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Brigate rosse: una storia italiana

Per il modo in cui è costruito possiamo definire Brigate rosse: una storia italiana un libro-intervista196. I fatti che vengono narrati infatti sono il frutto delle risposte di Moretti alle domande che gli vengono poste dalla Rossanda e dalla Mosca. Non vi sono dunque digressioni delle due autrici ad interrompere il racconto dell’ex capo delle BR.

Il libro è articolato in otto capitoli, ognuno dei quali tratta un periodo ben preciso dell’esperienza brigatista di Moretti. I primi si soffermano sulla nascita

193 Ibid. 194 Ivi. p. 217. 195 Ibid.

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dell’organizzazione e sulle ideologie che hanno spinto un gruppo di colleghi e amici a intraprendere un percorso violento, che sarebbe sfociato nella lotta contro le istituzioni; la parte centrale approfondisce la vicenda legata al sequestro di Aldo Moro e al periodo successivo all’omicidio, che segnerà l’inizio del declino dell’organizzazione; gli ultimi capitoli raccontano della fine dell’unità delle BR e

del documento che ne sancisce lo scioglimento. Ma procediamo con ordine.

Mario Moretti nasce a Porto San Giorgio, un piccolo comune delle Marche, da una famiglia poco agiata. Il padre «votava comunista […] ma in quel periodo e da quelle parti la gente si sentiva soprattutto antifascista»197. Grazie all’aiuto di una ricca signora, la marchesa Casati di Milano, riesce a portare a termine gli studi per conseguire il diploma di perito in telecomunicazioni198. Dopo qualche mese si

trasferisce nel capoluogo lombardo, dove trova occupazione in una società di impianti telefonici. La politica lo inizia ad appassionare poco più tardi, quando si trasferisce alla Siemens, la fabbrica dove Moretti lavora come tecnico, e quando ha modo di dibattere con gli operai. Siamo alla fine degli anni Sessanta e si percepisce già un clima diverso all’interno delle grandi aziende. Le contestazioni operaie si moltiplicano di giorno in giorno e Moretti si interessa ai motivi che ne stanno alla base:

È là che un giorno nel reparto dove lavoravo – un reparto di collaudo, eravamo tutti tecnici – vedo irrompere un gruppo di scalmanati: gridano contro i padroni, non hanno l’area di avercela con noi, io poi sono sicuro di non essere un padrone. Alla fine usciamo assieme e ci mettiamo a discutere nel cortile. Io non ci sto a farmi determinare dalla vita,

197 MORETTI-MOSCA-ROSSANDA 1998,p.3. 198 Ivi, p. 4.

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voglio capire il perché delle cose, perché quegli operai protestano, domandano, esigono. In quegli anni è come se nella testa di ciascuno di noi scattasse una molla. E per farla scattare bastava un episodio come questo e anche meno199.

Siamo dunque negli anni più significativi della contestazione che vede protagonisti oltre agli operai anche gli studenti. Dunque episodi apparentemente insignificanti possono trasformarsi nell’inizio di qualcosa di importante.

Un altro momento degno di nota per Moretti, nella vita privata questa volta, è il trasferimento nella Comune di Piazza Stuparich a Milano, che diviene uno dei luoghi di maggiore aggregazione per le nascenti BR:

La Comune di Piazza Stuparich […] diventa un punto di incontro, quasi tutti i compagni milanesi che poi hanno militato nelle Brigate rosse ci sono passati almeno una volta, magari solo per mangiare il risotto200.

È in questo periodo che Moretti incontra le persone con cui condividerà parte dell’esperienza nelle BR, ovvero Renato Curcio e Margherita Cagol201. Solo dopo

l’arresto del primo e la morte della seconda Moretti avrà un ruolo nel direttivo delle Brigate rosse, imprimendo una svolta più militaristica che ideologica. La storia dell’organizzazione ha origine negli ultimi mesi del 1969. Il contesto storico in cui nascono è tra i più agitati dell’era repubblicana a causa degli scioperi e delle

199 Ivi, p. 5. 200 Ivi, p. 13 201 Ivi, p. 14.

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tensioni sociali per i contatti lavorativi di metalmeccanici, edili e chimici202. Il 16 aprile del ’70 viene diffuso questo comunicato:

È nata una nuova resistenza di massa, è nata la ribellione operaia al padrone e alla Stato dei padroni, è nata la ribellione all’imperialismo straniero, è nata la ribellione delle popolazioni, delle classi lavoratrici del Sud. Sono nate le Brigate rosse […] La via delle riforme, la via della rivoluzione comunista, la via della liberazione definitiva del proletariato e dai lavoratori italiani dalla dominazione e dallo sfruttamento del capitale italiano e straniero comporta una lunga e dura guerra203.

