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I punti oggetto di analisi sono stati posti all’attenzione dell’Associazione Italiana Persone Down di Pisa, che si è prestata per la definizione di questo lavoro. L’incontro è stato condiviso dalla scrivente e due operatori dei cinque intervistati: l’operatrice dell’intervista n.3, assistente sociale e responsabile del progetto residenziali e l’operatore dell’intervista n.2, nonché coordinatore degli eventi, progetti e delle iniziative organizzate durante l’anno dall’associazione.

Per ogni punto di indagine sviluppato, ho avuto cura di spiegare i passaggi attraverso i quali ho cercato di rilevare ogni aspetto preso in causa. Ho motivato le domande che hanno composto l’intervista a loro somministrata e il complesso di risposte ricevute, coniugando il tutto con le testimonianze raccolte dagli altri due target, rispettando le interviste e chi si era raccontato. Avevo già ampiamento descritto l’argomento portante del lavoro, ma in questa occasione mi sono soffermata maggiormente su tutte le teorie comprovate, o prese come riferimento, al fine di restituire un quadro più chiaro possibile.

Iniziando dal definire la capacità di apertura, che ho tradotto in capacità di inclusione per gli attori sociali coinvolti (famiglie e volontari), ho restituito le conclusioni a cui sono arrivata attraverso ciò che hanno sostenuto nelle interviste, ovvero, che la possibilità di inclusione è alta, sia per l’uno che per l’altro target e che ciò è funzionale a fronte di un principio di cui essi stessi sono portavoce e su cui si stanno attivando maggiormente negli ultimi anni, ovvero l’inclusione dei ragazzi. Inoltre, uno schema inclusivo, poco rigido permette di alimentare quel passaparola tra i volontari, che altrimenti rischierebbe di diminuire, se sostenuto da poche persone, e ancora, ostacolare l’entrata del potenziale volontario, inibirebbe possibilità di cambiamento sul singolo e sulla sua comunità di appartenenza. Successivamente mi sono soffermata

111 sulle fonti che permettono la conoscenza dell’associazione ai volontari, facendo le dovute distinzioni tra volontari giovani e volontari adulti. Ho fatto lo stesso con le famiglie, soffermandomi anche sui relativi strumenti che permettono a questo target la conoscenza dell’AIPD. Entrando nel merito di quello che ho definito, avvalendomi di autori più autorevoli di me, capitale sociale imprevisto, l’operatrice ha sorriso, facendo notare che il passaggio di informazioni avvenisse nelle sale di attesa tra le famiglie e non con gli operatori dei servizi. Ho precisato che questo aspetto sarebbe stato impossibile determinarlo, perché nella ricerca, i servizi non sono stati coinvolti e le famiglie campione, intervistate, hanno una storia diversa e un ingresso articolato in vari modi, ma non attraverso servizi riabilitativi.

Solo in un caso specifico, i servizi, ovvero il reparto di Neonatologia si pone da ponte tra la famiglia n.3 e l’AIPD.

Successivamente sono entrata nel merito dell’evento della “Cena in Bianco” e ho riportato come gli strumenti di sponsorizzazione funzionino, e che ormai sia un incontro che la comunità aspetta, e quindi la consultazione del volantino, piuttosto che del “post” della pagina è più semplice, perché ci sono persone che prendono parte puntualmente ogni anno e quindi aspettano la notizia. Gran parte del capitale sociale generato in quella serata è rappresentato da individui che non vivono l’associazione ordinariamente e quindi ho rappresentato come, a differenza di ciò, alcune famiglie si astengono dal partecipare per decisioni di tutto rispetto come nel caso della famiglia n.1, e che scelgono di sostenere e supportare, ma da lontano. Ma questa non è la regola, perché, come visto dalle altre famiglie campione, si presenta una certa regolarità nella partecipazione. Il comune denominatore di queste famiglie è che, non solo tutte indistintamente si sentono “agenti attivi” dell’associazione, ma che in ogni caso, a prescindere dal loro punto di vista rispetto all’evento, rinforzano e stimolano l’adesione del figlio e lo aiutano nell’organizzazione di tutti gli accessori da portare durante la “Cena in Bianco”.

