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Considerato che un bene pubblico per eccellenza, che persegue scopi moralmente condivisi da una comunità civica, è indivisibile e rappresenta un bene da cui tutti possono trarne vantaggio, lo stesso è assimilabile per un’associazione che si distacchi da scopi e fini devianti.

Essa può avere una parvenza di bene pubblico, poiché sulla base del suo grado di Bridging e di Bonding produce esternalità dirette ai beneficiari coinvolti, e indirette, nel caso in cui il capitale sociale prodotto si diffonde attraverso un processo di mobilitazione.

53 È ovvio che una singola organizzazione non ha il potere di giovare tutta la comunità, soprattutto quando richiama concetti di mutualità, come nel caso del nostro oggetto di studio.

Infatti, i maggiori beneficiari dell’associazione posta in analisi, saranno inevitabilmente i ragazzi e le famiglie di quest’ultimi, ma l’imprevedibilità del capitale sociale e un processo di mobilitazione è capace di generare più coinvolgimento e di raggiungere obiettivi inattesi e non solo quelli previsti al suo interno.

L’associazione AIPD ha lo scopo di tutelare i diritti di un target ben preciso, e conferire il massimo grado di autonomia possibile a tutti i membri con Sindrome di Down o ritardi mentali e disabilità varie. Nell’operatività vuol dire sviluppare delle abilità che affondano soprattutto nelle cinque aree descritte nel precedente paragrafo. Questo però non preclude la possibilità di diventare punti di riferimento per altri obiettivi non definiti all’origine.

Dalle evidenze teoriche raccolte, i confini, definibili sulla base del grado di apertura e chiusura, diventano fondamentali per capire come l’associazione si pone sia verso i suoi componenti interni (ragazzi che frequentano i corsi e le relative famiglie e i volontari), sia verso il territorio locale in cui risiedono. Il grado di apertura e il grado di chiusura, in questa ricerca si traducono in capacità di inclusione e di esclusione verso gli attori sociali con cui interagiscono. La ricerca consta di due fasi: nella prima, ho deciso di condurre 5 interviste a 5 operatori, che definisco “storici”, perché attivi da diversi anni all’interno dell’organico associativo al fine di rilevare, il grado di inclusione e quindi anche il grado di Bridging (di apertura) dell’associazione verso i membri che la compongono a diverso titolo. Le domande vertono alla comprensione dell’iter che coinvolge il volontario, dal primo contatto fino al suo inserimento effettivo, così da evidenziare gli step (da colloquio conoscitivo, ad altre possibili modalità di selezione) che occorrono per accedere al servizio e potersi introdurre e comprendere se esiste o meno un’apertura significativa nei confronti di individui che intendono inserirsi dall’esterno. Se l’associazione richiede ai membri, prima di entrarvi, di essere in possesso di alcuni criteri, è necessario conoscere quali, poiché sulla base di questi, si definisce il tipo di target a cui l’associazione si rivolge. Quanto esso sia ristretto o, diversamente, quanto esso sia di ampio respiro.

54 Come assumeva Granovetter (1973), il capitale sociale si nutre anche di legami deboli, che sono quelli che aprono al nuovo (Sciolla, 2003) e inoltre, attraverso le conoscenze è possibile accedere a delle possibilità, per merito della “fiducia transitiva”, ovvero fiducia prestata da una terza persona che agisce da garante. Nell’intervista ho cercato di rilevare l’esistenza o meno di questo aspetto e se possibile, la sua variabilità nel tempo, avvalendomi della lunga esperienza degli operatori. Nel caso in cui la fiducia transitiva è massima, è possibile concludere che la fiducia “prestata” agisca da agevolatore attivo all’interno dell’associazione; in questo caso si può dedurre che l’AIPD fa un uso ordinario dei legami deboli, che diventano parte integrante delle risorse da sfruttare.

Se la prassi generale di inclusione di volontari è lineare, ovvero non prevede un iter articolato, e corrisponde in toto a quello che si attiva nel caso in cui si presenta un candidato insieme ad una terza persona che funge da tramite, allora la fiducia reciproca, assume la stessa rilevanza della fiducia in “prestito”.

Se, invece, un volontario viene inserito più velocemente perché presentato da una persona, già conosciuta all’organizzazione, rispetto a singoli che si presentano da soli, ciò sarà indicativo di un’inclusione generale dei volontari solitamente più ostica, rispetto a quella che coinvolge la conoscenza di una terza persona. Comparare le due situazioni consente di capire, l’importanza del capitale sociale inteso alla maniera di Granovetter (1973).

In seguito, le domande hanno approfondito l’iter di inclusione previsto per le famiglie, con l’intento di rilevare anche in questo caso il ventaglio di persone a cui l’associazione si rivolge.

L’intervista continua approfondendo gli strumenti promozionali di cui l’AIPD si serve per farsi conoscere sul territorio. Ciò restituisce un’idea di quanto la stessa punti al riconoscimento sociale, che come sostenuto da Pizzorno (2001) è predittivo di capitale sociale e aiuta nella creazione di quel processo di mobilitazione, analizzato precedentemente. Quando un’associazione punta il suo focus verso l’interno (Bonding), ed è particolarmente auto-orientata, non ha bisogno di particolare riconoscimento esterno, quindi di spendere cospicue energie per farsi pubblicità sul

55 territorio. Se gli strumenti di promozione di cui si serve l’associazione sono molteplici, e l’utilizzo è costante (quindi non circoscritto alla promozione dei singoli eventi annuali), è intuibile che essa punti non solo a far “conoscere” l’avvenimento specifico, ma tendi a farsi “riconoscere” come organizzazione continua sul territorio, avvalorando la teoria di Pizzorno (2001).

