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Un bene privato è considerato tale quando viene visto come proprietà di individui specifici ed è utilizzabile dagli stessi per raggiungere interessi personali. Un bene pubblico, al contrario, rientra in questa fattispecie quando è inalienabile, indivisibile, non è appropriabile privatamente e tutti ne possono trarre vantaggio.

Secondo Sciolla (2003), il capitale sociale può potenzialmente far parte di entrambe le categorie, poiché nel momento in cui si innesca in un rapporto diadico di reciprocità, gli interlocutori si avvantaggeranno vicendevolmente, e ancora, se pensiamo a un insieme di rapporti immessi in un’organizzazione, il capitale sociale prodotto, sarà sicuramente ad appannaggio di tutti i consociati. È possibile che si ripropongano oltre i confini dell’aggregato, ad ampio raggio, delle esternalità positive di cui godranno anche persone non direttamente coinvolte in base al grado di apertura dell’organizzazione stessa.

In questo caso, il capitale sociale prodotto è da ritenersi bene pubblico, a cui tutti possono far riferimento. Anche Cartocci (2000), riportando la definizione di Coleman (1990), afferma che il nostro oggetto di studio non è proprietà del singolo, ma è riferibile solo sulle relazioni di fiducia da essa prodotte. È un attributo quindi riferito a gruppi, organizzazioni, se non all’intera comunità.

Putman (1993), Cartocci (2000), e Sciolla (2003) come molti altri studiosi sull’argomento, sostengono che ogni entità associativa sceglie il tipo di confini di cui dotarsi sulla base degli intenti posti in condivisione al suo interno. Il termine che spiega l’apertura di un collettivo associativo verso l’esterno è Bridging, mentre quello

41 opposto, che intende una rigidità dei confini e tendenza alla chiusura, è definito Bonding. Cartocci (2000) nel suo saggio Chi ha paura dei valori? Capitale sociale e dintorni, traduce in capitale sociale che apre e capitale sociale che serra.

Ogni associazione può variare nei gradi di apertura e chiusura, ma per rendere l’idea riporteremo degli esempi su organizzazioni che si adoperano su un versante e non sull’altro. Quando un’associazione si dà dei confini rigidi, aumentando nel complesso il suo grado di Bonding, non alimentando il Bridging, accumula un buon capitale sociale al suo interno, massimizzando fiducia, stabilità e coesione tra i suoi membri, ma si estranea dal territorio in cui essa è collocata.

Un esempio estremo potrebbe essere rappresentato dalle sette, che mirano alla condivisione massima dell’ideologia interna e non sentono l’esigenza di relazionarsi con la realtà circostante, anzi guardano all’esterno, nella maggior parte dei casi, con diffidenza, assumendo un atteggiamento di avversione.

In questa circostanza, il capitale sociale aumenta, e le attività poste al suo interno si dimostrano essere efficaci e i principi vengono alimentati da un senso simbolico forte e duraturo3.

Altro esempio di questo tipo, sono le organizzazioni mafiose. In questo caso, si auspica che la condivisione interna si allarghi anche all’esterno. Le organizzazioni mafiose, come affrontato nel capitolo precedente, hanno cominciato a formarsi con l’intento di creare una comunanza di intenti tra i membri coinvolti, ma per resistere ai mutamenti esterni, hanno elaborato un senso adattivo non indifferente. Infatti confrontandosi con la realtà circostante hanno saputo farsi spazio nel senso di sfiducia generalizzato e

3 Come sostenuto dalla Marzano (2012: 142-143), le sette non si impongono sul soggetto e non

agiscono attraverso modalità coercitive. Il soggetto entra a far parte del gruppo volontariamente, con la convinzione di poter accrescere la fiducia verso di sé attraverso la partecipazione associativa. Il paradosso nasce nel momento in cui, il singolo si inserisce nelle trame dell’organizzazione che agiscono su di lui attraverso processi di manipolazione e strumentalizzazione. Ciò lo porta all’adesione completa dei principi interni e allo svuotamento della sua specificità soggettiva. La partecipazione associativa, come sostenuto da Sciolla (2003) accresce la fiducia interpersonale tra i membri. Nel caso di tutte quelle organizzazioni che si impostano come delle sette, questo concetto è massimizzato il più possibile. Infatti, l’adepto assume un atteggiamento di sottomissione psicologica notevole e acquisisce una dipendenza tale verso l’aggregato, che non alimenta la sua fiducia interiore, ma al contrario la annienta. A quel punto, su di lui è facile agire attraverso la manipolazione che lo induce a credere e a fare, senza opporsi con spirito critico a cui ha già rinunciato da tempo. Le dinamiche successive all’entrata nell’associazione, portano la persona ad annullare se stessa e quindi la sua presa di iniziativa. L’associazione diventa così una prigione.