Per quanto riguarda la capacità di rendere note le attività interne, ho argomentato sulle difficoltà riscontrate sia nella prassi da parte degli operatori, i quali riescono a coniugare meglio la comunicazione interpersonale, soprattutto in setting di lavoro con altri professionisti, ma la stessa efficienza non si registra nell’utilizzo di altri strumenti

112 come i social, nello specifico la pagina facebook. L’operatore dell’intervista n.2, interessato da questa osservazione, ha incalzato, evidenziando come in effetti, i post usciti settimanalmente “quando va bene sono due!” e quindi ho continuato col dire, che in questo modo la conoscenza delle attività attraverso questo strumento risulta essere un po’ frammentata per chi guarda. Non si dà l’idea di una continuità. Il coordinatore inoltre continua col precisare che sulla base di quanto pubblicato, nota una tendenza particolare da parte di chi segue la pagina, a commentare, o a visualizzare soprattutto post che riguardano inserimenti lavorativi, quindi quelli in cui si mostra segni di maggiore autonomia dei ragazzi, o ancora, momenti che presentano cambiamenti importanti, come l’apertura dell’appartamento di Mezzana, di cui si è fatto riferimento in precedenza. Ho spiegato che un’associazione per generare capitale sociale, ha necessità di riconoscimento locale, soprattutto se non punta esclusivamente alla creazione di focus interno, in quel caso le intenzioni risulterebbero tendenzialmente autoreferenziali e sulla base dei fini associativi questo potrebbe risultare comunque sufficiente. Considerato ciò, ho aggiunto che dal mio punto di vista, questa associazione ricerchi il riconoscimento, ma come tante altre, soffre di un dislivello tra fini e mezzi. Mezzi intesi come risorse non solo economiche, ma anche capitale umano, comprovando quanto affermato dall’operatore n.2 nella sua intervista, in cui precisa che per sponsorizzare e promuovere all’esterno tutte le attività portate avanti dalla associazione, che sono numerose e cambiano di anno in anno, occorre un lavoro di molte più persone.

Rispetto invece, alla coesione interna nei gruppi dei ragazzi, ho spiegato come attraverso le loro interviste e quelle dei volontari, abbia potuto dedurre una piccola regolarità che si verifica attraverso la connessione positiva età- capacità di autonomie. Quando questa esiste, nel gruppo si sviluppa una maggiore abilità di gestione dei conflitti, quando invece è di segno negativo, il gruppo è più frammentato, l’intervento dell’operatore è più presente nella risoluzione del conflitto, ma anche nel sostegno di una comunicazione circolare tra i membri stessi. L’operatrice su questo punto, ha ascoltato interessata e ha convenuto che le dinamiche di alcuni gruppi sono riconducibili alla presenza di questa connessione, ma non tutti, trovandomi d’accordo. Per quanto riguarda l’ultimo aspetto che ho inteso rilevare, sulla capacità di dar letture

113 delle proprie esigenze e quindi palesarle in richieste di progetti, quindi, quella che ho definito capacità di autoreferenzialità dapprima da parte dei ragazzi, e poi delle famiglie, ho concluso dicendo che la seconda è molto presente e che riguarda tutti i progetti che non attengono ai corsi di autonomia e che nel primo caso, invece esiste sempre un filtro rappresentato da loro operatori o dalle famiglie stesse. Ho riportato il frammento dell’intervista n.5 della collega, che a mio parere ha dato luce alla complessità su questo aspetto e hanno convenuto che quanto sentito rappresentasse la miglior lettura di quella realtà associativa. Ho fornito una relazione con la stesura, di quanto riferito verbalmente così che, anche gli altri colleghi assenti, avessero la possibilità di prenderne atto, in seconda sede, e in allegato ad essi ho inserito le tabelle 1.2, 1.3,1.4, 1.5,1.6.

