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La ricerca di un giusto equilibrio tra tutela dei dati personali e libertà d’informazione estrinsecantesi nell’attività giornalistica

SEZIONE II: Il diritto all’esercizio delle libertà fondamentali spettante alla collettività e il diritto all’oblio: forme di tensione

6) La ricerca di un giusto equilibrio tra tutela dei dati personali e libertà d’informazione estrinsecantesi nell’attività giornalistica

In considerazione del fatto che il diritto di cronaca, e più in generale l’esercizio dell’attività giornalistica, potrebbero entrare in collisione con il diritto alla protezione dei dati personali e con la sua costola, il diritto ad essere dimenticati, e considerata anche la natura e il rango costituzionale di entrambe le pretese, la soluzione del conflitto non può che trovare soluzione nel contemperamento e ponderazione delle due libertà252.

252Principio enunciato per la prima volta da Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 18 ottobre 1984, n. 5259, in

Foro it. 1984, I, 2711 e successivamente ribadito da Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 29 maggio 1996, n.

4993, in Foro it, 1996, I, 2368; Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 7 febbraio 1996, n. 982, in Foro it, 1996, 12511 con nota di PALMIERI. In precedenza il rapporto tra il diritto di cronaca e la pretesa alla riservatezza

non sempre era considerato un rapporto tra antagonisti. Al contrario, il diritto di cronaca era considerato come ‘l’interlocutore naturale’ di qualsiasi diritto della personalità in quanto, in considerazione della dimensione antropologica, cui è improntato il nostro ordinamento giuridico, tutti i diritti riconosciuti devono essere funzionali allo sviluppo della persona. In altri termini, poiché la scelta operata dal nostro costituente è stata quella di porre al centro del sistema giuridico la persona, nella sua dimensione individuale e sociale, la cosa comporta che tutti i diritti e le libertà riconosciuti dalla Carta costituzionale, o da qualsiasi altra disposizione di legge, avrebbero dovuto essere funzionalizzati al suo sviluppo, con l’ovvia conseguenza che tra quei diritti non avrebbe potuto esservi confliggenza, bensì integrazione, in quanto tutti convergenti verso la medesima finalità. Opinione tuttavia, che non sempre ha trovato riscontro nella realtà delle aule giudiziarie che, nella maggior parte dei casi, hanno visto trattare vicende nelle quali si sono evidenziati forti conflitti per la cui soluzione si è reso necessario il ricorso alla tecnica dell’equo bilanciamento.

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In tutti i casi aventi ad oggetto lagnanze circa la violazione dell’una o dell’altra pretesa, i giudici di merito e di legittimità, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, si sono orientati, ove rispettati i precetti del Codice deontologico, nel senso di ritenere ‘prevalente’ il diritto di cronaca rispetto al diritto all’oblio, che verrebbe ad essere compromesso dalla ripubblicazione dell’informazione, solo in presenza dei tre requisiti fondamentali: dell’utilità sociale della notizia (il c.d. interesse pubblico), della verità dei fatti divulgati e della forma civile dell’esposizione ispirata a serena obiettività, con esclusione di ogni intento denigratorio.

a) verità oggettiva della notizia pubblicata

Il requisito della verità, momento di mediazione tra ‘ius narrandi’ e tutela della reputazione, richiede che l’oggetto dell’informazione diffusa corrisponda ad una verità oggettiva253, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti, il cui obbligo

grava su coloro che esercitano l’attività di cronaca, dal momento che la narrazione di fatti non veri verrebbe a ledere non solo l’interessato, ma la stessa collettività nelle sue aspettative ad una informazione corretta, finalizzata alla formazione di una retta opinione. Per verità deve intendersi la sostanziale corrispondenza tra i fatti come sono accaduti e il modo in cui gli stessi sono narrati, la qual cosa comporterà l’obbligo per il soggetto narrante di accertare l’attendibilità delle fonti e soprattutto il loro aggiornamento, qualora i fatti abbiano avuto ulteriori evoluzioni254. Per la verità, i giudici di legittimità, in alcune

loro pronunce255, hanno in qualche modo attenuato l’obbligo del controllo

253Così R. ZACCARIA – A. VELASTRO, Diritto dell’informazione, Padova, 2010, pag. 117. In questo senso l’art. 2 della legge professionale dei giornalisti (l. 69/1963) obbliga al rispetto della ‘verità sostanziale dei

fatti’. L’ordinamento quindi, ha espressamente previsto per il giornalista l’obbligo di ‘attenersi a una verità legata allo svolgimento degli accadimenti quotidiani’. Avere una giustificazione, più o meno plausibile

delle proprie credenze sui fatti, non sempre coincide con la loro verità. In altre parole ‘la relatività della

giustificazione non implica la relatività della verità”, difatti ‘giustificato non è sinonimo di vero’.

