• Non ci sono risultati.

Un’analisi critica: l’ambiguità del testo e i problemi applicat

SEZIONE I: Il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali: un ponte tra presente e futuro

9) Un’analisi critica: l’ambiguità del testo e i problemi applicat

Come sottolineato dalla dottrina americana215, nei primi commenti, la versione definitiva

del testo non ha risolto i dubbi già sollevati in sede di analisi delle precedenti versioni, non solo dagli operatori della materia, ma anche dall’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA)216, titolata ad assistere la Commissione europea

nella redazione dei testi di legge afferenti la sicurezza informatica e le reti di comunicazione.

Il testo finale risulta, infatti, foriero di una serie di ambiguità, che, invece di essere definite in sede legislativa, continueranno ad essere risolte dall’autorità giudiziaria. A parte alcune problematiche irrisolte relative all’applicazione territoriale217, è proprio il punto inerente

al diritto all’oblio, e più in generale ad ogni operazione di trattamento dati, ad essere ancora controverso.

A livello generale il diritto all’oblio, più volte espunto e reinserito all’interno delle varie proposte di legge ed ora menzionato nel titolo dell’articolo, tra parentesi, assume

215 Per una prima analisi, si rinvia a D. KELLER, The final draft of europe’s right to be forgotten law, in

Internet, all’indirizzo http://cyberlaw.stanford.edu/blog/2015/12/final-draft-europe’s-right-be-forgotten- law .

216 Cfr. P. DRUSHEL- M. BACKES- R. TIRTEA, Impossible, the right to be forgotten between expectations

and practice: report by Eupean Network and Security Agency, in Internet http://www.enisa.europa.eu/activities/identity-and-trust/library/deliverables/the-right-to-be-forgotten. A

pag. 14 gli Autori sottolineano come «una volta che vengono pubblicate le informazioni personali, è

impossibile prevenire ed osservare, per mezzo di misure tecnologiche, la creazione di copie non autorizzate di questa informazione. In un sistema aperto come Internet, il diritto ad essere dimenticato non può essere fatto rispettare solamente tramite mezzi tecnici […], ma deve derivare da una combinazione di disposizioni tecniche e di norme di diritto internazionale».

217 Il trattamento trova applicazione anche con riferimento ai trattamenti effettuati fuori dai confini dell’Unione a condizione che sia effettuato nei confronti di cittadini comunitari e che abbia ad oggetto l’offerta di beni o servizi o il monitoraggio del comportamento degli utenti. Tale formulazione di per sé molto ampia è in idonea a racchiudere tutti i servizi della società dell’informazione.

143

un’accezione del tutto diversa da quella di cui alla pronuncia CGUE 131/2012, configurandosi piuttosto come un ‘diritto alla cancellazione’, in assenza, nel testo della norma, di un esplicito riconoscimento del diritto alla de-indicizzazione dei dati personali dal motore di ricerca. I responsabili del trattamento218, categoria nella quale potrebbero

rientrare alcuni intermediari della società dell’informazione, dovrebbero – e qui l’uso del condizionale appare d’obbligo – cancellare i dati personali sulla base dell’esercizio di un diritto all’oblio, solo a seguito della relativa richiesta. La norma tace sulla possibilità che soggetti terzi, che abbiano in gestione parti di sistemi informativi – più semplicemente soggetti che gestiscano profili sociali – debbano o meno adempiere a tale obbligo. Tale circostanza potrebbe essere esclusa sulla base del Considerando 15219, che tuttavia

potrebbe riferirsi agli utilizzi dei social network effettuati per finalità personali, tra le quali appare dubbia l’inclusione della finalità di diffusione dei dati in reti telematiche. D’altro canto il Regolamento non chiarisce neppure la posizione di chi le piattaforme social le gestisce, non specificando se questi siano o meno responsabili del trattamento ovvero, come osservato da autorevole dottrina olandese220 in relazione alle precedenti

proposte di regolamento del Parlamento europeo, se debbano o meno disporre non solo del potere di cancellare i dati dei propri utenti dai loro sistemi ovvero, ancor più, anche dai sistemi di terzi soggetti che dispongano di piattaforme di pubblicità online alle quali siano soliti trasferire i dati.