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CONCLUSIONI

Il capitale sociale ha, tra le sue qualità intrinseche, quella di vivere di una certa morale all’interno di un legame tra due o più persone (Putman,2000). In una realtà in cui due elementi, quali reciprocità e fiducia, rischiano di sparire, è più faticoso trovare punti di incontro senza che non si senta il bisogno di garanzie. Garanzie rappresentate da terze persone atte al controllo e alla tutela dei diritti e dei doveri (Marzano, 2012) o a protocolli definiti per favorire la standardizzazione, e il consenso generale. Le garanzie nascono dalla sfiducia per alimentare fiducia, venendo a creare in entrambi i casi due paradossi della stessa natura (ibid).

Nella società contemporanea, il capitale sociale fatica ad assumere un ruolo di lubrificante sociale, perché pratiche, quali la collaborazione e la cooperazione, sono avverse ad un andamento di tipo individualistico, che si applica nei processi mentali, i quali a loro volta, si pongono come guida delle condotte dell’uomo del XXI secolo. Soddisfare l’interesse personale non coincide sempre col contribuire al creare benessere di comunità (Smith,1995), e molte consuetudini individuali assumono vigore rispetto a quelle che comportano condivisione, sia nella rete formale, sia tra i legami informali. Infatti, svaniscono le cene a casa insieme alle uscite e alle attività di confronto di gruppo, dall’altro canto, la televisione monopolizza e la precarietà dei rapporti cresce (Putman,2000).

I poteri di tipo verticali, se non bilanciati adeguatamente da arene in cui l’individuo possa allenare le sue capacità di “animale sociale” e stimolare alle relazioni, restringono i modi di pensare e di pensarsi, non permettendo lo sviluppo di programmi politici efficienti sia sul piano teorico, ma soprattutto nella pianificazione e realizzazione degli output finali. Un buon governo nasce e cresce quando gli individui danno voce a se stessi, e tutti decidono di intendersi all’interno di un organismo, le cui parti funzionano insieme e non procedono sulla base di scelte autoreferenziali (Putman,1993).

Se le scelte individuali, sostituiscono quelle collettive, e le azioni sono singole e mai in armonia con le altre, la società è indotta a lasciare spazio a una morale ambigua, non guidata dalla franchezza (Marzano, 2012), ma dall’arroganza, in cui il superamento e

115 l’eliminazione dell’identità altrui, si prefigurano come possibilità da percorrere e aizzano ad arene alternative (mafia, sette..), che promuovono l’alienazione e non il riconoscimento dell’altro (Pizzorno,2001). La sfiducia verso il mancato buon governo, porterà a decidere di rivestire il ruolo di adepto di un’associazione antisociale. L’etichettamento deviante porta comunque a una sorta di identificazione di qualità e peculiarità sulla persona: così meglio essere un criminale, che un emarginato, alla cui esistenza non si attribuisce alcun valore.

Stimolare la costituzione di contesti tra pari, come le associazioni guidati da valori di natura positiva, porta all’assopimento delle priorità individuali, e parallelamente, alla nascita di riconoscimento che chiama altro riconoscimento e che apre la mente come un paracadute, così da evitare la standardizzazione, dando priorità a un’uguaglianza che concili con le differenze. L’uguaglianza delle differenze implica il principio secondo cui, tutti meritano di essere presi in carico dallo Stato (inteso come assetto centrale democratico per eccellenza) e da tutte le articolazioni periferiche (enti locali pubblici e privati) ed essere accompagnati in un percorso di cura e sostegno individuale. L’individualità è parte dell’unicità della persona, specialmente di chi, per varie ragioni, è diverso e come tale merita un trattamento cucito su misura.

La partecipazione associativa riporta alle consuetudini collettive erose dal tempo moderno, e crea legami. L’embeddedness e la ferialità (Putman,2000), contribuiscono alla sperimentazione del legame che, mantenuto con costanza, si sviluppa in modi sempre diversi, generando capitale imprevisto, dinamico, e processuale (Piselli,2001). Una sorta di panta rei del capitale sociale, in cui l’azione creatrice degli interlocutori cambia di continuo, perché per primi sono loro a cambiare e tutto è in divenire.