A dar vita all’organizzazione sono Renato Curcio, Alberto Franceschini e Margherita Cagol, che come affermato da Curcio sono d’accordo «sull’esigenza di risolvere le contraddizioni dentro la Sinistra proletaria dove gli orientamenti divergevano in modo ormai insanabile con la discussione sulla necessità di passare a nuove forme di lotta più incisive e clandestine»204.

L’intervista a Moretti prosegue col racconto delle prime azioni: una rapina in banca per il finanziamento dell’organizzazione (mai rivendicata tra l’altro) e il rapimento dell’ingegner Macchiarini, dirigente della Siemens. Un anno particolarmente significativo è il 1972: le forze dell’ordine ormai sono sulle tracce

dei brigatisti e arrivano a scoprire una base in via Boiardo a Milano. Moretti riesce a cavarsela assistito anche dalla fortuna:

202 GALLI 2004, p. 7. 203 ZAVOLI 2015, p. 71 204 GALLI 2004, p. 11.

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Mi ha salvato Enzo Tortora. Arrivo sulla meravigliosa 500 blu di mia moglie, intontito dal sonno, e mentre la parcheggio fra due macchine davanti alla base, qualcosa mi scatta dentro, c’è qualcosa che non va. […] Polizia. Non penso che sia lì per noi, vicino c’è una piazzetta in cui fanno un po’ di traffico di sigarette. […] Comunque mi dirigo dalla parte opposta della strada, e aspetto, tenendo d’occhio i due che ho individuato come poliziotti. È la prima volta che mi accorgo di questa polizia: non è quella delle manifestazioni […] arriva Tortora con una troupe della TV […] e si appoggia proprio sul tetto della mia 500 per scrivere qualcosa su un taccuino. Chiedo a una vecchina: ma che succede? E lei: hanno trovato uno scantinato pieno di armi. Tutto quel trambusto era per noi, la frittata è fatta, devo andarmene alla svelta205.

La polizia individuerà più tardi la macchina e Moretti sarà costretto a entrare in clandestinità. Nonostante questo, l’organizzazione ormai è una realtà affermata, tanto che negli anni successivi si insedia in altre regioni dell’Italia settentrionale, ovvero il Veneto e la Liguria. Ed è proprio da Genova che parte «l’attacco allo Stato» con il sequestro del giudice Sossi:

È la prima grande azione armata contro lo Stato e ha un grandissimo effetto. È uno scontro reale, vissuto, visibile, piccolo ma emblematico, con lo Stato vero, con la magistratura, con la polizia, con i carabinieri. Affascina molti, ha un’eco straordinaria nella stampa. […] È con Sossi che conquistiamo il terreno dei media. E poi in quel sequestro c’è, secondo me, quasi tutto quello che caratterizzerà le azioni future, compresi i limiti206.

Moretti non partecipa al rapimento del giudice, ma fornisce un aneddoto molto interessante riguardo all’episodio:

205 MORETTI-MOSCA-ROSSANDA 1998,p.29. 206 Ivi, p. 66.

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Margherita (Cagol), sola, doveva precedere a distanza l’auto in cui veniva trasportato Sossi, con un walkie-talkie per segnalare un eventuale posto di blocco. E infatti dalle parti di Tortona incrocia una pattuglia locale. Come al solito il walkie-talkie non funziona, a Margherita non resta che fermarsi e farsi controllare per dare la possibilità alla macchina che la segue di forzare il blocco. Infatti va così, i compagni che guidano la macchina con Sossi vedono Margherita ferma con la polizia e sfrecciano avanti; sono convinti che Margherita sia arrestata, c’erano delle armi sul sedile posteriore. Invece i carabinieri, disorientati dall’auto che forza il blocco, si attaccano al radio-telefono e lasciano andare Margherita senza perquisirla. Lei riparte […] cercando di raggiungere i compagni, ma questi, a notte fonda, vedendo due fari che gli corrono dietro pensano che sia la polizia. […] Si fermano […] e appena compare la macchina di Margherita la crivellano di colpi. È un miracolo che sia rimasta illesa207.

