• Non ci sono risultati.

Il lavoro di Zavoli: perché nasce e come si sviluppa

La notte della Repubblica andò in onda in diciotto puntate. Qualche anno dopo,

Zavoli, insieme al gruppo di autori che lo aveva coadiuvato nella scrittura del programma televisivo, decise di trascrivere l’imponente lavoro svolto per fornire ai lettori anche il formato cartaceo del materiale prodotto. Il motivo di tale scelta fu da attribuire proprio al grande successo che il reportage aveva avuto. E in tal senso Zavoli e la sua squadra spinsero il loro pubblico ad un confronto su episodi che avrebbero avuto ripercussioni sul futuro politico e sociale del Paese.

La suddivisione in capitoli del libro riprende il numero di puntate andate in onda sulla RAI. Ad ogni capitolo corrisponde una puntata. Convenzionalmente

41

possiamo suddividere il libro in quattro parti, che in realtà rappresentano quattro diversi momenti dei fatti narrati: 1) il primo (capp. I-II) è quello in cui l’autore ci descrive la situazione dell’Italia degli anni Sessanta, un periodo di grande instabilità politico-sociale della Nazione, segnato dai movimenti studenteschi che anche in Italia, come nel resto d’Europa, avevano trovato terreno fertile. È in questi anni che vengono poste le basi per ciò che accadrà in seguito; 2) la seconda parte (capp. III-X) è caratterizzata dall’inizio degli attentati: i movimenti di estrema destra (non riuniti sotto un’unica sigla) si rendono protagonisti di diverse azioni, da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, passando anche per un tentato golpe ribattezzato “Borghese” in onore del suo organizzatore Juan Valerio

Borghese. Nello stesso periodo anche nella sinistra extra-parlamentare inizia a muoversi qualcosa. Nascono le Brigate rosse e altri gruppi minori tra cui Lotta continua. Il processo di lotta armata inizia a prendere forma anche a sinistra con rapimenti e uccisioni, soprattutto da parte delle BR; 3) il terzo importante momento della narrazione (capp. XI-XIII) è la vicenda Moro. Zavoli occupa tre capitoli per analizzare i fatti e le conseguenze che il rapimento dell’esponente della DC ebbe in quel clima. L’attentato di via Fani e l’uccisione dell’ex Presidente del Consiglio rappresentano una cesura di rilievo all’interno del reportage. In pochi si sarebbero aspettati che le BR potessero spingersi a tanto; 4) il quarto e ultimo spezzone (capp. XIV-XVIII) riguarda gli anni successivi alla morte di Moro. Sono anni difficili per i brigatisti, che oramai si sentono accerchiati grazie anche alle confessioni dei primi pentiti. Le rigide misure imposte dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa71 permetteranno l’arresto dei

42

capi maggiori dell’associazione ancora in libertà, i quali ammetteranno presto il fallimento del loro progetto. Infine c’è il ritorno del terrorismo di matrice nera, con l’attentato compiuto alla stazione di Bologna. Sarà l’ultima strage di grandi proporzioni (ma anche quella che mieterà più vittime).

2.2.1. Il terrorismo nero

Nella prima parte del libro abbiamo una panoramica sulla situazione socio-politica italiana di fine anni Sessanta che portò ad un periodo di grande instabilità. Ad approfittare di questa tensione istituzionale furono inizialmente dei gruppi di matrice neo-fascista, con l’intento di compiere un colpo di Stato in funzione anticomunista. Il primo grande segnale fu l’attentato di Piazza Fontana del dicembre 1969, interpretato fin da subito come un episodio riconducibile all’estrema destra, che innescò momenti di violenza che ebbero come maggiore risultato la diffusione del terrore. Le stragi compiute dai fascisti da quel momento furono sempre più frequenti: nel 1970, approfittando di una rivolta popolare dovuta allo spostamento della sede dell’Assemblea regionale da Reggio Calabria a Catanzaro, deragliarono un Freccia del Sud nei pressi di Gioia Tauro, provocando sei morti72. Nel maggio 1974 è la volta di Brescia: a Piazza della Loggia si stava svolgendo una manifestazione sindacale contro gli attentati che da qualche tempo colpivano il Paese. Durante il comizio una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti esplode: il bilancio sarà di otto morti e novantaquattro feriti. Qualche mese dopo, i

43

movimenti di estrema destra si rendono protagonisti di un altro agguato: una bomba sul treno Italicus, in viaggio da Roma a Monaco di Baviera, provoca dodici morti e centocinque feriti. Sei anni dopo, nell’agosto 1980, la stazione di Bologna è scossa da un altro grave episodio: un ordigno provoca ottantacinque vittime. Nessun strage prima aveva raggiunto un numero così alto di morti.

