall’archivio di un giornale on-line avrebbe rappresentato un rimedio sproporzionato.

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La Corte di Strasburgo ha privilegiato altri strumenti di tutela meno invasivi della libertà di espressione, mediante l’inserimento di una nota o di un collegamento ipertestuale che rendano conto dell’intervenuta sentenza a favore dei ricorrenti, che aveva riconosciuto la violazione dei loro diritti. Lungi, pertanto, dall’avallare il rimedio della rimozione tout

court dell’articolo, in quell’occasione la Corte ha privilegiato i rimedi della

contestualizzazione e dell’aggiornamento della notizia qualificata obsoleta e lesiva. A ben vedere la Corte di Cassazione, con la pronuncia del giugno 2016, si è palesemente discostata da questa linea, paventando conseguenze tanto preoccupanti quanto inaccettabili; ma si spera che si tratti, più che di un’affermazione di principio, di una scelta, frutto dell’approccio casistico adoperato dalla giurisprudenza di legittimità nelle decisioni, legato alle irripetibili peculiarità delle singole fattispecie e non costituisca, in alcun modo, l’abbrivio per l’affermazione di un nuovo diritto alla rimozione di un articolo dalla versione online di un giornale.

6) La ricerca di un giusto equilibrio tra tutela dei dati personali e libertà

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