254G. PUGLIESE, Diritto di cronaca e libertà di pensiero, in Foro it. 1958, I, pag. 186. Per salvaguardare l’attuale identità sociale di una persona, occorre garantire, oltre alla contestualizzazione, l’aggiornamento della notizia; aggiornamento e rettifica che devono sempre intervenire per i fatti sopravvenuti che definiscono meglio quelli passati e, quindi, la reale e attuale identità del soggetto. Le vicende personali infatti, fanno arte della vita dell’individuo che è in continua evoluzione per cui, l’informazione giornalistica può tradursi in una rappresentazione del soggetto parziale o distante dalla reale identità della persona, qualora si riferisca ad eventi ormai superati e non più significativi, per la reale valutazione di una persona nel presente. Rientra, tra l’altro, nella Carta dei doveri del Giornalista (Documento CNOG-FNSI dell’8

luglio 1993), «l’obbligo per il giornalista dell’osservanza delle norme di legge, dettate a tutela della personalità altrui, il rispetto della verità sostanziale dei fatti, il dovere di rettifica di notizie che risultino inesatte nonché il dovere di porre riparo agli eventuali errori».

255In questi termini si è espressa la Cass. SS.UU., 30 maggio 2001, n. 37140 (caso “Galero”), che ha ritenuto utile l’affrancamento del giornalista dall’osservanza dell’obbligo di controllo, nei casi in cui un’indagine

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dell’attendibilità delle fonti da parte del giornalista, avendo riconosciuto come la rapidità con la quale il giornalista contemporaneo svolge il suo servizio informativo talvolta sia incompatibile con una precisa osservanza di quell’obbligo. I tempi e le modalità di apprendimento di alcune notizie, infatti, sono tali che un approfondito controllo comporterebbe l’impossibilità di pubblicarle tempestivamente, con innegabile pregiudizio dell’immagine e del credito della testata.

Il rispetto dell’obbligo della verità comporta, infine, l’assenza della cd ‘verità alterata’, ossia la presenza di allusioni, sottintesi, espressioni dubitative ad opera del giornalista che, al contrario, dovrà rappresentare la ‘realtà oggettiva’, che richiede che i fatti e le situazioni siano effettivamente accaduti, considerato che il suo ruolo è quello di mero mediatore tra il fatto e l’opinione pubblica e, quindi, di neutrale informatore.

b) continenza della notizia

La continenza richiede l’adeguatezza del linguaggio, con cui la notizia è riportata, alle esigenze richieste dalla cronaca. Il giornalista ha l’obbligo di adoperare termini ‘proporzionati’ alla gravità dell’accaduto ed il limite risulterà superato qualora, pur risultando il narrato vero, sia, tuttavia, impiegato un lessico improprio, che potrebbe trasformarsi in attacco personale al suo protagonista, qualora le espressioni dovessero risultare denigratorie e sovrabbondanti rispetto alle finalità della cronaca256. E’ opinione,

rigorosa sul fondamento delle fonti, comporterebbe non solo un intralcio nell’informazione, ma inaridirebbe all’origine la vivacità e l’interesse della notizia, togliendo alla stessa il carattere dell’attualità che ne rappresenta la nota saliente. Ancora, Cass. Civ., Sez. I, sentenza 8 gennaio 2015, n. 13941 che ha di recente chiarito la differenza tra cronaca e storia: la prima presuppone l’immediatezza della notizia e la tempestività dell’informazione e, in presenza dell’interesse pubblico ad una notizia tempestiva, l’esigenza di velocità potrebbe comportare un qualche sacrificio dell’accuratezza della verifica sulla verità della notizia e sulla bontà della fonte dalla quale si è appresa. La storia, invece, ha ad oggetto fatti e comportamenti distanti nel tempo, sicché si giustifica meno il menzionato sacrificio dell’accuratezza della verifica.