Le associazioni sono micro-organismi, che riflettono l’assetto democratico centrale, ovvero lo Stato. La stabilità auspicata fin dalla loro nascita è racchiusa in un lavoro strutturato che si insinua nella relazione tra mezzi e fini. Gli obiettivi e gli strumenti per raggiungerli infatti, racchiudono la sostanza delle associazioni, le quali altrimenti si perderebbero. I confini nascono come conseguenza di questa relazione continua. Il capitale sociale, che si pone come ingrediente trasversale, dona armonia tra i membri, divenendo regola di socializzazione proficua.

116 Nell’indagine empirica da me condotta, credo che molte delle teorie prese in causa siano state avvalorate. L’Associazione Italiana Persone Down di Pisa è un’organizzazione, composta da molteplici gruppi di età diverse e in quanto tale, crea capitale sociale dentro altro capitale sociale. Dai bambini agli adulti, tutti i membri che frequentano la sede, sono abituati ad allenare capacità di relazione, e a confrontarsi tra pari, stimolando lo sviluppo di autonomie e abilità. Si dimostra essere inclusiva verso gli attori sociali che la compongono, ponendo l’accento sulla reciprocità. Infatti, il volontario vorrà trarre il massimo dalla sua esperienza, tanto quanto il ragazzo con Sindrome di Down, dalla sua attività e appartenenza al gruppo di amici. D'altronde, la reciprocità previene l’isolamento, che nonostante le tutele normative, spesso ha luogo verso le famiglie con un componente in difficoltà.

Da quanto affrontato, lungo questo percorso di deduzioni e costatazioni, l’Associazione Italiana Persone Down di Pisa, è dotata di confini funzionali agli obiettivi educativi, e come molte associazioni combatte tra il divario che può esistere tra fini e mezzi a disposizione, risultando non sempre efficace sul piano comunicativo. Questa difficoltà vincola il riconoscimento sociale e locale, alterandolo. Infatti, se alcuni progetti sembrano per la comunità rappresentare un sintomo di deliberata autoreferenzialità associativa, in realtà in molti casi può essere frutto di un dislivello nella relazione mezzi-fini.

Gli autori approfonditi, che mi hanno guidato nella stesura di questa tesi, argomentano sull’immaterialità del capitale sociale, come suo aspetto principale, tanto da concepirlo come energia, il cui consumo, non porta mai al suo esaurimento, anzi al contrario, ne alimenta la crescita (Hirshman, 1984). Credo che, nonostante gli aspetti di processualità e dinamicità del capitale sociale guidino verso possibilità di un aumento di mobilitazione generale, esistano dei limiti, di natura contestuale che non sempre possono essere superati dalla forza creatrice del capitale sociale. Attualizzare il concetto di capitale sociale vuol dire arricchirlo di qualità che lo compongono e comprendere quali sono le nuove cause che lo determinano sulla base dei cambiamenti sociali. Ciò implica metterlo in relazione col tempo storico e le relative ristrettezze politiche, economiche, culturali e sociali che connotano la comunità in cui è collocato.

117 È pur vero, che questo lavoro non ha preso in causa l’associazione nella totalità delle sue iniziative, e il ridotto numero di intervistati, è solo una parte di tutto il complesso. Ritengo, che il processo mentale usato nella rilevazione discussa, sarebbe opportuno applicarlo non solo agli aspetti sviluppati, ma anche ai progetti di inserimento lavorativo, agli eventi quali la Giornata Nazionale e Mondiale della Sindrome di Down, e tanti altri, così da fornire un quadro più vicino alla realtà.

È doveroso da parte mia rilevare un ultimo aspetto a cui non intendo assolutamente conferire una natura deterministica, ma che si è riproposto durante le interviste somministrate ai diversi campioni. Attraverso le varie testimonianze, infatti, più volte sono state valorizzate le potenzialità dell’AIPD di Pisa e del territorio ospitante, a discapito di altre realtà citate che soffrono maggiormente di quelle ristrettezze sopra accennate, ma su cui su cui non voglio e non posso inoltrarmi.

Come detto questa rimane una osservazione a margine che conclude questa ricerca, con l’augurio che l’Associazione Italiana Persone Down possa sfruttare al meglio queste potenzialità, in alcuni casi ancora inespresse, che come si vede, in molti, gli hanno già riconosciuto.

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