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I diversi stili dell’opera: la narrazione dei fatti e le interviste

La versione scritta della Notte della Repubblica, al suo interno, raccoglie una grandissima quantità di documenti. Zavoli sottolinea nella presentazione del testo, dopo aver ringraziato i suoi colleghi redattori, il grande lavoro che era stato compiuto proprio nella ricerca dei documenti, e l’attenzione che ci volle nel controllarli attentamente per offrire al lettore un testo (e un programma televisivo) che fosse quanto più chiaro possibile. Siamo dunque in presenza di una situazione molto delicata, in cui le parole di «chi c’era»75 dovevano essere accompagnate da

prove vere e proprie; e infatti, da questo punto di vista, l’autore è molto preciso e pignolo nella trascrizione di atti giudiziari, sentenze e capi d’accusa che interessarono i protagonisti di quegli anni. L’obiettivo era quello di fornire una ricostruzione quanto più possibile fedele dei fatti. Nonostante questo, Zavoli,

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cosciente del suo ruolo, fa un’importante precisazione riguardo la narrazione degli episodi in questione: cercherà il più possibile di attenersi alla storia e alla realtà, ma sa benissimo che in determinate situazioni risulterà essere schierato e parziale, sfuggendo così dal suo ruolo super partes.

Uno dei motivi per cui La notte della Repubblica ebbe un grande successofu il fatto che poteva contare su testimoni viventi; il racconto dei protagonisti favorì, e non poco, il successo del lavoro di Zavoli, che qualche anno prima si era cimentato in un progetto simile chiamato Nascita di una dittatura, in cui aveva ripercorso i momenti cardine che avevano portato Benito Mussolini e il partito fascista ad avere il controllo politico dell’Italia. Il progetto fu molto impegnativo e vide anche la collaborazione, tra gli altri, di Renzo De Felice, uno dei massimi studiosi del fascismo. Nascita di una dittatura, tuttavia, non poteva contare su un numero alto di testimoni viventi, come fu per La notte della Repubblica. E sul successo del futuro lavoro di Zavoli lo stesso De Felice sottolineò «la stanchezza delle verità rivelate, delle spiegazioni unilaterali» e in relazione alle fonti orali aggiunse che

hanno un valore documentario che travalica di molto i confini della divulgazione storica e sconfina spesso in quello della documentazione vera e propria […] Da qui la loro importanza e da qui l’opportunità di consegnarle con precisione alle stampe in maniera di metterle definitivamente a disposizione degli storici attuali e futuri76

I momenti delle interviste ai testimoni, pertanto, risultano essere carichi di

tensione e sono il giusto completamento della narrazione dei singoli episodi.

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Zavoli è molto diretto nelle domande, cerca di raccogliere quanti più dettagli possibili, per fornire una versione quanto più veritiera su eventi che tutt’ora nascondono dei lati oscuri.

Proprio per rimanere fedele a questo tipo di impostazione, la narrazione non segue sempre lo stesso schema. I capitoli mantengono sì un ordine cronologico, ma la struttura tende a cambiare in base alle esigenze narrative. Il motivo è attribuibile alla numerosa documentazione in possesso dell’autore: Zavoli effettivamente poteva decidere quando raccontare gli episodi, quando inserire le interviste e quando fare un salto indietro per presentare un nuovo protagonista o ricordare determinate situazioni. Per avere un’idea di tutto ciò è utile affidarsi, come esempio, ai tre capitoli che l’autore dedica alla tragedia di Aldo Moro77: questi

non seguono lo stesso schema, ma procedono diversamente. Il capitolo XI (il primo dedicato a Moro) si apre con la trascrizione di un documento audiovisivo del Tg1 che racconta quanto accaduto in via Fani. L’autore trascrive per intero gli interventi di Paolo Frajese e Giuseppe Marrazzo, rispettivamente del Tg1 e del Tg2, andate in onda sulla RAI78. Ecco un estratto del pezzo di Frajese:

Ecco la macchina con i corpi degli agenti che facevano parte della scorta dell’on. Moro, coperti da un telo… Vi sono due uomini sulla 130 […] Sono quattro morti più un ferito, mi dice un collega, e l’on. Moro è stato rapito. Sembra, mi dice ancora questo collega, che ringrazio,…sembra che ci sia anche un ferito… guardate i colpi… puoi andare più sulla portiera per piacere?...guardate i colpi sparati evidentemente con mitra […] Ecco per terra ancora… andiamo qui a destra per piacere… i bossoli…vedete, e poi…ancora a destra… vediamo la borsa, evidentemente la borsa di Moro e il berretto di un… di un…