Non è indicata neppure la posizione dei motori di ricerca e la condotta che questi dovranno tenere; se è pur vero che il motore di ricerca, dalla pronuncia CGUE 131/12, è stato riconosciuto titolare del trattamento, tuttavia il Regolamento nulla specifica in merito a come questi debba assicurare il diritto all’oblio degli interessati. Tale scelta appare discutibile soprattutto se paragonata ad analoghe decisioni assunte dai Legislatori

218 L’art. 4 definisce i responsabili come «la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, le agenzie o

qualsiasi altro organismo che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento dei dati personali».

219 Al fine di evitare l’insorgere di gravi rischi di elusione, la protezione delle persone fisiche dovrebbe essere neutrale sotto il profilo tecnologico e non dovrebbe dipendere dalle tecniche impiegate. La protezione delle persone fisiche dovrebbe applicarsi sia al trattamento automatizzato che al trattamento manuale dei dati personali, se i dati personali sono contenuti o destinati ad essere contenuti in un archivio. Non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del presente regolamento i fascicoli o le serie di fascicoli non strutturati secondo criteri specifici, così come le rispettive copertine.

220 G. J. ZWENNE, Nog veel onzekerheden over het recht om te worden vergeten, in Tijdschrift voor

Internetrecht, 2012, vol. 9, 68-76. A pag. 69, l’Autore dichiara «Se si assume che il responsabile sia tenuto ad eliminare i dati nel rispetto degli altri utenti dei social network, allora si ritiene che egli debba richiederne la cancellazione anche alle aziende pubblicitarie alle quali li ha forniti».

144

non europei, che, seppur criticate da una parte della dottrina221, hanno disciplinato

chiaramente il concetto di motore di ricerca, definendone il ruolo e gli ambiti di operatività.

In questo contesto è così ipotizzabile che gli intermediari – ed in generale chiunque abbia un seppur minimo potere d’imperio sui dati personali presenti in Rete – decidano di procedere ad assecondare ogni richiesta, non potendo contare su uno spazio netto di esenzione di responsabilità per i contenuti veicolati. A sostegno di questa visione depone il fatto che non siano state previste sanzioni222 nel caso di una ultrattività del responsabile

del trattamento finalizzata alla rimozione eccessiva dei contenuti, mentre è prevista una sanzione particolarmente gravosa nel caso di mancato rispetto della richiesta di de- indicizzazione, che potrebbe raggiungere una somma pari al 4% del fatturato annuo mondiale del responsabile.

Quanto alla procedura di de-indicizzazione, viene da chiedersi, in questo contesto, quale sarà la posizione dei principali motori di ricerca non eccessivamente diffusi, Bing – Yahoo, posto che questi con riferimento alle richieste avanzate nel territorio dell’Unione europea, hanno respinto ad oggi circa la metà delle istanze di de-indicizzazione, esponendosi al rischio di sanzioni rigorose, sia pure d’importo minore rispetto a quelle previste dal regolamento.

Il rafforzamento di tutela della sfera privata del cittadino, consentito dal Legislatore europeo, è particolarmente evidente laddove il Regolamento ha previsto il diritto ad ottenere la ‘cancellazione’ dei dati, in presenza di determinati presupposti, al posto della de-indicizzazione, che, all’indomani della Google Spain, aveva già fatto registrare la tendenza dei titolari dei diritti ad incrementare esponenzialmente le proprie richieste, causando una perdita di qualità delle valutazioni su di esse effettuate ed una disponibilità dei motori di ricerca, sia pure di piccole dimensioni, a procedere alla rimozione dei

221 In senso critico, M. BELLEZZA, L’oblio è legge in Russia, in Medialaw, 16 novembre 2016. L’Autore ritiene che la legge è stata aspramente criticata perché, diversamente dalla decisione della Corte di Giustizia, introduce la possibilità, anche per le figure di rilevanza pubblica, di rivolgersi ai motori di ricerca, per chiedere la rimozione dei contenuti, spostando pericolosamente l’ago della bilancia a favore del diritto alla riservatezza a discapito della libertà di informazione.