256Trib. Milano, 1° ottobre 1999, in Resp. Civ., 2000, 1448: dalla pronuncia emerge, tra l’altro, che la continenza consta di un ‘aspetto formale’, consistente nell’onere di presentazione misurata della notizia e di un ‘aspetto sostanziale’, che richiede la necessità di presentare e commentare la notizia in modo tale, da mettere a conoscenza il lettore dell’effettiva posizione dell’accusato. «Il giornalista, nell’operazione di

redazione dell’articolo giornalistico, deve scegliere le espressioni linguistiche idonee a comunicare la notizia. L’uso delle espressioni non è frutto di una scelta discrezionale, perché devono essere scartate tutte quelle che possono fornire una falsa rappresentazione del fatto accaduto nonché quelle e falsamente lesive della reputazione altrui. Le espressioni usate non devono essere oggettivamente denigratorie della sfera di tutela riconosciuta dall’Ordinamento giuridico; la propalazione è giustificata se mantenuta in termini strettamente necessari per esercitare il diritto, perché nessuno può erigersi a giudice dell’indegnità altrui».

Così anche per Cass. Pen., Sez. V, 19 aprile 2006 n. 19148. Requisito, quello della continenza, correlato alle modalità della comunicazione della notizia che comporta la necessità di riportare il fatto nei suoi elementi oggettivi, così come appresi dalla fonte. La comunicazione della notizia dev’essere priva di artifici, consistenti nell’uso di un linguaggio colorito e incauto, nell’adoperare termini tali da comunicare

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tra l’altro abbastanza consolidata in dottrina,257 che, qualora siano in discussione valori

particolarmente importanti, quali la professionalità o l’etica di un giornalista, la valutazione della continenza venga a restringersi, per cui non dovrà essere superato il limite della stretta necessità delle espressioni che potrebbero rivelarsi offensive.

c) interesse pubblico alla conoscenza dei fatti

Il diritto alla protezione dei dati intanto retrocede rispetto al diritto di cronaca, in quanto vi sia l’interesse della collettività a che informazioni appartenenti alla sfera privata siano comunque diffuse e conosciute. Sarà dunque l’interesse pubblico (creazione giuridica oggetto di un lungo dibattito in dottrina e presso le Corti di merito e di legittimità) a paralizzare il diritto all’oblio.

Sebbene comunemente si affermi che l’utilità sociale consista “nell’esigenza di oggettive ragioni culturali, morali, ideali o politiche alla conoscenza dei fatti”258, la locuzione non

sempre ha presentato contorni ben definiti. Così nella riproduzione, a distanza di trent’anni, della pagina di un giornale recante un fatto di sangue al solo scopo di pubblicizzare un gioco a premi, i giudici di merito romani259 non hanno giustamente

ravvisato l’attualità di un interesse pubblico alla sua riproposizione, avendo al contrario, ritenuto la lesione della sfera privata dell’interessato, protagonista del fatto, dal momento

un messaggio sottinteso diverso, nell’accostare l’evento narrato ad altro evento, in modo da attribuire al soggetto un fatto diverso e ulteriore rispetto a quello originario. Tutto questo può, indubbiamente produrre un effetto lesivo, con la conseguenza che, qualora l’artificio adoperato dal giornalista condizioni la genuinità della notizia e quindi, «ove si superi il limite della continenza, si realizzerebbe una lesione del

bene tutelato».

257A. SUTERA SARDO, Dolo e diritto di critica, in Dir. pen. e processo, 1999, n.998.

258Cass. Civ., Sez. I, sentenza del 22 giugno 1985, n. 3769, cit. La locuzione ‘utilità sociale’ pur nella sua varietà di significati, coincide con l’interesse della collettività alla conoscenza di determinati fatti di rilievo sociale. Per questo, a chi diffonde una notizia, viene imposto l’obbligo di verificare preliminarmente l’interesse che il pubblico possa avere per quei fatti. Interesse effettivo che non deve confondersi col ‘desiderio di conoscenza’, ossia con l’esigenza di soddisfare la propria curiosità. A conferma di ciò, i giudici di legittimità ritengono che: «le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale, siano d’interesse pubblico quando, dalle stesse possano desumersi elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini. Non è, pertanto, la semplice curiosità del pubblico a giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perché è necessario che tali notizi rivestano un interesse oggettivo per la comunità» (Cass. Pen., Sez. V, sentenza del 9 ottobre 2007, n. 4267). In altre parole, il requisito dell’utilità sociale corrisponde alla necessità a che l’informazione sia innanzitutto uno strumento per permettere al fruitore di essa di rendersi conto dei fatti storici narrati, perché ne tragga una concreta possibilità di apprendimento e di miglioramento della comprensione della realtà contemporanea. In tal modo l’informazione avrà contribuito all’evoluzione della coscienza sociale degli individui.