77 Ivi, pp. 269-364. 78 Ivi, pp. 270-271.

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non si capisce cosa sia, sembra di un pilota… sembrerebbe, no un berretto probabilmente di un metronotte, sembra forse un berretto dell’Alitalia, ma no, l’Alitalia non ha quei gradi…

Quello che colpisce non è la trascrizione in sé, ma il fatto che questi documenti si presentino nella loro forma grezza (Frajese ad, esempio si rivolge al cameraman chiedendo di avvicinarsi alla portiera dell’auto), senza alcuna modifica, per trasmettere al lettore quel il clima di tensione che si respirava in quell’istante. La narrazione procede con il racconto delle dinamiche politiche che l’attentato aveva mosso. A seguire vengono inserite nel testo le dichiarazioni degli esponenti politici in merito al fatto; si ritorna poi al racconto vero e proprio degli eventi, approfondendo nello specifico le contromisure attuate dal governo per liberare l’onorevole Moro. A fine capitolo, Zavoli inserisce l’intervista all’ex brigatista Franco Bonisoli riguardo al sequestro e al pedinamento dell’allora presidente della DC. Anche in questo caso, il documento è riportato nella sua forma originale, specialmente nel momento in cui l’intervistato chiede di poter interrompere la registrazione

Zavoli: «Lei ha sparato quel giorno? Quanti colpi?» Bonisoli: «Non ricordo… un caricatore»

Zavoli: «Su chi?»

Bonisoli: «… ci possiamo fermare?» Zavoli: «Sì certo…»

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Il capitolo XII segue in generale la struttura del precedente: il racconto procede dopo il sequestro, e l’autore spesso interrompe la narrazione per dar spazio alle parole dei protagonisti e ai documenti dei telegiornali. La conclusione del capitolo è dedicata alle parole di Mario Moretti, capo delle BR al momento del sequestro. Il capitolo XIII, rispetto ai due precedenti, risulta essere strutturato in maniera diversa. Zavoli inizia non come di solito, ma con le interviste a Corrado Alunni, Alfredo Bonavita, Enrico Fenzi, Paolo Besuschio, Mario Ferrandi e Alberto Franceschini, tutti appartenenti alle BR ma in carcere al momento dell’uccisione dell’onorevole Moro. Segue un’altra intervista, all’onorevole Zaccagnini, segretario della DC all’epoca dei fatti. La parte narrativa dunque non apre come di

solito il capitolo ma risulta anzi esigua, per dare spazio alle voci dei protagonisti che raccontavano le importanti conseguenze che l’uccisione di Moro aveva avuto. Attraverso questo esempio ci rendiamo conto delle peculiarità del testo: l’autore, non seguendo sempre lo stesso schema nella stesura dei capitoli, provoca sorpresa nel suo pubblico che non sa mai cosa aspettarsi nel corso della narrazione. Nonostante una struttura complessa, il linguaggio rimane quello tipico del giornalismo televisivo: chiaro, efficace e ricco di espressioni gergali, per favorire la comprensione degli argomenti a una fascia di pubblico ampia. Ecco un esempio:

Il dramma di Aldo Moro è anche l’incubo di un Paese tenuto in scacco, si direbbe, dalle Brigate rosse. L’incubo durerà 55 giorni, in una estenuante altalena di speranza e conforto, ultimatum e appelli, tentativi di dialogo e irrigidimenti79.

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Zavoli fa riferimento ad un Paese tenuto in scacco, ed a un’altalena di speranza e conforto, espressioni popolari che hanno però la capacità di rendere l’idea del clima che si respirava in quei giorni.

Tornando invece alla struttura del reportage, lo stesso Zavoli fa una premessa nell’introduzione:

Per procedere insieme con i protagonisti e i testimoni degli avvenimenti, parte rilevante, caratteristica e originale della ricostruzione sono i loro racconti […] non sono parentesi, mere illustrazioni del racconto, ma componenti dell’impianto narrativo, ciascuna con la sua necessità. La struttura […] è quella della scena antica: il messo che annuncia, i protagonisti, il coro. Ma la somiglianza si ferma qui.80

L’autore trova una piccola similitudine col teatro, giustificando così la varietà di stili all’interno dell’opera. Volutamente accantona il modo tradizionale di raccontare la storia, e lo fa ricorrendo all’organizzazione della tragedia antica: si mette nei panni del messo, ovvero colui che traccia le linee guida del racconto, ma dà ampio spazio ai protagonisti (attraverso le interviste) e al coro, rappresentato dagli ospiti che con le loro opinioni forniscono un bilancio dell’accaduto. L’espediente del teatro comunque non intacca la disciplina con cui Zavoli e suoi collaboratori si attengono all’indagine storiografica81.

80 Ivi, p.5. 81 Ibid.

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