222 L’art. 83, par. 5, Reg. 2016/679 UE prevede che «La violazione delle disposizioni seguenti, in conformità

al paragrafo 2 bis, può essere oggetto di sanzioni amministrative fino a 20.000.000 Euro, o in caso di un’impresa fino al 4% del fatturato mondiale totale dell’esercizio precedente».

145

contenuti, anche qualora vi fossero stati dubbi sulla correttezza delle relative richieste, al fine di evitare il rischio di sanzioni223.

Altro elemento destinato a sollevare perplessità è il coordinamento tra il Regolamento e la Direttiva sul commercio elettronico: il testo del Regolamento, infatti, prevede che questo debba essere attuato senza pregiudizio della Direttiva, omettendo, tuttavia, di definire la portata di tale affermazione224. Con riferimento al diritto all’oblio non è chiaro,

segnatamente, se il Regolamento trovi o meno applicazione con riferimento all’attività del provider. E’ pur vero che il Regolamento non dovrebbe trovare applicazione nei confronti dell’intermediario che tratti dati di terzi, da parte della dottrina qualificato come titolare del trattamento “di secondo grado”225, ma, essendo la definizione stessa

d’intermediario divenuta molto labile, appare difficile assumere una posizione risolutoria. In ogni caso i titolari del trattamento devono tempestivamente rimuovere il contenuto non in linea qualora ricevano una richiesta di cancellazione, mantenendolo offline, fino a quando non abbiano effettuato una valutazione in merito alla validità della stessa; valutazione rimessa ad algoritmi che, operando meccanicamente, prescindono da valutazioni fattuali da operare caso per caso. Il Legislatore europeo, infatti, si è guardato bene dal fornire criteri mediante i quali i titolari/responsabili debbano decidere se gettare o meno nell’oblio un dato, prevedendo unicamente criteri ricavabili dall’intero complesso normativo e, ancora una volta, rimessi a valutazioni discrezionali dei motori di ricerca (sebbene non siano predisposti a ‘dimenticare’ facilmente), o delle autorità amministrative o giudiziarie. Qualora, conseguentemente, l’interessato affermi che

223 D. SENG, The state of Discordant Union: An Empirical Analysis of DMCA Take down Notices, in

Virginia Journal of Law and Techonology, 2014, vol. 18. A pag. 56 dello scritto, l’Autore evidenzia che

«l’unica cosa statica in Internet è il cambiamento. Siamo giunti ad avere titolari individuali del copyright

ed i loro avvocati, responsabili del marketing e soggetti che rilevano tali violazioni e che operano nell’eliminazione di contenuti online. Siamo giunti all’invio di comunicazioni con un/due richieste di rimozione all’invio di migliaia di richieste ai service provider. Siamo passati da un sistema manuale con la presa in carico individuale delle comunicazioni ad un sistema automatico nel quale sia chi rileva le violazioni che i service provider, utilizzano i computer per prendere in gestione un gran numero di comunicazioni e richieste con i tempi di evasione molto brevi. E con il cambiamento arrivano anche le inevitabile conseguenze dei titolari dei diritti ed i soggetti che segnalano le violazioni devono lottare con forme elettroniche di non facile utilizzo, di comunicazioni sintetiche di soggetti che rilevano le violazione dei diritti, che sono schiacciate dalle immense comunicazioni con migliaia di richieste di rimozioni di male informati titolari dei diritti e di soggetti che inviino le segnalazioni che inviano richieste di rimozione abusive, vaghe ed ambiziose […]».