L’operazione dunque viene portata al termine, non senza intoppi. Il giudice viene liberato in cambio della promessa di rivedere la posizione dei prigionieri del gruppo «XXII Ottobre»208. Tuttavia, dopo il rilascio, il procuratore Coco si rifiuterà di rispettare l’accordo e verrà ucciso due anni dopo, nel 1976.

I due anni che vanno dal sequestro Sossi all’uccisione di Coco sono ricchi di colpi di scena. Le BR infatti perdono due pedine fondamentali come Renato Curcio e Alberto Franceschini, che vengono arrestati grazie alla collaborazione di Silvano Girotto, detto Frate Mitra, che era riuscito a infiltrarsi nell’organizzazione. Moretti riesce a scampare all’arresto perché riceve una chiamata che lo avvisa del

tradimento, ma nonostante ciò non farà in tempo ad avvisare i compagni:

207 Ivi, p. 68.

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Il giorno prima dell’arresto, era un sabato, Curcio, Franceschini ed io teniamo una riunione del Nazionale in una base a Parma. […] Terminiamo nel tardo pomeriggio. Io me ne vado per primo, tornando a Milano. Curcio mi dice che resterà a dormire a Parma per andare a Pinerolo la mattina dopo a incontrare Girotto. Franceschini ripartirà per Roma la stessa sera. Arrivo a Milano e trovo ad aspettarmi Attilio Casaletti, “Nanni”, che mi fa: guarda […] è arrivata la notizia che un compagno di Torino ha ricevuto una telefonata anonima in cui si avverte che domenica Curcio verrà arrestato a Pinerolo. […] Risalgo in macchina e con Nanni mi precipito a Parma dove c’è Curcio. […] Dobbiamo avvertirlo assolutamente. […] Rimaniamo a Parma fino all’alba e quando siamo certi che Curcio lì non c’è andiamo sulla strada per Pinerolo. […] Non lo vediamo […] o ha saltato l’appuntamento o ha fatto un’altra strada, e in questo caso la frittata è fatta. […] Franceschini non avrebbe dovuto essere su quella macchina, avrebbe dovuto ripartire per Roma ed esserci già arrivato209.

Ma oltre agli arrestati le BR perdono anche “Mara” Cagol, uccisa in uno scontro a fuoco con i carabinieri che avevano scoperto la cascina dove veniva tenuto in ostaggio Vittorio Vallarino Gancia, l’industriale piemontese rapito al solo scopo di finanziare l’organizzazione. La questione del bilancio si era fatta seria e le BR avevano bisogno di denaro per far fronte alle numerose spese. La morte di Margherita è un duro colpo per il gruppo, e anche Moretti ne parla con molto dolore. L’azione dei carabinieri era del tutto casuale, visto che stavano eseguendo dei controlli a vasto raggio, ma i terroristi presi alla sprovvista non riescono a mantenere la calma:

Mara e l’altro compagno […] tardano ad aprire, si crea un certo trambusto, i carabinieri si insospettiscono, uno rimane davanti alla porta mentre gli altri due si defilano e si appostano. A questo punto sono incastrati […] Margherita è la prima e le arriva addosso la raffica del carabiniere appostato. È ferita, ma riesce a raggiungere la sua macchina e a

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salirvi. Anche il compagno riesce ad arrivare alla seconda macchina. Ma Margherita non ce la fa a guidare, dopo pochi metri lo tampona e finiscono fuori strada. […] Tentarono di scappare a piedi. Margherita era ferita, non ce la faceva a correre e neppure a camminare, rimase in quel prato. Soltanto il carabiniere che le arrivò addosso può dire se è stata finita volutamente o avrebbe potuto sopravvivere. […] Margherita era molto importante per me, lo era per l’organizzazione, lo era per i compagni con cui viveva. “Ci sono morti delle morti che pesano come una piuma ed altre che pesano come montagne…”210.

Nonostante le uccisioni e gli arresti le BR non arretrano, anzi si preparano a quella che diverrà la loro azione più importante: il sequestro di Aldo Moro. Moretti si sposta dunque a Roma dove ad attenderlo ci sono i compagni della colonna romana «non più di dieci e non meno di sei i militanti regolari, cioè quelli clandestini»211. La preparazione del sequestro dura circa cinque mesi in cui i brigatisti studiano le abitudini di Moro e mettono a punto un piano dettagliato per evitarne il fallimento. Poi il 16 marzo 1978 si passa all’azione: Moro e la scorta vengono colti di sorpresa, e i brigatisti riescono a rapire il presidente della DC. L’onorevole viene condotto nell’appartamento di via Montalcini, dove secondo Moretti rimane per cinquantacinque giorni

Avevamo cercato un appartamento con alcune caratteristiche, poche, ma tassative. Primo, doveva avere un garage interno, sotterraneo, dove ogni inquilino avesse un suo box con tanto di saracinesca, e dal quale si potesse salire con poche scale. […] Occorreva che nel garage si potesse sostare qualche ora, se necessario. Secondo, l’appartamento doveva essere abbastanza grande da poter ricavare da una delle stanze un’intercapedine che non ne alterasse vistosamente le proporzioni, il box dove avremmo tenuto Moro212.