42 quindi hanno ottenuto un riconoscimento che lega tutti attraverso l’omertà, donandogli quel potere che una volta strumentalizzato, gli consente di continuare a evolversi e non dissolversi nel nulla. Il consenso non può esserci da parte delle istituzioni, che professano una legalità che non appartiene alla natura corrotta della mafia, ma viene ricercato in comuni cittadini che, pur non entrando come parte attiva nell’organizzazione, diventano complici, assumendo una cultura antisociale. L’elevato grado di Bonding riproduce una comunità escludente, intollerante, poco propensa all’integrazione di cambiamenti esterni, per cui nel caso dell’organizzazione mafiosa è stato opportuno bilanciare aumentando il Bridging.

In situazioni completamente contrarie, in cui alto è il grado di Bridging e nullo quello di Bonding, troviamo le moderne associazioni che si dimostrano essere molto efficienti sul territorio, ma i confini sono sfumati a tal punto che i legami interni si perdono, o sono frammentati. È un tipo di capitale sociale inclusivo, più aperto a integrare il nuovo in un corpus già dato. Putman (2000), parla delle moderne associazioni che hanno delle caratteristiche diverse rispetto a quelle tradizionali. Le sedi di tali organizzazioni sono centralizzate e non vicine alle abitazioni degli associati; agli incontri partecipano i rappresentanti spesso professionisti del settore e quindi questo non crea una vicinanza tra i consociati. Comunque si configurano come associazioni che raggiungono risultati importanti e rimangono validi e riconosciuti a livello nazionale.

Tralasciando i casi estremi, ogni associazione si presenta dotata di una certa apertura e una certa chiusura; esse saranno correlate al buon funzionamento dell’insieme.

Considerato quanto detto, il grado di Bonding se elevato, contribuisce alla conformazione di legami forti, mentre un elevato livello di Bridging crea frame essenziali per la costituzione di legami ex novo, quindi legami deboli.

Gli uni servono per rinforzare l’identità collettiva, quindi come afferma Sciolla (2000), alimentano il tessuto di fiducia interpersonale tra i membri, gli altri invece aprono orizzonti inattesi e contribuiscono a estendere la fiducia generalizzata estesa.

A proposito di questo, molti studiosi hanno condotto delle ricerche, il cui risultato era che i singoli quanto più sono parte di numerose associazioni, tanto più saranno portate

43 a nutrire fiducia sociale; questa correlazione si dimostra essere diretta secondo gli studi di Almond e Verba (1963).

Sciolla nel suo saggio (2000), spiega che far parte di un’associazione incrementa la fiducia interpersonale, ma cresce in relazione non tanto al numero di associazioni di cui si fa parte, quanto piuttosto al tipo di associazione. Nella sua ricerca infatti, ella prende come campione membri di tre tipologie diverse di associazioni.

Quest’ultime si dividono in

 Associazioni auto-orientate, le cui attività sono rivolte agli stessi affiliati e alle loro esigenze di autorealizzazione e socializzazione, mediante la fornitura di servizi e l’organizzazione di attività ricreative, culturali. Sono associazioni in cui si registra quindi un alto livello di Bonding.

 Associazioni etero-orientate, rivolte alla promozione dell’impegno civico, che permettono un’ampia partecipazione alla vita sociale, quindi presumibilmente dotate di un buon livello di Bridging.

 E infine le associazioni religiose, che meritano un’attenzione a parte.

Ci si potrebbe aspettare che, su quanto sostenuto finora, le associazioni etero-orientate producano maggiore fiducia non solo interpersonale, ma anche estesa, quindi verso la comunità. In realtà sono maggiormente quelle auto-orientate e di natura religiosa che contribuiscono a creare fiducia di rete (vicini e parenti) e fiducia estesa.

La partecipazione ad associazioni etero-orientate non riporta, secondo i dati raccolti dalla studiosa, un elevato livello di fiducia; stranamente, nonostante siano quelle dotate di attività che aprono maggiormente, non sono quelle che alimentano fiducia. Diani (2000), spiega che questo è possibile, perché il capitale sociale confluito all’interno di un’associazione, è canalizzato in maniera efficiente sulla base del contesto culturale del territorio ospitante.

