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Sulla vicenda Moro molti sono stati i dubbi degli inquirenti, che solo grazie alla collaborazione di ex brigatisti sono riusciti a ricostruire i fatti.

Nel 1977 le BR stavano vivendo il loro miglior periodo, e avevano deciso di intraprendere una vera e propria «campagna di primavera»126. L’obiettivo, secondo i più, era quello di boicottare l’accordo tra una parte della DC e il PCI, ovvero il famoso «compromesso storico» di cui Moro era promotore insieme al segretario dei comunisti Enrico Berlinguer. La visione delle BR in realtà era diversa:

Moro non costituiva l’obiettivo specifico della «campagna di primavera» e il rapimento non fu realizzato per colpire il regista di quella fase politica. Il loro scopo era più generale e rientrava nella loro peculiare analisi di quella fase storica: colpire la DC, cardine in Italia dello Stato imperialista delle multinazionali (SIM), mentre il PCI non rappresentava tanto un nemico da attaccare quanto un concorrente da battere127

Moro dunque rappresentava non solo l’interlocutore dei comunisti per il «compromesso storico», bensì un simbolo del regime democristiano che le BR dovevano combattere. Si è inoltre dibattuto molto sul perché fosse stato scelto Moro e non Andreotti, che per molti era il vero simbolo della DC. La ricostruzione degli eventi ha dato luogo a un’enorme messe di ipotesi, alcune

126 GIOVAGNOLI 2005, p. 26. 127 Ibid.

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anche azzardate, grazie soprattutto alla grande mole di documentari e reportage prodotti sull’accaduto. A tal proposito sono interessanti le parole di Mario Moretti:

Forse sbagliammo valutazione, non posso negarlo in assoluto. Forse fra i due non abbiamo capito che c’erano differenze molto più profonde di quelle che apparivano. Di sicuro, se ci sono, in quel momento non era facile coglierle. Andreotti e Moro marciavano assieme da interi lustri, si facevano il controcampo fra governo e partito da trent’anni. […] Moro è il gran sacerdote che per far tornare i conti del potere è capace di fondare un’eresia. Andreotti è piuttosto il giocoliere che alla fine dei maneggi fa sparire il mazzo di carte. […] Soltanto discutendo con Moro scopriremo i meccanismi attraverso i quali la DC si regge128.

A prescindere da questo, c’erano anche circostanze di natura pratica: Moro per certi versi era più abitudinario di Andreotti, e quindi i suoi spostamenti erano meno imprevedibili rispetto a quelli del suo collega. Moro inoltre abitava in una zona più periferica, e anche questo probabilmente ha giocato un ruolo fondamentale nella scelta tra i due esponenti della DC, in quanto l’azione avrebbe comportato meno rischi.

Con questa azione prende forma il progetto dell’attacco al «cuore dello Stato» che mira a colpire il partito di maggioranza relativa del Paese. I brigatisti rivendicano la loro estraneità alle logiche del «Palazzo», ma nonostante questo tentano di aprire un dialogo per intavolare una trattativa di rilascio del prigioniero. Le collaborazioni «involontarie» su cui i terroristi puntano inizialmente sono col PCI e con la corrente della DC vicina a Moro (i brigatisti miravano a far emergere più

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che altro delle discordanze tra i due più grandi partiti in Italia), ma non escludono neanche il canale socialista. L’obiettivo alla fine era per l’appunto quello di «suscitare un crescendo di guerriglia nelle altre città» e «aprire delle contraddizioni tra le forze politiche»129.

Ma a prescindere da quale fosse l’obiettivo vero e proprio del sequestro, la situazione politica del Paese era mutata radicalmente. Alla vigilia del rapimento, Moro si era impegnato per raggiungere un accordo che non solo era stato difficile da trovare, ma che era basato su un programma riguardante la sola politica interna. Rimanevano dunque le divisioni sulla politica estera e le diverse posizioni sulle decisioni della NATO e dell’Unione Sovietica. Secondo il presidente della DC bisognava agire nel segno della flessibilità «che aveva salvato fin qui più che il nostro potere (quello della DC), la democrazia italiana»130.