Fu però qualche anno prima, nel 1970, che le organizzazioni di estrema destra andarono vicine al colpo di Stato: nella notte tra il sette e l’otto dicembre, gli uomini di Juan Valerio Borghese (tra cui dei forestali, ecco perché viene chiamato “golpe dei forestali”) si introdussero nell’armeria del Viminale impossessandosi di duecento mitra. Subito dopo arrivò il contrordine. I motivi risultano tutt’ora sconosciuti.

Molte, come abbiamo visto, furono le azioni intraprese dalle organizzazioni neo- fasciste. Episodi di violenza che avevano lo scopo di caricare di tensione un clima di per sé già instabile, e compiere quel golpe anticomunista di cui si parlava da qualche tempo.

2.2.2. Le Brigate Rosse e il terrorismo di sinistra

Nello stesso momento, altre organizzazioni appartenenti al mondo della sinistra extra-parlamentare teorizzavano la lotta armata su basi anticapitaliste e antiamericane. Molto probabilmente la strage di Piazza Fontana accelerò la svolta armata e favorì gli episodi di violenza che ne seguirono. All’interno dei gruppi

44

comunisti uno si distinse particolarmente tra tutti: le Brigate rosse. Rispetto ai gruppi neo-fascisti, i terroristi rossi ebbero un modo diverso di agire: non miravano a compiere della stragi che avrebbero coinvolto anche i civili, ma a colpire delle importanti personalità che rappresentavano il potere capitalista che si stava frapponendo tra l’Italia e la “rivoluzione”. «Colpirne uno, per educarne

cento»73, questo era il motto a cui si ispiravano i brigatisti e che portò a gravi episodi, tra cui il rapimento del sostituto procuratore Mario Sossi (che fu successivamente rilasciato), gli omicidi del maresciallo Rosario Berardi e del commissario Antonio Esposito, e ancora alle uccisioni del giudice Francesco Coco e del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet. Tra i tanti attentati delle BR, però, quello che fece più scalpore fu quello compiuto ai danni del presidente della DC Aldo Moro. Questi fu sequestrato a Roma la mattina del 16 marzo 1978 (nell’attentato di via Fani morirono tutti gli agenti della scorta) e ritrovato morto il 9 maggio seguente, sempre nella capitale, in via Caetani. Con il rapimento di Moro le BR avevano raggiunto il punto più violento della loro breve storia. Ma questo episodio ne segnò anche l’inizio del declino. I poteri straordinari conferiti dal governo al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa diedero inizio alla controffensiva dello Stato, che nel giro di qualche anno riuscì ad arginare la strategia del terrore che da destra a sinistra stava minando la stabilità del Paese.

Significativa è anche la meteora violenta di Prima linea74, un altro movimento di estrema sinistra che contava su gran parte dei fuoriusciti di Lotta continua (che si

73 Ivi, pp. 71-97. 74 Ivi, pp. 365-388.

45

era definitivamente sciolta nel 1976). PL compie tra il ’77 e l’80 una serie di azioni per autofinanziarsi, poi cominciano gli omicidi: il magistrato Emilio Alessandrini, l’ingegner Carlo Ghiglieno, il giudice Guido Galli. Ma a procurare dei sussulti di coscienza tra i membri dell’organizzazione fu l’assassinio di William Vaccher, ex affiliato di PL, accusato di essere un collaboratore della polizia.

La grande ondata di pentimenti che stava mettendo in ginocchio le Brigate rosse colpì presto anche Prima linea e l’organizzazione ben presto fu sgominata.