259Trib. Roma, 15 maggio 1996, n. 2319, in Foro it. 1996. E’ il provvedimento emesso per i caso del ‘killer del Messaggero’ nel quale i giudici romani hanno condannato la testata giornalistica per la ripubblicazione di un sua pagina per soli motivi di lucro, in assenza di qualsiasi utilità sociale per i fruitori, all’informazione.

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che lo stesso aveva regolarmente scontato la pena e si era utilmente reinserito in società. I giudici hanno, pertanto, ritenuto che le informazioni sulla vita privata, capaci di ledere la reputazione, non debbano essere ripubblicate, a meno che la loro conoscenza non sia utile alla società260.

In altri casi, invece, all'esito di un'operazione di ponderazione degli interessi in gioco, relativamente al fatto di cronaca che ha visto coinvolto il giocatore della Lazio, Luciano Re Cecconi, che avendo per scherzo simulato una rapina ad un gioielliere amico (poi processato e assolto per legittima difesa putativa), fu da questi ucciso, il diritto alla riproposizione dell'episodio è stato ritenuto prioritario, facendo recedere l'antagonista pretesa al silenzio. I giudici di legittimità, infatti, nel confermare la sentenza di secondo grado, nell’operazione di bilanciamento tra il diritto al silenzio ed il diritto di cronaca, estrinsecatosi in una ricostruzione romanzata dell’accaduto, da mandare in onda sulle reti RAI, hanno ritenuto la prevalenza del secondo, stante l’interesse della collettività alla conoscenza dell’accaduto, che ancora assolveva ad una funzione educativa e sociale261.

Per i giudici di legittimità, pertanto, era necessario verificare ‘l’utilità attuale’ della notizia262, e non quella relativa al passato, quando il fatto di cronaca è avvenuto ed è stato

pubblicizzato.

260Cass. Civ., Sez. III, sentenza del 14 febbraio 1984, n. 1138; Corte d’Appello di Roma, 16 gennaio 1991, in Foro it. 1992, I, pag. 942 e 948. Su presupposto dell’utilità sociale pertanto, la pubblicazione d’informazioni intime o di contenuti sulla vita privata della persona, capaci di ledere la reputazione o la sfera personale, non può essere giustificata a meno che, ciò non sodisfi l’interesse della collettività alla migliore comprensione di sé medesima. Dottrina e giurisprudenza da tempo, pur ancorando l’utilità sociale della notizia, a presupposti oggettivi, diversi dalla mera curiosità del pubblico, ritengono tuttavia, direttamente correlata la notorietà dell’individuo a tale requisito, nel senso che più una persona è nota, maggiore sarà l’utilità sociale alla pubblicazione delle notizie che la riguardino.

261La Suprema Corte in questo caso ha ritenuto che i giudici di appello abbiano correttamente operato, alla stregua dei criteri validi pe tutta l’area dei diritti della personalità, il bilanciamento tra il diritto all’identità personale dei soggetti raffigurati nello sceneggiato e il diritto di cronaca (più esattamente il diritto di cronaca romanzata). Tale conclusione si è pestata a non poche critiche, tanto da aver portato all’interrogativo: ‘Mala tempora currunt per i diritti della personalità?’ La sentenza si segnala altresì, all’attenzione dell’interprete soprattutto nella parte in cui si cimenta nell’ambizioso compito di dare un inquadramento sistematico al diritto dell’identità personale con il dichiarato intento di chiarirne ‘la nozione,

il fondamento giuridico, la scrittura, il contenuto, le forme e i limiti di tutela’.

262L. CRIPPA, Il diritto all’oblio: alla ricerca di un’autonoma definizione, nota a ordinanza Trib. Roma, 27 novembre 1996 (caso Bozano), in Giust. Civ., 7, 1997, pag.1990. Nell’ordinanza, il giudice designato ha precisato che «il sacrificio del diritto (…) dei ricorrenti non è ingiusto in quanto contenuto nei limiti della

realizzazione dell’interesse sociale sotteso alla conoscenza del caso». Seguendo, dunque, le indicazioni

dell’organo giudicante tale diritto può essere sacrificato qualora la rinnovata diffusione di vicende note risponda ad un «interesse sociale alla conoscenza, quale conseguenza del diritto di cronaca e del più generale diritto alla ricostruzione storica di vicende rilevanti», dal momento che non può ignorarsi la sussistenza, nel nostro sistema giuridico, del principio costituzionale della libera manifestazione del pensiero e del diritto ad essere informati, quale sua esplicazione.