Lo scenario che si prospettava in seguito al sequestro appariva dunque poco chiaro, poiché veniva a mancare il mediatore tra due forze politiche che avevano deciso di dialogare solo in nome dell’emergenza politica e sociale dell’Italia.

4.2. 16 marzo 1978

Giovedì 16 marzo 1978 è un giorno molto importante per la politica italiana: si presenta infatti in Parlamento il nuovo governo Andreotti (il quarto) che chiude una crisi istituzionale che si protrae da tempo.

129 GIOVAGNOLI 2005, p. 29. 130 Ivi, p. 31.

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Dopo mesi di preparazione, quella mattina un commando delle Brigate rosse entra in azione in via Fani a Roma e rapisce l’onorevole Moro, uccidendo tutti gli uomini della scorta. Le BR, secondo quanto riferisce Mario Moretti, optano per il sequestro in via Fani solo in un secondo momento:

Dal punto di vista operativo l’ideale sarebbe stata la chiesa di Santa Chiara. Moro vi si trattiene venti-trenta minuti, il tempo della messa, si mette in uno dei primi banchi, mentre gli agenti della scorta controllano gli ingressi in fondo. Gli altri restano fuori dal sagrato o vicino alle auto. Sarebbe relativamente facile neutralizzare la scorta e portare via Moro dal retro della chiesa131.

Tuttavia il progetto fallisce subito a causa di alcune difficoltà «insormontabili»:

Siamo tra le otto e le nove del mattino; Piazza dei Giochi Delfici brulica di bambini che vanno a scuola. Una pattuglia di vigili dirige l’attraversamento degli scolari da un passaggio pedonale, che si trova a poche decine di metri dal punto in cui si fermano le auto di Moro. C’è troppa gente in giro, lo scontro sarebbe disperso su diversi punti, non possiamo essere sicuri di controllarlo completamente. E non è immaginabile che apriamo una sparatoria contro uomini anch’essi armati, in un luogo dove può finir in mezzo qualche ragazzino. Neanche a parlarne132.

Si decide allora di virare su via Fani che dà più sicurezze ai terroristi, e meno probabilità di fallimento

Difficoltà ci sono, ma diverse da quelle di Piazza dei Giochi Delfici; per certi aspetti sono maggiori, ma si possono circoscrivere. Differentemente che in chiesa, l’obiettivo in via

131 MORETTI-MOSCA-ROSSANDA 1998, p. 121. 132 Ibid.

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Fani è in movimento. Bisogna fermare il convoglio e questa è una partita che si gioca sui decimi di secondo. Abbiamo studiato il percorso metro per metro, e individuato il punto dove bloccare le due macchine nell’incrocio fra via Fani e via Stresa, dove c’è uno stop. Da una parte c’è un bar […] metteremo lì quattro compagni vestiti da steward dell’Alitalia, come se aspettassero il pulmino per l’aeroporto, tutti li vedranno ma nessuno li noterà. Dall’altra parte c’è un edificio d’abitazione: le finestre sono al primo piano, ad altezza strada c’è soltanto un muro. Se non siamo proprio sfortunati […] non dovrebbe trovarsi nessun passante133.

L’azione è preparata dettagliatamente e ogni intoppo, anche se minimo, può creare grandi problemi. Da questo punto di vista è curioso l’aneddoto della Braghetti riguardante un fioraio che era solito esercitare in via Fani:

Mario e Prospero mi raccontarono anche di aver risolto, la sera prima, un problema che avrebbe potuto costringerci a rinunciare all’intera operazione. Proprio nel punto scelto per fermare le auto di Moro e della sua scorta, infatti, un fioraio apriva tutte le mattine il suo chiosco. Non potevamo rischiare di colpire lui o sua moglie, e volevamo evitare la presenza di due testimoni; quindi, qualcuno, nottetempo, era andato a casa sua e con un punteruolo aveva fatto scoppiare tutte e quattro le gomme del suo furgone, per evitare che alle nove si trovasse sulla scena del rapimento. Le Brigate rosse si facevano un punto d’onore di non colpire accidentalmente o per errore i civili, a meno che non fossero loro stessi un obiettivo134.