210 Ivi, pp. 93-94. 211 Ivi, p. 124. 212 Ivi, p. 132.

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L’appartamento è intestato ad Anna Laura Braghetti (incensurata in quel momento) e all’ingegner Altobelli, ovvero Germano Maccari che verrà arrestato a Roma nel 1993, ben quindici anni dopo il sequestro. Moretti definisce la Braghetti come «formidabile, sa unire le regole della clandestinità con un suo modo di prendersi cura delle persone che le attira simpatie dovunque»213.

Durante il periodo della prigionia, Moretti racconta di un Moro che scrive molto e legge la Bibbia. Si appella inoltre alle BR perché lo lascino andare, ma non è una preghiera214. Poi arriva la confessione dell’ex capo brigatista: è stato lui ad uccidere Moro, contrariamente a quanto si era pensato fino a quel momento. E alla domanda della Mosca riguardo al numero di colpi sparati, Moretti risponde «tutti e nove col silenziatore. Guarda che stai riaprendo una ferita tremenda, Carla»215.

In questa frase probabilmente si concentrano tutti i rimorsi di coscienza di un uomo che dopo tredici anni di carcere per la prima volta stava rivelando una delle più importanti verità che fino a quel momento erano rimaste nascoste.

L’ultima fase del libro è dedicata agli ultimi anni di latitanza di Moretti. Sembra

un paradosso, ma compiuto il gesto più eclatante inizia il declino per le Brigate rosse. L’ex terrorista prova a spiegarne le motivazioni partendo ancora una volta dal caso Moro:

È stata un’azione clamorosa, l’hanno seguita da tutto il mondo, abbiamo tenuto in scacco lo Stato. Sembriamo, e operativamente siamo, imbattibili. Ma avevamo sequestrato Moro per aprire una dinamica nel fronte politico, riaprire il conflitto fra sinistra e governo, e

213 Ivi, p. 135. 214 Ivi, p. 156. 215 Ivi, p. 169.

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non è andata così. A metà del 1978 ci troviamo al massimo della forza e di fronte a strettoie e dilemmi politici che non supereremo più sino alla fine delle BR216.

Il problema è dunque di natura politica e non strategica. L’organizzazione, secondo Moretti, si aspettava una riflessione all’interno della sinistra (soprattutto

nel PCI) che analizzasse l’accaduto, per dare vita a una svolta politica che nulla doveva avere a che fare con il «compromesso storico» che Moro e Berlinguer stavano promuovendo.

Intanto però i controlli e gli arresti si moltiplicano. La colonna milanese è disgregata e solo nel 1980 verrà ricostruita, prendendo il nome di Walter Alasia, brigatista ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Proprio con la neonata colonna nascono delle frizioni dovute alle diverse idee sul da farsi, che porteranno all’espulsione del gruppo dalle Brigate Rosse. Moretti era convinto che ogni sorta di divisione avrebbe portato alla fine dell’organizzazione, ma è costretto ad arrendersi di fronte alle azione della Walter Alasia:

Ci divide il fatto che la Walter Alasia comincia a far azioni per conto suo. Si può capire se c’è chi pensa che la difficoltà che abbiamo venga semplicemente da una cattiva direzione, che sarebbe la mia, dei compagni a me più vicini. […] Ma va messo in chiaro che operano per conto loro, sono responsabilità grosse. Siamo le BR, non uno dei tanti gruppi. Qualunque cosa facciamo, comprese le cazzate, la rivendichiamo. Ma che siano nostre217.

216 Ivi, p. 178. 217 Ivi, pp. 219-220.

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Prima dell’arresto, avvenuto il 4 aprile del 1981, Moretti è protagonista del sequestro del magistrato Giovanni D’Urso. Il giudice viene rapito per la questione relativa alle pessime condizioni dei carcerati. Il «fronte della fermezza» questa volta si spacca e la pazienza dei brigatisti paga e D’Urso viene liberato218 in

cambio della chiusura del carcere dell’Asinara.

