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L’esercizio del diritto all’oblio e il vulnus nella memoria collettiva

SEZIONE II: Il diritto all’esercizio delle libertà fondamentali spettante alla collettività e il diritto all’oblio: forme di tensione

I DIRITTI DIMENTICATI DAL LEGISLATORE EUROPEO: LA TUTELA DELLA MEMORIA STORICA E DEI TERZI INTERESSATI AL RICORDO.

1) L’esercizio del diritto all’oblio e il vulnus nella memoria collettiva

L’esercizio del diritto ad essere dimenticati, in tutto o in parte, è guardato con particolare attenzione, e talvolta con sfavore, allorché va ad impattarsi con il diritto alla storia e con quello alla memoria. Il taglio del link alla notizia o la cancellazione dei dati, ex art. 17 Regolamento europeo 2016/679, seppure contenuti nei limiti e nel rispetto delle disposizioni predisposte dal legislatore o suggerite dagli operatori giuridici, comunque creano lesioni, talvolta insanabili, nel ricordo e nella ricostruzione di fatti ed episodi di un passato più o meno remoto. Memoria e oblio, fattori entrambi di divisione, come di aggregazione, di emarginazione, come di adattamento (dimenticare per vivere ma anche ricordare per esistere), che non possiedono di per sé caratteristiche positive o negative in assoluto, ma sempre correlate all’uso che ne si vuol fare. Il linguista Harald Weinrich, in un suo recente studio275, nell’affermare che ci sono casi in cui bisogna opporsi in maniera

netta all’oblio, pur venendo a patti necessariamente con la memoria, ha suddiviso l’oblio in ‘pubblico e privato’ ed ha collegato l’oblio pubblico ai grandi eventi, ai cambiamenti storici, come la Rivoluzione francese, per cui esso diventa un dovere del cittadino, va oltre la damnatio memoriae (che colpiva singoli individui), ed impone ad un’intera nazione l’obbligo di dimenticare, di lasciare il posto ad una nuova memoria repubblicana. Nella stessa logica “l’oblivio sempiterna”, che portò Cicerone, dopo l’assassinio di Cesare, a proporre una legge dedicata alla distruzione di ogni memoria della discordia, attraverso l’oblio eterno: in questo senso l’oblio diventa uno strumento di civiltà perché impone la dimenticanza di un passato scomodo, per far ripartire la vita in società. Ma questa è un’accezione quasi romantica di oblio sociale, differente dall’oblio tecnico o informatico che comporta la cancellazione di dati o notizie dalla Rete, la quale si nutre delle informazioni e dell’incremento dei dati stessi, fondando il suo impero economico

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sulla sorveglianza delle attività degli utenti e sulla costante rielaborazione delle informazioni che immagazzina. E’ l’oblio privato quello che preoccupa e che vede contrapposti due grandi interessi: quello della Rete, che mira ad accumulare, manipolare e commercializzare i dati e che, in una società che ama i Big Data, ambisce ad un sempre maggior incremento delle informazioni al fine di profilare ciascun utente, commercializzare i risultati ottenuti e creare un patrimonio informativo; per altro verso, ed in senso contrario, vi è l’interesse, connesso ai diritti della personalità, proprio di chi si auspica e chiede la cancellazione di parte di quei dati per alleggerire il proprio passato e riprendere la sua vita in società, senza condizionamenti. E l’oblio privato risulta perfettamente in linea con la sua accezione primigenia, secondo cui l’‘oblivio’ era effettivamente equiparato alle idee di ‘amnistia’ e ‘grazia’, ossia ad un’azione che segna una cesura per dimenticare il passato di una persona. Nel mezzo si pone il diritto fondamentale, tipico di una società democratica, a che la collettività sia informata e possa accedere con tempestività all’informazione, contando sulla sua completezza ed integrità. Ed oggi il solo modo più celere di fare informazione è il ricorso all’uso delle infrastrutture tecnologiche, quelle stesse aggredite da chi manifesta la pretesa contraria, ossia quella di cancellare quelle stesse notizie dalla Rete, per farsi dimenticare. All’interno di questa dialettica giuridica emerge anche l’interrogativo diretto a comprendere se sia giusto rimuovere da uno ‘spazio pubblico’, qual è la Rete, un’informazione veritiera e corretta che, quando è stata pubblicata, era di sicuro interesse di cronaca e pubblico. E tutto in nome dell’interesse del singolo, cui si viene a contrapporre un interesse maggiore, di carattere pubblicistico, visto che la storia ormai ci viene raccontata da Internet. Facendo passare, tra l’altro, il principio secondo cui ciascuno, in maniera incondizionata, possa riprendersi tutte le informazioni che lo riguardino, pubblicate dallo stesso autore o da terzi, ne deriverebbe la conseguenza che, fra qualche anno, chi volesse ripercorrere la storia degli anni Duemila, attraverso l’informazione online, probabilmente trarrebbe l’errata convinzione che sia stata un’età vissuta da gente per bene, dal momento che ciascuno, potendo, andrebbe a cancellare quello che non gradisse, fornendo di sé un’immagine sbiadita e falsata276. Il diritto all’oblio, nella sua accezione più evoluta e