Egli concettualizza quindi il capitale sociale contestuale, in cui come è intuibile, il fattore “contesto” determina maggiormente la correlazione inversa o diretta tra partecipazione associativa e fiducia interpersonale.

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L’imprevedibilità del capitale sociale

Ho fatto già riferimento alle caratteristiche del capitale sociale, quali l’embeddedness, la ferialità e l’indeterminatezza etica, nonché l’ampiezza nella comunità (Cartocci, 2000) come qualità intrinseche del nostro oggetto di studio. È necessario precisare che, essendo stato argomento posto al centro di molteplici ricerche, in ognuna si è cercato di evidenziare delle verità, alcune volte concordanti tra di loro, altre volte meno, pervenendo così a definire sempre meglio il capitale sociale nei suoi diversi aspetti. La studiosa Piselli (2001) ad esempio, nel suo saggio introdotto all’interno dell’opera su cui ha lavorato con Bagnasco et al., evidenzia una connotazione forte del capitale sociale dettato dal suo essere dinamico, processuale e situazionale. Il concetto di capitale sociale quindi non si riferisce ad un oggetto specifico, né può essere appiattito in rigide definizioni, ma deve essere di volta in volta interpretato in relazione agli attori, ai fini che perseguono e al contesto in cui agiscono.

Di conseguenza la dimensione strutturale (norme, regole che disciplinano l’associazione) si intreccia sempre con la dimensione soggettiva (i membri con il loro capitale umano). Il capitale sociale è situazionale, perché spesso si identifica come sottoprodotto dell’organizzazione stessa che condivide degli scopi, resi palesi fin dall’origine, ma col passare del tempo ne produce degli altri, avvalendosi potenzialmente di un principio di serendipità. Pensiamo ad esempio alle associazioni studentesche che con l’intento di far valere i propri diritti, a lungo tempo diventano efficaci anche come movimento di resistenza politica.

E ancora, è situazionale perché la differente apertura o chiusura produce dei legami che sono adatti alla funzionalità per cui sono nati. Legami forti sono utili per il sostegno di un reticolo ben definito, come ad esempio, i gruppi di immigrati, che rappresentano dei punti di riferimento per coloro che verranno.

È processuale e dinamico perché si concretizza nell’azione creativa degli attori, nella realizzazione di progetti pratici, ragion per cui diventa imprevedibile come i risvolti che ne derivano. Ogni mossa, ogni azione posta in essere da un attore sociale cambia il quadro degli intrecci interazionali, cambia la situazione e così canalizza le scelte successive degli attori. Quando gli attori interagiscono in nuove relazioni producono sempre nuove forme di capitale sociale.

45 L’associazione, attraverso la dimensione strutturale e quella soggettiva, produce capitale sociale, prevedibile solo in parte perché persegue degli scopi ben precisi, ma è all’azione degli attori che si ricollegano i risvolti imprevedibili. Questo ci permette di avvalorare l’ipotesi di Hirschman (1984) secondo cui ogni risorsa morale, in questo caso rappresentato dall’associazione in quanto bene pubblico, non divisibile e inalienabile, al contrario di qualsiasi altra merce, aumenta la sua fornitura solo attraverso il consumo costante. In sintesi, cresce col suo utilizzo, e si spegne nel momento in cui non viene più “usata”.

Intuitivamente se l’associazione non trova più il giusto bilanciamento tra Bonding e Bridging, finisce per non rendere più il gruppo coeso e riconoscibile sul territorio ospitante e quindi sparisce. Il riconoscimento, che provenga dall’interno o dall’esterno, diventa fondamentale (Pizzorno, 2001).

Sulla base di quanto detto è possibile concludere che, i legami deboli sono incrementati da maggior azione di Bridging e questi a loro volta influenzano il capitale sociale di reciprocità (Pizzorno, 2001), che induce a una forte mobilitazione sul territorio.

I legami forti, invece, sono rinsaldati da un’azione di Bonding, che a loro volta costituiscono il capitale sociale di solidarietà (Pizzorno, 2001).

Legami deboli Bridging capitale sociale di reciprocità. Legami forti Bonding capitale sociale di solidarietà. Il primo caso permette una più intensa diffusione e mobilitazione del capitale sociale, dando maggiore spazio alla creatività dell’azione del singolo; inoltre dà luogo alla circolazione di reti di confianza che, come approfondito nel capitolo precedente avviene quando un individuo si fa garante di un terzo, per agevolare un rapporto tra due interlocutori.