Con l’arresto di Moretti ormai tutti gli esponenti di spicco dell’organizzazione sono stati arrestati. Per le BR, lacerate anche dalle lotte interne, è la fine. Qualche anno dopo, su iniziativa dei terroristi Curcio, Iannelli, Bertolazzi e dello stesso Moretti viene pubblicata una lettera in cui l’esperienza delle Brigate rosse si dichiara chiusa219. Non c’erano più le basi per la prosecuzionedella lotta che per più di un decennio aveva riempito le pagine di cronaca dei giornali italiani.

5.2.1. I protagonisti del libro-intervista: Rossana Rossanda e

Mario Moretti

Come detto, in un’intervista si viene a creare un rapporto molto particolare tra intervistato ed intervistatore che è basilare per la realizzazione del lavoro. Per questo motivo è importante capire e conoscere la storia dei protagonisti per avere un’idea riguardo alle posizioni che manterranno all’interno del confronto.

Fin dalla prefazione del libro capiamo subito che il rapporto tra le giornaliste e l’intervistato è molto informale e di grande rispetto reciproco. È Moretti che le

218 Ivi, p. 222. 219 Ivi, p. 253.

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sceglie per rilasciare la sua prima intervista da quando è stato arrestato. L’ex capo delle BR è un uomo molto fedele ai suoi princìpi; non ha mai collaborato con i giudici ed è molto critico nei confronti dei compagni pentiti e dissociati, specialmente con i secondi in quanto «scelgono di collocare la nostra storia fuori dalla storia»220. La dissociazione è per Moretti la distruzione di un’identità collettiva e fugge dalle responsabilità politiche per andare incontro a benefici di natura personale221. Siamo di fronte quindi a un uomo che non rinnega il suo passato, anzi è convinto di aver combattuto una guerra politica, che ha perso ma che deve suscitare nella classe dirigente e nelle nuove generazioni una riflessione sulle motivazioni che sono state alla base del fenomeno delle BR.

Dall’altro lato c’è però Rossana Rossanda, una personalità molto importante della sinistra del tempo, che era stata molto critica col PCI tanto da esserne espulsa nel 1969.

La Rossanda aveva combattuto in prima linea durante la seconda guerra mondiale, a fianco dei partigiani. Nell’immediato dopoguerra aveva preso la tessera del Partito comunista italiano nonostante molti dubbi la inquietassero. Pensava, già nel 1948, che il PCI avesse bisogno di essere ridimensionato: era necessario prendere una posizione forte riguardo a quello che stava avvenendo nell’est dell’Europa e in Unione Sovietica. Gli italiani alle elezioni si sarebbero trovati di fronte a una scelta, ovvero tra un’Italia progressista o un Paese democristiano. Il questo clima la DC decide di giocare sulla paura degli italiani, attraverso

220 Ivi, p. 250. 221 Ibid.

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discussioni sulle violenze che il comunismo ha provocato a Praga, e il silenzio del PCI non fa altro che dare credito a quelle tesi222, accrescendo così le dimensioni della polemica della Rossanda all’interno del partito. Dieci anni dopo i dubbi sulla politica portata avanti dal PCI sono sempre più forti:

Mi trovai nel comitato centrale e mi venne da pensare: «Da qui non si esce senza tragedie». Ancora una volta rimandai, anche se sempre più scettica, i miei conti interni, il più fastidioso dei quali era che sarei rimasta una mezza calzetta […] ma non si abbandonava il partito perché era stato sconfitto anzi barcollava ancora sotto la botta del 1948223.

Rossanda inoltre lamenta la mancanza di una sinistra al di fuori del PCI, in quanto il PSIUP era guardato dai comunisti con sospetto, e il PSI nemmeno considerato viste le polemiche degli anni precedenti224.

Con lo scoppio delle rivolte del 1968 la polemica all’interno del partito arriva al culmine. La Rossanda dichiara che «il PCI non era in grado di riflettere su quel che avveniva nel mondo, nei Paesi terzi, nella formazione delle borghesie nazionali»225.

L’anno dopo nasce Il manifesto che oltre ad essere un quotidiano diviene anche una formazione politica della sinistra, alternativa al PCI. L’esperienza politica di Rossana Rossanda nel partito comunista si era conclusa. In quell’anno infatti le