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Sebbene rispetto al passato siano stati fatti passi avanti, quanto meno per aver piantato dei paletti, atti a perimetrare le modalità nelle quali debba estrinsecarsi il diritto di cronaca, in particolare, e di stampa ed espressione, in generale, siamo tuttavia ancora lontani dall’aver raggiunto una soluzione oggettiva in grado di appagare le pretese, tra loro conflittuali, delle varie parti in gioco.

Il mancato rispetto dei limiti alla ‘libertà di cronaca’, infatti, comporterà la richiesta, da parte dell’interessato, al motore di ricerca del taglio del link con i suoi dati o la cancellazione degli stessi o la loro anonimizzazione.

Sarà il motore di ricerca che, nel processare la richiesta, dovrà ponderare gli interessi in conflitto, considerando le inevitabili ripercussioni dell’esercizio del diritto alla cancellazione sul legittimo interesse degli utenti di Internet ad avere accesso alle informazioni e ricercare il giusto equilibrio tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona. Non è dato non avere dubbi sull’effettiva idoneità di un soggetto privato, che segue logiche di mercato e che, pertanto, difetta dei necessari requisiti di neutralità e imparzialità, a svolgere il delicato compito di decidere in merito alle richieste di de- indicizzazione e/o cancellazione dei dati.

Potrebbe darsi, altresì, ed è ciò che si temeva all’indomani della Google Spain, che il motore di ricerca, in prima battuta arbitro unico della situazione, per l’enorme mole di richieste pervenute, e spinto dal timore di sanzioni pecuniarie pesanti, possa tagliare eccessivamente, accontentando i personalismi, nel qual caso i link o i dati scomparirebbero ingiustificatamente, non essendo più recuperabili dalla memoria collettiva.

In seguito alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Google Spain, i motori di ricerca, Google in particolare, sono stati letteralmente inondati di richieste di de-indicizzazione: secondo il Transparency Report263, periodicamente aggiornato da

Google, dal maggio 2014 ad oggi, il motore di ricerca ha valutato le richieste di de- indicizzazione relative ad oltre due milioni di URL, accolte in circa il 44% dei casi, mentre circa mezzo milione di URL sono ancora sotto esame. Se a tutto questo si aggiunge che i motori di ricerca non hanno attivato commissioni di esperti per assolvere a questo lavoro titanico, oltre che estremamente dispendioso, affidando la soluzione, molto spesso ad algoritmi, è facile immaginare, ad oggi, la mole dei dati persi.

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Rispetto alle persone note, o che esercitano funzioni pubbliche, il giornalista dispone di più ampi margini di discrezionalità nella diffusione delle informazioni loro riguardanti, ove queste assumano rilievo in base al ruolo o al carattere pubblico dell’attività svolta264,

anche se la sfera privata delle persone note, o che esercitano funzioni pubbliche, dev’essere rispettata qualora le notizie o i dati non abbiano alcun rilievo sul ruolo ricoperto o sulla vita pubblica degli stessi. In questi casi, la pubblicazione è ammessa ma nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e nel rispetto della dignità della persona265 e, come sostenuto, in più occasioni, dal Garante, nonostante

margini più ampi per la diffusione di dati relativi allo stato di salute o alle abitudini sessuali possano essere previsti con riferimento a persone note, l’informazione potrà essere diffusa solo quando sia in grado di assumere rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica e purché non vengano diffusi dettagli precisi266.

Nello stesso senso il Consiglio d’Europa ha ricordato che i media devono evitare di diffondere informazioni sulla vita privata e familiare di politici e rappresentanti delle istituzioni, a meno che queste siano direttamente connesse alla condotta tenuta dal politico o dal rappresentante in questione267.

264Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento del 15 luglio 2006, Doc Web n. 1310796, in

www.garanteprivacy.it. In questo provvedimento il Garante ha vietato all’editore di un settimanale di

diffondere ulteriormente dati personali di carattere sanitario riguardanti la principessa Diana Spencer, contenuti in un sevizio dedicato all’incidente mortale occorso a quest’ultima nel 1997. Il Garante ha rilevato che siffatta pubblicazione, oltre a caratterizzarsi nel suo insieme per un accanimento informativo rispetto ad un fatto ormai risalente nel tempo, non era giustificata sul piano dell’essenzialità dell’informazione e aveva concretizzato una manifesta lesione della dignità dell’interessata. Ha inoltre ricordato che le garanzie in materia operano anche a tutela di persone decedute.

265Articolo 10: Tutela della dignità delle persone malate

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