Nel secondo caso invece, è l’associazione stessa che si fa garante, come detentrice di obbligazioni, che saranno da guida alle condotte dei singoli associati che interagiscono con terze persone.

46 AIPD di Pisa: l’articolazione interna del nostro caso specifico

La prima associazione AIPD Onlus, nasce a Viterbo nel 1982, dopo che un piccolo gruppo di famiglie decide di unirsi dando origine alla prima organizzazione dal nome Associazione Bambini Down (A.B.D.). Ad oggi le sezioni in tutta Italia sono 54 e tra di queste vi è, ovviamente, quella di Pisa.

Come citato nello statuto nazionale, gli obiettivi fondamentali, si concentrano sull’autodeterminazione e l’autonomia generale a cui la persona down deve pervenire, per garantire i suoi diritti sociali.

Le famiglie, insieme ai ragazzi vengono accompagnati durante tutto il loro percorso di vita; l’associazione rappresenta quindi un ammortizzatore sociale e assume un ruolo di promotore di progetti, attività che impegnano una maggiore circolazione di informazioni utili per la comprensione di questa forma di disabilità, su cui è importante avere sempre maggiore conoscenza, così da evitare l’isolamento e l’emarginazione, sia dei ragazzi che delle famiglie.

L’AIPD Onlus di Pisa nasce nel 1988, anche in questo caso, attraverso l’unione di cinque famiglie che avevano come punto in comune, l’essere genitori di ragazzi down. Il suo scopo è tutelare i diritti delle persone con Sindrome di Down, favorirne il pieno sviluppo fisico e mentale, contribuire al loro inserimento scolastico e sociale a tutti i livelli, sensibilizzare la comunità sulle loro reali capacità, divulgare le conoscenze sulla sindrome. Ad oggi l’associazione accoglie tra le 80- 90 famiglie e le persone che frequentano i corsi all’autonomia abbracciano diverse età, che vanno da bimbi di sei anni fino ad adulti di 50 anni.

Le attività e i progetti organizzati sono adatti a tutti, e implicano inoltre servizi offerti per il sostegno alle famiglie.

Il progetto “Passo dopo passo” ad esempio, predispone uno sportello di ascolto convenzionato con la Divisione di Pediatria (con sede presso l’Ospedale di Santa Chiara di Pisa) e di Neuropsichiatria Infantile (con sede presso l’Istituto Scientifico Stella Maris) del Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva dell’Università di Pisa. A gestirlo è l’assistente sociale dell’associazione che si adopera per dare informazioni concrete (orientamento fra le tante pratiche burocratiche alla nascita, leggi specifiche, assistenza nella

47 compilazione della modulistica, informazioni generali o specifiche sui servizi disponibili) e dà la possibilità a chi ne ha bisogno di esprimere liberamente paure e sentimenti. Il servizio è rivolto alle famiglie dei genitori dei neonati e della primissima infanzia, o a genitori in attesa di un figlio che hanno subito la notizia e in questo caso si pensa a rinforzare la resilienza della coppia dandogli maggiori informazioni su quello che sarà.

Di seguito elencherò le attività frutto del lavoro strutturato dell’associazione che ha lo scopo di rendere autonomi i ragazzi fin dalla primissima infanzia:

Attività del “Gioco e imparo” è quella che coinvolge piccoli dai 6 ai 10 anni. In un setting ben preciso, rappresentato dall’appartamento “Casa nostra”. All’interno dell’associazione, i bimbi sperimentano la socializzazione con il gruppo dei pari, non trascurando di sviluppare le loro abilità individuali. I bimbi si incontrano in gruppi da 5 e sono seguiti da 2 operatori e 2 volontari (di cui uno con la Sindrome di Down).

Il gruppo degli “Esploratori”, invece coinvolge i preadolescenti e si concentra sull’acquisizione delle cinque aree di autonomia ritenute fondamentali. I giovani imparano abilità quali: il COMPORTAMENTO STRADALE, accrescono il proprio ORIENTAMENTO, utilizzano i MEZZI PUBBLICI, imparano ad USARE IL DENARO e a COMUNICARE correttamente. La frequenza è sempre settimanale ed i 2 gruppi sono composti da 5 preadolescenti, 1 operatore e 2 volontari.