224 L’articolo 2, comma 3 del Regolamento prevede infatti che «questa norma deve essere senza pregiudizio

nell’applicazione della direttiva 2000/31, in particolare della legge sulla responsabilità del service provider disciplinata negli articoli dal 12 al 15 della direttiva».

225 Così per S.ZANINI, Il diritto all’oblio nel Regolamento europeo 679/2016: quid novi?, op. cit. e O. POLLICINO E M.BASSINI, Il diritto all’oblio, op. cit.

146

un’informazione online sia corredata dei presupposti perché possa operare l’oblio, l’intermediario dovrà limitare l’accesso all’informazione per un tempo tale a consentirne il controllo, in ogni caso non superiore ad un mese, elevabile a due in presenza di specifiche circostanze, un tempo per certi aspetti breve se riferito ad aziende non strutturate226.

Questo tipo d’indagine fattuale sui contenuti generati dagli utenti, tra l’altro, è una funzione in palese contrasto ideologico con il principio di neutralità del provider ed, in ogni caso, difficilmente esigibile da parte di ogni responsabile, che si troverebbe a fronteggiare una presunzione di colpevolezza in merito ai contenuti segnalati.

Ancora una volta, e con amarezza, ci si trova a constatare come l’attesa normativizzazione del diritto all’oblio ad opera del Legislatore europeo ha lasciato irrisolte numerose problematiche già evidenziate e denunciate nei decenni precedenti dagli operatori della giustizia, dagli interessati all’oblio e da coloro che intendevano tutelare la ‘memoria’. Nella redazione di un qualsiasi testo normativo, normalmente intervengono svariate componenti, anche di ordine politico, cosicché le disposizioni legislative finiscono con l’essere espressione di un compromesso tra le diverse componenti sociali. Nel caso del ‘diritto all’oblio’, probabilmente, le carenze risolutive riscontrate e la superficialità con cui è stato trattato un istituto particolarmente sensibile sono state volute; il Legislatore ha avuto tempo e modo per poter affrontare l’argomento in maniera più dettagliata, anche sulla base delle problematiche emerse nei decenni precedenti di applicazione dell’istituto. Non lo ha fatto! Sembra quasi che abbia volutamente omesso di assumere posizioni definite, piegandosi ad una flessibilità quanto mai inopportuna e rimettendo le soluzioni del caso concreto alle valutazioni degli operatori, ancora una volta in assenza di criteri operativi.

226 Regolamento europeo 2016/679, art. 18: Diritto di limitazione del trattamento

«L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la limitazione del trattamento quando

ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) l’interessato contesta l’esattezza dei dati personali per il periodo necessario al titolare del trattamento per verificare l’esattezza di tali dati personali;

b) il trattamento è illecito e l’interessato si oppone alla cancellazione dei dati personali e chiede invece che ne sia limitato l’utilizzo;

c) benché il titolare del trattamento non ne abbia più bisogno ai fini del trattamento, i dati personali sono necessari all’interessato per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria; d) l’interessato si è opposto al trattamento, ai sensi dell’art. 21 par. 1, in attesa della verifica in merito all’eventuale prevalenza dei motivi legittimi del titolare del trattamento rispetto a quelli dell’interessato […]»

147

In una società come la nostra, gli interessi del singolo utilizzatore della Rete devono, senza dubbio, essere contemperati con altri e, non ultimo, con quelli della società, intenta a trarre vantaggio dall’accessibilità ai dati ed alle informazioni. E’ vero che la legge mai avrebbe potuto fornire una cassetta degli attrezzi utile a risolvere le problematiche più disparate che il trattamento dei dati potrebbe evidenziare, dovendosi comunque cercare nel ‘bilanciamento’ la soluzione, ma non sarebbe certamente risultata superflua la previsione di criteri oggettivi e uniformemente applicabili in forza dei quali operare il bilanciamento, se non altro per evitare, o quanto meno ridurre, il rischio di pronunce giudiziarie tra loro confliggenti, relative allo stesso caso giudiziario, emesse da tribunali di diversi livelli.