L’azione parte quando sono da poco passate le ore 9:00: Moretti a bordo di una 128 si mette davanti al piccolo convoglio composto dalle auto con dentro Moro e

133 Ivi, p. 122.

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la scorta. Procede con andatura sostenuta fino allo stop che incrocia via Fani e via Stresa: a questo punto una prima raffica di colpi si abbatte sulla macchina della scorta uccidendo gli agenti (in realtà uno dei componenti verrà ferito e morirà qualche ora dopo in ospedale); una seconda serie di proiettili colpisce poi l’auto di Moro uccidendo l’autista. Il presidente è illeso: viene così prelevato e portato via

a bordo di una 132.

Successivamente i brigatisti, sicuri di non essere seguiti, nei pressi di Piazza Madonna del Cenacolo trasportano Moro in un furgone, dove all’interno di una casa di legno viene condotto nell’appartamento di via Montalcini. La ricostruzione del percorso è però stata messa in dubbio: gli inquirenti pensano che ci sia stato un appartamento intermedio prima di giungere in via Montalcini. Moretti afferma che Moro trascorre tutti i suoi giorni di prigionia in quell’appartamento135, ma non si ha l’effettiva certezza di come siano andati i

fatti.

Un’ora dopo l’azione all’Ansa di Roma arriva la rivendicazione dell’attentato:

«Abbiamo rapito il presidente della DC Aldo Moro ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Firmato Brigate rosse»136.

135 MORETTI-MOSCA-ROSSANDA 1998, p. 132 136 IMPERI 2016, p. 46.

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4.2.1. Le reazioni dell’Italia al sequestro

La strage di via Fani e il rapimento dell’onorevole Moro suscitano una vivace

reazione da parte di tutte le forze politiche del Paese. Il gesto viene condannato da ogni schieramento, e le divisioni che attanagliano l’Italia sembrano in quel momento superate. Da tutti i partiti la voce è unanime: Craxi (PSI) parla di «Repubblica ferita», Berlinguer (PCI) di «tentativo estremo di frenare un processo politico positivo», Boldrato, vicesegretario della DC, ricorda «i cinque giovani delle forze dell’ordine» uccisi nel conflitto a fuoco, e anche i partiti minori si accodano a queste dichiarazioni137. Il ministro dell’interno Francesco Cossiga rivolge inoltre un appello agli italiani:

Approfitto di questa occasione per rivolgere un appello non soltanto ai cittadini che mi sentono, perché dimostrino il loro attaccamento alle istituzioni dando tutta la loro collaborazione possibile alle forze dell’ordine, ma anche alla stampa e alla televisione perché cooperino con un’informazione precisa ed equilibrata per darci la possibilità di gestire, nell’interesse dello Stato e della tutela delle vite umane, questa grave crisi che il Paese attraversa138.

Anche il papa Paolo VI e i sindacati si mobilitano: il pontefice appresa la notizia, in preda a una forte emozione necessita addirittura di qualche iniezione di cardiotonici; Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale per il resto della

137 ZAVOLI 2015, p. 274. 138 Ivi, p. 275.

92 giornata139.

Il clima dunque è di emergenza nazionale, a tal punto che il quarto governo Andreotti riceve la fiducia sia alla Camera che al Senato il 16 marzo stesso140.

Anche il Paese è scosso. Tra i militanti della DC si assiste quasi a una «giornata dell’orgoglio democristiano»: una formazione politica che giornalisti e sociologi avevano descritto come un partito di tessere false e anime morte si manifestava invece viva e vitale141. A sorpresa però anche i militanti del PCI si schierano accanto agli eterni rivali:

Era uno spettacolo assai insolito vedere […] nell’immensa piazza di San Giovanni in Laterano, a Roma, un mare di bandiere rosse e un mare di bandiere democristiane sventolare insieme. Questi accostamenti non sono mai soltanto scenici, prova ne sia che fino a quel giorno una scenografia di quel genere non l’avevamo mai vista142.

Le reazioni all’agguato al presidente Moro dunque non tardano ad arrivare. Si apre una fase per il Paese molto delicata, in cui le istituzioni chiedono ai cittadini solidarietà e collaborazione per venire fuori da una situazione che aveva trovato impreparata l’Italia intera.

139 Ibid. 140 Ivi, p. 284.

141 GIOVAGNOLI 2005, p. 43. 142 AA.VV. 1978.

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