Il “Club dei ragazzi” ha durata triennale e si rivolge ai ragazzi a partire dai 14 anni. Il lavoro strutturato si concentra ancora sulle cinque aree di autonomia, già coinvolte in precedenza, e l’intento è quello di dare un proseguito a queste abilità, così da non perderle nel tempo. Gli incontri sono a cadenza settimanale e la conduzione è lasciata a operatori qualificati, aiutati da volontari. In questa fase, l’accento è posto sulla proiezione dei membri del gruppo verso l’esterno. Devono essere in grado di “appropriarsi” della città in cui vivono, o in cui soggiornano durante gli incontri in associazione4, ed essere capaci di

trasportare le abilità in altri contesti con cui entreranno in contatto. Il progetto

48 prevede di sostenere ed accompagnare contestualmente i genitori nel processo di “lasciar andare” i propri figli, riconoscendo e incentivando progressive autonomie.

L’ “Agenzia del tempo libero”, è attiva dal 1998 e si rivolge a quei ragazzi che hanno concluso un percorso di tre anni di orientamento e autonomia. Sviluppa competenze quali la gestione del tempo libero, quindi capacità organizzative, programmatiche e nel gruppo si definiscono diversi ruoli che cambiano di volta in volta (ad esempio, il ruolo del “c’è chi ci guida” è rappresentato da chi organizza l’attività del pomeriggio e cura tutta la parte logistica, guidando l’intero gruppo nell’attività). Queste attività non hanno solo un valore ludico ricreativo, infatti oltre ad affinare l’uso di alcuni strumenti e servizi (internet, trasporto pubblico, negozi ecc.), insistono su aspetti profondi che rinforzano l’autostima e il senso di autoefficacia delle persone con Sindrome di Down coinvolte nel progetto. Sperimentano la capacità di “desiderare”, di scegliere, di organizzarsi per realizzare i propri progetti e soddisfare i propri bisogni, ciascuno esprimendo al massimo le proprie potenzialità. Altro aspetto essenziale è che tutto accade all’interno di un gruppo di “amici”, contesto nel quale le persone possono sperimentare rapporti effettivamente paritari, con le difficoltà, le soddisfazioni, la complessità delle relazioni umane. Le agenzie del tempo libero sono più di una e sono composti da 5-6 persone, che si incontrano una volta a settimana con un operatore e un volontario per gruppo.

I Circoli sono composti da quei giovani adulti, che avendo sperimentato l’autonomia ne hanno piena padronanza e quindi in questo gruppo, la figura dell’operatore è più al margine e sono liberi di scegliere come autogestirsi. Come si può notare le attività svolte nei gruppi e le modalità con cui tali abilità si concretizzano rispecchiano i vari cicli di vita.

Alcuni dei membri dell’associazione entrano a far parte in seguito, anche in età adulta, ma altri invece si ritrovano fin da piccoli a percorrere tutto l’iter, passando da un contesto ad un altro sulla base delle capacità sviluppate e dell’età raggiunta.

Considerando che ad oggi l’allungamento della vita non coinvolge solo soggetti normodotati, ma anche persone affette da Sindrome di Down, l’associazione si

49 predispone per un corretto inserimento del ragazzo nella comunità di appartenenza, sia a livello relazionale che lavorativo.

“Fare centro” ha come obiettivo non solo rafforzare ulteriormente, le abilità delle cinque aree, ma sviluppare una dimensione relazionale più profonda, che migliori la qualità della vita dei partecipanti, auspicando che queste capacità siano traslate nei contesti privati degli stessi.

“Percorsi di identità/sessualità” nasce dall’esigenza di dare risposte concrete a relazioni di coppia stabili e durature che si sono venute a creare spontaneamente, attraverso il processo di socializzazione sperimentato nelle varie attività. Se dapprima tale situazione era completamene gestita dai genitori, adesso l’organizzazione cerca di rendere più sano un rapporto di coppia, inevitabilmente complesso.

“Lavoratori in corso” si propone di attrezzare i ragazzi in maniera adeguata per diventare lavoratori a tutti gli effetti. Sulla base delle loro qualità personali, vengono inseriti in servizi che si rendono disponibili per un percorso di orientamento lavorativo (SOL) o per un percorso di inserimento lavorativo (SIL). L’obiettivo è indubbiamente quello di migliorare la qualità della vita del ragazzo, predisponendolo alla massima indipendenza possibile.