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Conclusioni: la lettera dell’87 e le nuove BR

Con la lettera del 1987 firmata da quattro dei massimi esponenti delle BR si chiude quella che è considerata la prima fase dell’organizzazione. Si concludeva così quasi un ventennio di lotte contro i dirigenti della fabbrica e dello Stato, e per un miglioramento del sistema carcerario256.

Come ribadito anche da Moretti, infatti, le BR non avevano un progetto a lungo termine e questo portava l’organizzazione a sfruttare episodi di agitazione sociale per entrare in azione. Dai primi passi in fabbrica sfruttando la tensione per il rinnovo del contratto degli operai, all’attacco allo Stato per scoraggiare il «compromesso storico», fino alle azioni per la riforma del sistema carcerario, le BR erano riuscite a far emergere molte delle contraddizioni del Paese.

La lettera comunque non sancì definitivamente la fine delle Brigate rosse. Dalla seconda metà degli anni Ottanta infatti si apre quella che gli studiosi hanno interpretato come la fase a vocazione operaia delle BR257. Si tratta di un periodo in cui i terroristi devono far fronte ai numerosi arresti e allo smantellamento delle colonne. Si analizzano inoltre le sconfitte e si cerca una prospettiva per la ripresa dell’attività. Anche per questo motivo non si ha una continuità nelle azioni, che

avvengono di rado e anche a distanza di anni (tra l’omicidio di Roberto Ruffilli e quello di Massimo D’Antona ne passano undici)258. Col passare degli anni anche

256 MANCONI 2008, pp. 185-193. 257 Ivi, p. 193.

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la situazione economica del Paese cambia e proprio per questo motivo si tende a differenziare una prima fase da una seconda dell’organizzazione, anche perché oltre agli uomini mutano anche le ideologie.

La storia delle BR è dunque una storia lunga e per certi versi anche complicata. Sarebbe troppo riduttivo tracciare un bilancio di ciò che è stato l’operato dell’organizzazione senza approfondire gli ideali che erano alla base. Anche perché è attraverso questa analisi che possiamo comprendere a pieno l’agitazione sociale che ha contraddistinto il periodo degli anni di piombo, e che si è manifestata anche all’inizio del nuovo millennio.

Per ciò che riguarda l’intervista nel complesso: Mario Moretti appare come un

personaggio enigmatico e inquieto. A tal proposito, nella Prefazione del libro, Rossanda afferma che

ne risultava un racconto inquieto nel quale nomi e date sfuggivano o si spostavano o sovrapponevano […] come se oltre vent’anni di vita non vita fra clandestinità e carcere gli facessero custodire un orto privato […]. In esso stanno le vite degli amati e perduti, sui quali ammutolisce; difficile far dire a Moretti […] che cosa sia stato per lui questo o quel

suo compagno, o anche un avversario259.

Il fatto che non abbia mai parlato nei processi rafforza queste impressioni su di lui. Il suo racconto appare sincero, anche se è reticente su diversi episodi. Lo spinge a parlare la voglia dell’apertura di una discussione su quegli anni, cosa che

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il PCI prima e il PDS dopo avevano categoricamente escluso, e chiede addirittura l’amnistia per i protagonisti di quegli anni. Prova anche a ricostruire la propria immagine, e lo fa assumendosi le proprie responsabilità: «non si lascia facilmente indottrinare, ma neppure si consente scappatoie»260. Cerca inoltre di chiarire diversi episodi che non avevano risposta e per questo si rivolge «a due persone amiche ma non dalla sua stessa parte», aggiungendo:«se scrivessi io […] verrebbe fuori una specie di manuale tutto ordinato e noiosissimo, farei tornare tutti i conti, e invece non tornano»261. Per Rossanda «egli voleva […] abbracciare

pietosamente quella storia e con lo stesso gesto metterla impietosamente a distanza». Ma nonostante tutto, Moretti non rinnega il suo passato, e anzi in alcuni passi ne parla con fierezza. In certi momenti dell’intervista prova addirittura a far emergere il lato «eroico» delle sue azioni, ma viene sempre contrastato dalle giornaliste, che lo incalzano continuamente. Specialmente quando gli viene chiesto delle vittime, Moretti parla di «guerra» obbligata, «perché ogni altra strada ci era preclusa»262: pare quasi che l’ex terrorista voglia creare una sorta di mito delle BR, per giustificare un passato segnato da violenze e omicidi.

Rossanda, come detto, si dimostra inflessibile e diretta nel porgere le domande, anche quando sono scomode. Tende a illuminare i punti e i nodi dove l’intervistato lascia buio, ci prova fin dove è possibile263. La militanza nel PCI e

nel Manifesto in più occasioni l’aveva portata a esporsi sull’argomento BR, e

sembra quasi una logica conseguenza che sia proprio lei ad intervistare Moretti.

260 Ibid. 261 Ivi, p. XII. 262 Ivi, p. 48.

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Si è detto e scritto molto riguardo a quest’intervista: in tanti sostengono la sincerità di Moretti, altri sono più cauti. Di sicuro questo libro-intervista rappresenta un documento unico per l’interpretazione della storia delle Brigate rosse, e per quello che è stata la lotta armata in Italia.

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Cap. VI

Un’autobiografia «guidata»:

Il prigioniero di Anna Laura Braghetti

Il fenomeno della lotta armata ha dato vita a una grande produzione di memoriali sugli anni di piombo. Diverse sono state le tipologie dei testi che sono stati scritti dagli ex terroristi, spesso in collaborazione con dei giornalisti. In precedenza, ad esempio, mi sono occupato dell’intervista di Rossanda e Mosca a Mario Moretti. In questo capitolo invece approfondirò il libro di Anna Laura Braghetti Il

prigioniero, un racconto che si focalizza sui cinquantacinque giorni di

carcerazione di Aldo Moro. Il testo è il prodotto di un lavoro a quattro mani tra Braghetti e la giornalista Paola Tavella264, e rappresenta un documento unico nel suo genere per la presenza di dettagli inediti. Nel libro inoltre troviamo anche altri episodi riguardanti l’esperienza nelle BR della Braghetti, non inerenti al sequestro del presidente della DC. Questo testo dunque risulta molto interessante poiché permette ai lettori di soffermarsi sulle motivazioni che hanno spinto una giovane venticinquenne ad aderire a un’organizzazione terroristica, e di scoprire i segreti di una donna dalla doppia vita.

Mi soffermerò inoltre sul genere letterario adottato da Braghetti, ovvero il

memoir. Si tratta di una forma di scrittura molto vicina all’autobiografia, con la

quale condivide degli elementi. I due generi sono simili, e sarà importante quindi approfondirli per far emergere le differenze che li distinguono.

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