276 A questo proposito, interessante risulta la riflessione di S.RODOTÀ, Il mondo nella rete. Quali diritti,

quali vincoli, Bari, 2014, 45, secondo cui: «può il diritto della persona di chiedere la cancellazione di alcuni

dati trasformarsi in un diritto all’autorappresentazione, alla riscrittura stessa della storia, con l’eliminazione di tutto quel che contrasta con l’immagine che la persona vuole dare di sé? Così il diritto all’oblio può

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dinamica, ha infatti ad oggetto l’esercizio della pretesa a riprendersi dei brandelli della propria storia, che l’individuo vorrebbe sottratti alla disponibilità dei cybernauti e che sono presenti in Rete. Oggi, pertanto, l’esercizio del diritto all’oblio è sempre meno diretto ad impedire la riproposizione di fatti già pubblicati in passato e sempre più volto ad ottenere l’eliminazione da Internet di dati e informazioni relative a ciascuno, sia pure pubblicate per la prima volta decenni addietro.

E’ recente la pronuncia dell’autorità amministrativa277 che ha negato l’oblio,

riconoscendo valore storico alla vicenda di un professionista, oggi inserito nel mondo del lavoro, che aveva chiesto a Google la cancellazione dei link che, digitando il suo nome e cognome, rinviavano alla sua passata carriera di terrorista. Anche volgendo lo sguardo in Europa ci si rende conto che, nell’azionare il diritto all’oblio, si chiede sempre meno di vietare a qualcuno la riproposizione di storie passate, quanto, piuttosto, di deindicizzare dall’archivio storico di giornali o dagli stessi motori di ricerca contenuti che riguardino il passato di un singolo o dati allo stesso relativi. Non è più un problema di diritto all’oblio, inteso nella sua originaria accezione, ma di diritto ad essere dimenticati in tutto o in parte. Cosa assai grave per gli effetti devastanti che potrebbero riflettersi sulla memoria collettiva: nella specie, si sta parlando di rimuovere da uno spazio pubblico un’informazione reale, veritiera e corretta, che, quando è stata pubblicata, era di sicuro interesse collettivo e di cronaca.

E’ doveroso prestare attenzione alla memoria storica, quale strumento di profilassi rispetto al pericolo di un ritorno ad errori ed orrori del passato. La storia va salvaguardata e, se passasse il principio che ciascuno possa riprendersi tutte le informazioni sul suo conto, si genererebbero informazioni parziali, lacunose e tendenziose, nella migliore delle ipotesi. Ecco perché è necessario trovare un punto di contemperamento tra il diritto del singolo ad essere dimenticato e quello della collettività, nella sua veste giuridica di diritto all’informazione o, meglio, diritto alla storia. E’, altresì, un problema di educazione digitale: nessuno ha mai pensato di chiedere a qualcun altro di rimuovere dalla sua

pericolosamente inclinare verso la falsificazione della realtà e divenire lo strumento per limitare il diritto all’informazione, la libertà di ricerca storica, la necessità di trasparenza che deve accompagnare in primo luogo l’attività politica. Il diritto all’oblio contro verità e democrazia? O un inaccettabile tentativo di restaurare una privacy scomparsa come norma sociale, secondo l’interessata versione dei nuovi padroni del mondo che vogliono usare senza limiti i dati raccolti?

277 Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento del 31 marzo 2016, n. 152, Doc. Web. n. 4988654.

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memoria qualcosa che aveva sentito sul suo conto. L’esempio dell’ex terrorista è eclatante: esistono, infatti, decine di libri sugli anni di piombo, che contemplano, tra altri, anche il suo nome. Chiunque può leggerli ed a nessuno è mai venuto in mente di distruggerli in nome della tutela del singolo. Perché allora farlo se si passa ad una dimensione più ampia come Internet? Solo perché le notizie appaiono più vivide se lette nello specchio del monitor?

