Al momento in cui la quarta volontaria si racconta, era partecipe dell’associazione da sole 3 settimane, ma comunque è stata capace di dare una lucida lettura delle dinamiche interne del gruppo in cui è stata collocata, ovvero quello del lunedì.
È venuta a conoscenza dell’associazione grazie ai riferimenti inseriti su “spotted:unipi”, probabilmente da parte della conoscente riportata nel racconto dell’intervista dell’operatrice n. 4. Conoscente, che frequenta sporadicamente
94 l’associazione e che spesso fa da tramite nel reperimento di potenziali volontari. La ragazza, quindi a quel punto, si è incuriosita e autonomamente si è fatta avanti all’AIPD. Ha preso parte al primo colloquio conoscitivo e in seguito è stata inserita nel gruppo nella seconda settimana di ottobre, quando le attività erano già iniziate.
Sulle dinamiche di gruppo racconta di non essere stata partecipe di episodi palesemente conflittuali, ma è capitato di assistere invece, a comportamenti evitanti, in segno di protesta da parte di un singolo.
Volon.: Comportamenti plateali no. Magari c’è stato un ragazzo che è sulle sue, e quindi
la sua opposizione non nasce tanto parlando, ma dal non parlare, dal girarsi e non voler ascoltare quello che dicono gli altri, allora lì, entra in gioco l’operatrice che cerca di incitarlo ad ascoltare. Mi ha colpito che questo ragazzo sia calabrese, che sia venuto a Pisa da grande e ho pensato che magari, a differenza degli altri ragazzi, non è stato seguito fin da piccolo e questo fa tanto.
Inter.: Gli altri componenti del gruppo, come reagiscono? Tentano di fare gruppo con lui? Volon.: No, assolutamente. Tra di loro sono amici, però nel momento che uno si esclude e
l’operatrice cerca di tirarlo dentro, non ho notato da parte loro un interesse nel coinvolgerlo, preferiscono viversi la loro felicità di gruppo.
Inter.: Quindi assecondano una tendenza che ha questa persona ad emarginarsi. Volon.: Sì, esatto.
Nel frammento di questa intervista emerge il racconto di un ragazzo calabrese entrato in associazione già in età adulta. Probabilmente è componente di una di quelle famiglie di cui le operatrici delle interviste 1 e 5, riferiscono, come nuclei che si sono spostati, per offrire maggiori possibilità ai propri figli.
Tra l’altro questa è una scelta che la volontaria comprende bene, perché tra le motivazioni che l’hanno spinta a voler fare volontariato in quel setting invece che in un altro, spiega:
Volon.: In famiglia ho una persona affetta da Sindrome di Down che ha più di 45 anni,
vive a Reggio Calabria, come la mia famiglia, e io sono nata che lei già c’era e non ho mai ben capito che cosa fosse la Sindrome di Down da piccola. Io effettivamente l’ho capito da grande, perché a casa mia non veniva spiegato, si faceva finta di niente.
Notavo che tanti comportamenti di mia cugina non erano propriamente educati, però lei veniva sempre giustificata. Crescendo ho capito che magari, se avesse potuto partecipare
95
ad attività come quelle dell’associazione di Pisa, magari la sua vita sarebbe stata, forse migliore, e anche quella della famiglia. Quindi per questo, mi hanno emozionato nel vedere tutto l’impegno e l’aiuto che danno alle famiglie e ho pensato a come sarebbe stato bello se anche a casa mia ci fosse stata questa realtà.
Riferisce di non aver mai partecipato all’evento della “Cena in Bianco”, e che ne ha sentito parlare vagamente ancor prima di entrare in contatto con l’associazione, da altri studenti che hanno partecipato in edizioni passate e che «non ne sono usciti troppo entusiasti».
Nella quinta e ultima intervista, raccolta telefonicamente, la volontaria racconta di essere stata dapprima tirocinante dell’AIPD, inserendosi nel mese di marzo, di aver terminato il suo percorso a fine maggio e di aver continuato comunque a frequentare la sede, assecondando un suo desiderio di continuità formativa e affettiva. Da tirocinante è entrata a far parte del gruppo degli “Esploratori” e “Fare Centro”. Attualmente, da volontaria, è stata trattenuta solo nel primo gruppo.
Rispetto al gruppo degli adulti di “Fare Centro”, mi riferisce che ce ne sono più di uno e che le reazioni verso chi adotta comportamenti poco corretti e rispettosi, cambiano in base al gruppo e alla persona protagonista di quelle condotte.
Inter.: Hai mai assistito a situazioni in cui un membro del gruppo non si comportasse in
maniera corretta, contravvenendo magari alle norme tradizionali di socializzazione e rispetto e che reazioni assumevano gli altri?
Volon.: Ti racconto di una ragazza che spesso aveva l’esigenza di sentirsi al centro
dell’attenzione dell’operatore o degli amici. Quando non riusciva a soddisfare questa sua esigenza allora iniziava ad essere un po’ più violenta sia verso l’operatore che verso i compagni. Nel suo caso, la reazione dei compagni era quella di chiudersi a riccio.
In altre occasioni invece ho assistito ad un ragazzo che se veniva offeso da qualcun altro, iniziava anche lui ad innervosirsi, però nei confronti di questo, gli amici cercavano di tranquillizzarlo, scusandosi anche.. quindi dipende dal gruppo e dalla persona che sta facendo quell’azione.
Inter.: Nel primo caso che mi hai raccontato, hai mai assistito a una reazione di
emarginazione?
Volon.: Sì, mi è capitato in qualche weekend che abbiamo fatto col gruppo “Fare Centro”,
96
iniziavano a preoccuparsi, oppure nel momento in cui arrivava magari si spostavano in un’altra stanza, cercavano di sedersi lontani.
Da quest’ultimo frammento offertomi, si evidenzia come la coesione di gruppo vari in base ai componenti dell’aggregato. Alcune reazioni sono chiaramente orientate all’emarginazione per una salvaguardia personale, fino a tentativi di allineamento spontaneo da parte di alcuni elementi del gruppo per rinforzare una identità comune.