Per aiutare l’utente comune ad orientarsi in questo quadro a tinte fosche di pronunce, interventi normativi incompleti e poco soddisfacenti, all’indomani dell’epocale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Google ha comunicato in un report227,

tramite il suo neonato “Advisory Council on the Right to be Forgotten”, talune determine, che potrebbero chiarire il panorama attuale ed essere utili alle giurisdizioni locali in caso di contestazioni. Quattro sono i criteri, in presenza dei quali, il colosso americano ritiene meritevole di apprezzamento la possibilità di de-indicizzazione di taluni dati, su richiesta dell’interessato: il ruolo dell’interessato nella vita pubblica, la tipologia di informazione oggetto della richiesta, la fonte dell’informazione, il trascorrere del tempo. In merito al primo criterio, è operata una differenziazione tra soggetti che rivestono un ‘preciso ruolo nella dimensione pubblica’, per i quali minore sarà la possibilità di accoglimento di una richiesta di de-indicizzazione di informazioni, ‘soggetti privi di rilievo nella vita pubblica’, le cui richieste di rimozione verosimilmente potrebbero incontrare più facilmente la disponibilità del motore di ricerca, ‘soggetti con un ruolo pubblico limitato a specifici ambiti’, le cui istanze necessiterebbero di una valutazione più accurata, affrontata in relazione alle peculiarità delle singole esigenze prospettate.

In merito, invece, al tipo di informazione oggetto del caso, l’Advisory Council ha ritenuto opportuno definire due categorie di “notizie tipo”. La prima categoria, comprendente immagini o i filmati riguardanti l’interessato, informazioni relative alla sua situazione economica e sessuale, dati sensibili, contatti, informazioni relative a minori, credenziali di autenticazione ed autorizzazione, vede la prevalenza dell’interesse alla riservatezza

148

rispetto all’interesse pubblico, trattandosi di dati particolarmente confinanti con la sfera privata.

Nella seconda categoria rientrerebbero, invece, tutte le informazioni che generalmente rivestono un pubblico interesse, relative a temi politici, dibattiti religiosi, sociali, questioni attinenti alla salute pubblica, notizie relative a fatti penalmente rilevanti, di interesse storico o riguardanti ricerche scientifiche o forme di espressione artistica. In merito a queste informazioni, l’interesse pubblico alla notizia si presume prevalente rispetto al diritto all’oblio.

Con riferimento, poi, alla fonte dell’informazione, il motore di ricerca sostiene che per verificare la sussistenza di un pubblico interesse alla conoscenza della notizia contestata, si debba far riferimento alla fonte dell’informazione ed alla sua finalità: la pubblica rilevanza potrebbe riguardare, senza dubbio, le notizie divulgate nell’ambito dell’attività giornalistica o diffuse da siti d’informazione.

In ultimo, ma non per importanza, andrebbe considerato il fattore temporale: l’unità di tempo trascorsa dalla verificazione del fatto, oggetto dell’informazione, all’istanza di de- indicizzazione, potrebbe aver mutato il ruolo e la dimensione pubblica dell’interessato all’oblio.

I criteri forniti dall’Advisory Council del più grande motore di ricerca oggi esistente, seppur fondamentali, sono deputati a lasciare un ampio margine di discrezionalità nella valutazione delle singole istanze, senza dubbio utile per consentire l’adattamento della decisione alle peculiarità delle singole esigenze, ma, al contempo, pericoloso, in quanto idoneo a danneggiare i diritti della personalità, laddove si ravvisasse la prevalenza del pubblico interesse, o creare vulnus nella memoria collettiva, se si adoperassero rimozioni piuttosto generose, in ottemperanza al desiderio di rimozione del ricordo, vantato dal richiedente l’oblio.

10) Il Consiglio d’Europa, nell’ottica del Regolamento 2016/679 UE, aggiorna la

Outline

Documenti correlati