In nome dell’interesse collettivo alla conoscenza e all’informazione è giusto, altresì, abituarsi a convivere con il proprio passato, dando, tuttavia, il giusto valore a tutto ciò che la Rete ha conservato, collocando nello spazio e nel tempo le notizie immesse, contestualizzandole ed eventualmente collegandole con altre che siano in grado di fornire del protagonista un’immagine diversa e maggiormente edificante.

1.1) La memoria storica prevale sul diritto all’oblio di un ex terrorista

La storia personale di ciascuno, soprattutto di chi sia stato protagonista di una delle pagine più buie del passato, non può essere cancellata!

E’ quanto deciso da Google, cui si era rivolto, in prima battuta, un ex terrorista, nel 2009, chiedendo la de-indicizzazione di dodici URL che rinviavano a fatti di cronaca in relazione ai quali l’interessato era stato condannato, nonché la cancellazione di alcuni riferimenti che associavano il proprio nominativo al termine ‘terrorista’.

Google, rifiutatosi di procedere alla de-indicizzazione, ha sostenuto, a causa della gravità dei fatti contestati al ricorrente, l’inesistenza dei presupposti che avevano indotto i giudici europei, nella Google Spain, ad acconsentire al riconoscimento del diritto all’oblio. Nella decisione il motore di ricerca ha, altresì, affermato, facendo riferimento alle Linee Guida, adottate il 26 novembre 2014 dal WP 29, che il diritto all’oblio non avrebbe potuto configurarsi rispetto ai ‘reati più gravi’, quali erano quelli di cui si era reso autore il ricorrente.

Decisione successivamente confermata dal Garante della privacy278, cui l’ex terrorista si

era rivolto, sostenendo la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto all’oblio in quanto, in virtù del lungo lasso di tempo trascorso dall’accadimento dei fatti e dell’impossibilità di qualificarlo come personaggio pubblico, sarebbe venuto meno

278 Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento del 31 marzo 2016, n. 152, Doc. Web. n. 4988654.

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l’interesse pubblico attuale alla conoscenza delle informazioni indicizzate, ritenute altamente pregiudizievoli e dannose per la propria sfera personale e professionale. Il Garante, dovendo intervenire in merito al difficile bilanciamento tra diritto alla riservatezza e oblio del singolo e l’opposto diritto di cronaca, nella sua veste di interesse o diritto della collettività alla conoscenza ed alla memoria storica, ha esplicitato gli stessi principi già affermati dal motore di ricerca, ritenendo prevalente il diritto di cronaca e dichiarando infondata la richiesta di de-indicizzazione formulata dall’ex terrorista. Il Garante ha fondato la sua decisione sulla circostanza che le informazioni riguardassero una delle pagine più buie della storia italiana, della quale il ricorrente non era stato un coprimario, ma il protagonista di spicco e che, avendo ormai assunto una valenza storica e segnato la memoria collettiva, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dagli eventi, l’attenzione del pubblico sulla questione era ancora molto alta. E’ stata una decisione coraggiosa, quella del Garante, anche se occorre chiedersi quanti e quali elementi oggettivi possano far sì che un fatto sia considerato così storicamente rilevante da far prevalere l’interesse comune alla memoria storica sul diritto all’oblio del suo autore. Non sempre, infatti, sarà sufficiente il mero richiamo al punto 13 delle Linee Guida del 2014, secondo cui è necessario che le richieste di de-indicizzazione relative ad informazioni riferite a ‘reati gravi’ vengano valutate, sia pure nel rispetto di un’analisi fondata sulle singole esigenze, con minor favore da parte delle autorità di protezione dei dati. Decisione ancora più coraggiosa se si osserva il suo contrasto con una precedente pronuncia della Suprema Corte279, nella quale gli Ermellini, al contrario, hanno

riconosciuto il diritto all’oblio per un ex attivista ed estremista politico, statuendo il principio, secondo cui «il diritto all’oblio può cedere il passo al diritto di cronaca solo in quanto sussista un interesse effettivo e attuale alla diffusione della notizia; diversamente argomentando, altrimenti, si finirebbe col riconoscere una sorta di automatica permanenza dell’interesse alla divulgazione, anche in un contesto storico completamente mutato».

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