Inoltre, è stato utile verificare se tra gli strumenti conoscitivi dell’associazione, a risaltare nel tempo, ci fosse il cosiddetto “passaparola”, ovvero un capitale sociale trasversale che agisce da strumento che alimenta la mobilitazione, configurando un processo non direttamente voluto dall’organizzazione, ma frutto dell’imprevedibilità e dell’azione creatrice del capitale sociale generato, richiamando le qualità intrinseche del capitale sociale così come dedotte dalla Piselli (2001).

Rispetto agli eventi promossi puntualmente ogni anno, ho scelto di soffermarmi su uno di questi, ovvero la “Cena in Bianco” in quanto rappresentata da una serata capace di riunire molti partecipanti in un'unica sede.

Altro motivo per cui ho deciso di approfondire questo evento riguarda proprio la sua organizzazione interna. Essa implica che tutti coloro che vogliano prenderne parte, indossino abiti bianchi e si cimentino a portare da casa abbellimenti per la tavola e cene preparate. La cena, intesa come momento in cui tutti si ritrovano a tavola a fine giornata, rappresenta quel rito abituale di cui Putman (2000) denuncia il declino, nel suo lavoro Capitale sociale e individualismo. Il momento conviviale è riproposto, in questo modo, su larga scala, coinvolgendo l’intera collettività pisana.

Per arginare il problema delle libere interpretazioni che sarebbero derivate dai soli dati numerici raccolti dai registri dell’associazione, ho ritenuto opportuno distinguere, quanto possibile, il target dei partecipanti. Considerato che gli operatori si occupano del reperimento delle adesioni, attraverso lo strumento dell’intervista, ho cercato di evidenziare due tipi di dati: uno rappresentato da quello effettivo dei partecipanti, nei 5 anni in cui hanno avuto luogo le diverse edizioni (2015, 2016, 2017, 2018, 2019), e l’altro rappresentato dalle percezioni personali rispetto all’identità complessiva dei partecipanti. Infatti, se a partecipare ogni anno, sono per lo più le famiglie membri dell’organizzazione, è plausibile pensare che l’associazione riconfermi un grado di Bonding, e non produca nuove frontiere rappresentate dai legami deboli. Al contrario

56 se si ha la percezione che a partecipare siano individui non direttamente coinvolti in nessun caso dall’associazione e addirittura residenti altrove, è possibile pensare che il grado di Bridging sia elevato.

Dal riconoscimento etico (le cui obbligazioni sono state interiorizzate, quindi vengono applicate dall’interno), si arriva a quello istituzionale (in questo caso dall’associazione) e quindi, teoricamente, i legami forti saranno definiti tali, perché tenderanno a comportarsi conformemente ad essa e sulla base della teoria di Diani (2000) sul capitale sociale contestuale, sarà il setting originario di relazioni significative a determinare la fiducia interpersonale che intercorre tra gli attori sociali.

A questo proposito, le ultime domande dell’indagine intendono approfondire la condivisione delle regole interne dell’associazione, per rappresentare il grado di partecipazione e coinvolgimento rispetto ai legami forti che compongono il gruppo, restituendo inoltre, l’idea della funzione dell’AIPD in quanto agente socializzante. Come visto, l’AIPD proietta i ragazzi verso l’esterno, attraverso esperienze diversificate (inserimenti lavorativi, progetti paralleli alle attività interne) e su di loro pendono delle aspettative. Il richiamo alla Marzano (2012) sulla fiducia e sulle aspettative che questo sentimento genera sull’altro è inevitabile. In quest’ultima ipotesi quindi se il capitale sociale prodotto attraverso l’azione di Bonding (coesione, conformazione alle norme di reciprocità, fiducia..) è stato assimilato dai ragazzi, è possibile che ciò diventi causa di un andamento positivo di Bridging, poiché i membri dell’associazione si conformeranno più facilmente ad altri contesti, proprio perché abituati a sperimentarli nel setting associativo.

La coesione interna di un’organizzazione genera fenomeni di ostracismo per tutto ciò che non è conforme alle regole (Marzano, 2012); nell’indagine quindi, si è cercato di rilevare se tale fenomeno (ad es. emarginazione) esiste o è presente, anche solo un atteggiamento di sanzione reciproca tra i membri, quando tali regole vengono trasgredite da uno di essi, e soprattutto analizzare se esiste una coesione, e una condivisione di intenti tale, capace di produrre una certa abilità nella gestione dei conflitti.

57 La coesione strutturata all’interno dell’organizzazione permette il crescere della fiducia interpersonale tra i membri (Sciolla, 2003). I ragazzi hanno la possibilità di conoscersi anche in altri frame e condividere momenti ludici o più impegnati, non solo attraverso appuntamenti a cadenza settimanale, ma anche nei fine settimana previsti dal progetto “Casa nostra”. È lecito aspettarsi quindi che si consolidi un senso di appartenenza non al singolo gruppo (Esploratori, Club dei ragazzi..) ma un’appartenenza generale a tutta l’associazione, restituendo un’identità collettiva condivisa. A ciò dovrebbe conseguire una consapevolezza su loro stessi e sull’altro generalizzato notevole, da potersi potenzialmente registrare anche in episodi di autoreferenzialità, ovvero momenti in cui i ragazzi da utenti/clienti diventano promotori di progetti che li riguardano e che riflettono le loro richieste di aiuto. Nell’ ultima parte dell’intervista, infatti le domande sono mirate ad evidenziare questo aspetto.