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Moro e la «guerra con la DC»

Braghetti racconta anche le reazioni di Moro riguardo la possibilità dell’apertura di una trattativa che avrebbe dovuto liberarlo. Ben presto anche il presidente della Dc si iniziava a capacitare del fatto che il «fronte della fermezza» andava sempre più compattandosi. Moro decise dunque di iniziare a scrivere, e la Braghetti si sofferma soprattutto sulle lettere indirizzate a Zaccagnini, l’allora segretario della DC, ma che avevano valenza per l’intero partito:

Moro gli scrisse [a Zaccagnini] una lettera magistrale. Ci lavorò per giorni, stendendola in più riprese e in quattro versioni. Rifletteva sulle singole parole […] Alla fine fu pronta. Era nobile, umile, ragionevole e insieme perentoria. Rivolta solo a Zaccagnini, ma con l’esplicita disposizione di darla in lettura a tutti gli alti papaveri della DC. […] Era l’inizio di una guerra con la DC, che Moro avrebbe combattuto da quel momento in poi, sempre più aspramente293.

La lettera a cui fa riferimento Braghetti è quella recapitata il 4 aprile 1978. È una lettera molto schietta questa di Moro, ma da qui in poi i toni si faranno sempre forti:

Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io. […] è doveroso aggiungere, in questo momento supremo, che se la scorta non fosse stata, per ragioni amministrative, del tutto al di sotto delle esigenze della situazione, io forse non sarei qui. […] Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile.

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[…] le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. […] in verità, mi sento [..] un po’ abbandonato da voi294.

Moro si sente abbandonato dal partito e dal segretario che personalmente lo aveva spinto ad accettare la presidenza del partito. Mette in guardia comunque tutti i dirigenti riguardo alle loro scelte, in quanto prima o poi arriveranno le conseguenze. Le lettere indirizzate a Zaccagnini sono in tutto nove, ma solo tre verranno effettivamente recapitate. Con il passare dei giorni Moro continua a scrivere, e nella lettera del 20 aprile insiste vivamente con tutta la DC:

Se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d’Italia. Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani. Pensaci soprattutto tu, Zaccagnini […] Ricorda in questo momento […] la tua insistenza per avermi Presidente del Consiglio Nazionale295.

Nell’ultimo disperato appello del 24 aprile Moro infine chiede a Zaccagnini di prendere una decisione che sia frutto figlia della propria personalità, e di non farsi influenzare nelle sue scelte:

Zaccagnini, sei eletto dal Congresso. Nessuno ti può sindacare. La tua parola è decisiva. Non essere incerto, pencolante […] sii coraggioso e puro come nella tua giovinezza. […]

294 MORO 2008, pp. 13-14. 295 Ivi, p. 74.

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Non assolverò e non giustificherò nessuno. Nessuna ragione politica e morale mi potranno spingere a farlo296.

Quattro giorni dopo viene recapitata un’altra lettera, questa volta indirizzata a tutta la Democrazia cristiana. Moro, con grandissima freddezza, punta il dito contro tutto il suo partito, colpevole di averlo condannato a morte:

Questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti né per la DC né per il Paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità. Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto297.

Ma a suscitare grande scalpore oltre alle lettere a Zaccagnini e quella alla DC era stata la piccata risposta di Moro alle dichiarazioni di Paolo Emilio Taviani. Nella prima lettera a Zaccagnini infatti Moro ricordava che nei giorni del rapimento di Mario Sossi, sempre da parte delle BR, l’onorevole Gui e l’allora ministro dell’interno Taviani, si erano pronunciati in favore dell’apertura di una trattativa. Lo stesso Taviani però aveva smentito le parole di Moro. Braghetti ricorda che il presidente «giudicò ignobile il comportamento di Taviani, e disse che era sempre stato un voltagabbana. Decise di dargli una lezione, nonché di fornire ai suoi

296 Ivi, p. 100. 297 Ivi, pp. 143-144.

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traditori un assaggio del veleno in cui poteva intingere la penna»298. Per tutta risposta dunque Moro scrive una lettera allo «smemorato» Taviani (così viene definito), in cui ne sottolinea l’opportunismo e la sottomissione agli americani:

Quel che rilevo, espressione di un malcostume democristiano che dovrebbe essere corretto tutto nell’avviato rinnovamento del partito, è la rigorosa catalogazione di corrente. Di questa appartenenza Taviani è stato una vivente dimostrazione con virate brusche ed immotivate da lasciare stupefatti. Di matrice cattolico-democratica Taviani è andato in giro per tutte le correnti299.

Moro dunque fu molto duro con la DC e i suoi esponenti. Aveva probabilmente capito che trattare con le BR era l’unico modo per salvargli la vita. E probabilmente la trattativa sarebbe giovata, secondo Braghetti, anche al Paese. Non sapremo mai come sarebbe stata la storia in caso di accordo; di certo però dalle lettere di Moro non si può non dar ragione a Braghetti: «Moro, il più efficace neutralizzatore di qualsiasi opposizione che l’Italia avesse conosciuto, […] si poneva ora il problema di masticare e digerire perfino le Brigate rosse»300.

298 BRAGHETTI-TAVELLA 2012, p. 125. 299 MORO 2008, p. 42.

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