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“We all stand somewhere on a spectrum”:

3.3 Briony e l’empatia dello scrittore

Si presenta qui il problema etico del rapporto con l’altro e della capacità d’immedesimazione, che, come si è visto nel primo capitolo, è stato uno dei principali punti di interesse dell’ethical turn. Anche McEwan, a partire dall’uscita di Atonement, si è pronunciato spesso al riguardo; famoso è il suo articolo uscito sul Guardian dopo l’attacco dell’11 settembre, in cui ha individuato il peccato dei dirottatori aerei in una “failure of the imagination”:

31 D’Hoker, Elke, “Confession and Atonement in Contemporary Fiction: J. M. Coetzee, John Banville and Ian McEwan”, Critique: Studies in Contemporary Fiction, 48, 1, Fall 2006, pp.31-43. 32 “The attempt was all” (371).

33 Ibidem, pp.41-42.

34 Shemberg, Claudia, Achieving ‘At-one-ment’. Storytelling and the Concept of the Self in Ian

McEwan’s The Child in Time, Black Dogs, Enduring Love, and Atonement, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2004, p.81.

74 If the hijackers had been able to imagine themselves into the thoughts and feelings of the passengers, they would have been unable to proceed. It is hard to be cruel once you permit yourself to enter the mind of your victim. Imagining what it is like to be someone other than yourself is at the core of humanity. It is the essence of compassion, and it is the beginning of morality.36

La capacità di mettersi nei panni dell’altro è cioè alla base dell’etica, e come per Nussbaum e Booth, la narrativa costituisce un terreno privilegiato per il suo sviluppo. L’immaginazione letteraria ha cioè un valore positivo, che è quello di permettere, al lettore come all’autore, di sperimentare le vite di altre persone. L’efficacia dell’espiazione di Briony può dunque essere ricondotta all’apprendimento di questo tipo di immaginazione, la cui mancanza in giovane età, quando si domandava se gli altri possedessero la sua stessa ricchezza psicologica,37 ha posto le basi per il crimine commesso.

In realtà, sono diversi i punti in cui la capacità di immedesimazione di Briony sembra essere minata, anziché favorita, dalla sua personalità di scrittrice, e in cui il puro esercizio narrativo prende il sopravvento sull’empatia: “her desire to atone is complicated by her desire to arouse in us desire for her narrative”.38 Molto spesso Briony immagina di provare sentimenti di profondo amore e compassione, ma senza riuscirvi davvero:

Sometimes, when a soldier Briony was looking after was in great pain, she was touched by an impersonal tenderness that detached her from the suffering, so that she was able to do her work efficiently and without horror. [...] She could imagine how she might abandon her ambitions of writing and dedicate her life in return for these moments of elated, generalised love. (305)

Anche dopo l’incontro con Luc, il soldato francese per il quale Briony riesce a provare veri sentimenti di umana compassione, l’impulso narrativo prende il sopravvento, lasciandola emotivamente vuota. Briony immagina come avrebbe potuto essere la sua vita se davvero il ragazzo fosse stato il suo fidanzato: “she would have liked to cry for him, and for his family in Millau who would be waiting to hear news from him. But she couldn’t feel a thing. She was empty”

36 McEwan, Ian, “Only love and then oblivion”, Guardian, 15 September 2001. 37 “was everyone else really alive as she was?” (36)

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(311). In questi casi Briony sembra solo provare piacere dal tentativo di proiezione nell’altro, dal dispiegarsi della propria capacità di immaginazione, mentre emotivamente rimane abbastanza fredda; quando Robbie, nel loro fittizio incontro finale, le pone la domanda “Have you any idea at all what it’s like inside?”, Briony non la prende come una domanda retorica dettata dalla rabbia e dalla disperazione, ma mette alla prova la propria fantasia per immaginarsi davvero cosa voglia dire essere in carcere, senza che questo le susciti reazioni di orrore: “She imagined small high windows in a cliff face of brick, and thought perhaps she did, the way people imagined the different torments of hell” (341). Persino nel momento in cui sta finalmente confrontandosi con la sorella e cercando di farsi perdonare per il suo crimine, Briony non riesce a non provare soddisfazione per il fatto di avere una visione della storia più completa dei due amanti, essendo a conoscenza del nome del vero colpevole e del suo matrimonio con la vittima: “Given all that had happened, and all its terrible consequences, it was frivolous, she knew, but Briony took calm pleasure in delivering her clinching news” (347).

Si potrebbe obiettare che la capacità di immedesimarsi davvero venga acquisita dalla scrittrice Briony soltanto col tempo, e che il romanzo stesso, in cui la voce narrante segue i pensieri non solo di Briony, ma anche di Robbie, Cecilia e di altri personaggi, sarebbe la dimostrazione che Briony ha imparato a mettersi nei panni degli altri, mentre la scelta di non farsi perdonare dai due amanti “furnishes a final proof that in her quest for atonement Briony has learned how to imaginatively put herself into the position of other people”.39 Eppure rimane il problema del lieto fine fittizio: esso può essere visto come una concessione agli amanti in cui Briony ha imparato bene a identificarsi, oppure come una concessione ai desideri del pubblico, o al proprio stesso senso dell’ordine, rimasto insoddisfatto dalla piega non sufficientemente “narrativa” presa dagli eventi. Nel secondo caso, non è così chiaro se Briony abbia imparato ad apprezzare la complessità delle menti degli altri quando esse non servano a un qualche fine letterario:

76 if her intention is to recreate faithfully the lost lives of those she has harmed, […] why, after the realistic suffering of the wartime passages, does she recast her characters in the final section as stock figures from a melodrama, pleasant machines rather than the sorts of complex psychological beings she imagined herself writing about as a child?40

Non sono solo Robbie e Cecilia a essere inseriti in un finale romantico che ricorda le storie che Briony scriveva da ragazzina; anche durante l’incontro con l’anziana Lola nella coda finale, Briony non può fare a meno di considerare le persone che popolano la sua esistenza in termini di personaggi narrativi: “I thought there was a touch of the stage villain here – the gaunt figure, the black coat, the lurid lips. A cigarette holder, a lapdog tucked under one arm and she could have been Cruella de Vil” (358).

Anche questo aspetto è importante per valutare il progresso etico di Briony, per capire quanto la sua tendenza a sovrapporre trame “romanzate” alla realtà si sia evoluta nella sua storia di scrittrice.