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Arthur & George di Julian Barnes

4.5 La fiction e la ricerca della verità

Oltre ad avere uno sviluppo più o meno lineare, Arthur & George, come già osservato, presenta anche un impianto narrativo essenzialmente realista, nonostante la presenza di evidenti elementi metanarrativi. L’autore si rifà scrupolosamente agli eventi documentati (e dunque non è del tutto scettico riguardo a “an accurate version of events”), e, come nel romanzo storico tradizionale, limita il proprio intervento ai punti non attestati della storia, ovvero i moti interiori dei protagonisti e la costruzione di gran parte del personaggio di Edalji, su cui, a differenza di Conan Doyle, esiste una documentazione molto

37 p.36

38 Questo fatto viene criticato da Risinger (op.cit., pp.31-32) che ritiene che, almeno rispetto alla redazione delle lettere minatorie, l’innocenza di George non sia del tutto assodata. Barnes avrebbe cioè eliminato una notevole ambiguità del caso reale per ragioni narrative, cioè per dare al lettore la possibilità di entrare nella mente di George, il che implica una scelta netta riguardo alla colpevolezza del personaggio. Barnes avrebbe dunque operato, al pari di Conan Doyle, una scelta “chiusa” rispetto a una realtà “aperta” nella sua ricostruzione del caso. A difesa di Barnes, si può dire che il personaggio di George presenta comunque dei lati che rimangono oscuri al lettore, come la scoperta da parte di Arthur dei debiti da lui contratti in passato, a cui non si è fatto cenno nelle pagine dedicate a George e che gettano un’ombra sulla figura del procuratore irreprensibile e perseguitato dalla giustizia, ma che comunque non portano alla conclusione affrettata di Anson sulla sua colpevolezza.

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scarsa.39 Anche il basso grado di intrusività della voce narrante, a cui si è fatto riferimento sopra, segna un distanziamento rispetto a un certo tipo di narratore diffusosi con la narrativa postmoderna; Dawson rileva un revival della voce narrante onnisciente nel romanzo contemporaneo di lingua inglese, le cui basi sarebbero state poste non da un ritorno alla narrativa classica ottocentesca, ma da un “development and refinement of some of the technical experiments of postmodern fiction”.40 I tipi di narratore individuati da Dawson condividono tutti

la caratteristica del passaggio da “minimalism” a “maximalism”, cioè hanno spesso un tono satirico, umoristico e segnato da un eccesso di commento che li rende “garrulous”, “eschewing the impersonality of analytic omniscience to the extent that the narrative voice often overshadows the characters being described or analysed”.41 Questo fenomeno, che può essere considerato come una specie di reazione alle teorie sulla morte dell’autore che hanno caratterizzato la prima fase del post-strutturalismo, è stato definito da James Wood con l’espressione spregiativa “hysterical realism”, una narrazione caratterizzata da un eccesso di vitalità e dalla moltiplicazione di storie su storie ai limiti del surreale.42

Comunque venga giudicata questa “vistosità” del narratore postmoderno, essa è molto lontana dalla voce scelta da Barnes in Arthur & George.

Rispetto al Postmodernismo, nel romanzo manca anche l’ambiguità totale rispetto ai fatti e al loro limite con la fiction. I personaggi lottano con narrazioni errate che altri o loro stessi costruiscono sulla loro vita e personalità, ma questa personalità non rimane un punto oscuro della vicenda, anzi, la caratterizzazione dei personaggi e le circostanze in cui si svolge la storia sono presentate in maniera molto chiara, e proprio per questo si percepisce la distanza rispetto alle narrazioni che non le colgono correttamente. Il lettore non ha la sensazione che l’identità dei personaggi sia una pura costruzione narrativa che rimandi a un inconoscibile

39 "The hardest parts to write were when I had to make the historical record about such facts as Doyle's schooling part of my own fiction. It was a lot easier with George, when there were so few facts to go on. It's much easier to imagine his whole inner life when all you've got is his book on railway law." Cit. in “Ideal Holmes Exhibition”, The Scotsman, 2 July 2005.

40 Dawson, Paul, “The Return of Omniscience in Contemporary Fiction”, Narrative, 17, 2, May 2009, p.144.

41 Ibidem, p.153.

42 Cfr. Wood, James, “Tell me how does it feel?”, The Guardian, 6 October 2001. Tra gli scrittori a cui si riferisce Wood si trovano Salman Rushdie, Zadie Smith, Don De Lillo, Thomas Pynchon e David Foster Wallace.

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“buco nero”, come avveniva in Flaubert’s Parrot. Dunque, anche se il romanzo può essere inserito nel filone delle cosiddette fictional biographies,43 al centro non c’è una riflessione sulla distanza che separa le figure storiche di Conan Doyle e Edalji dalle loro possibili versioni narrative: Barnes propone una versione degli eventi e il lettore tende a fidarsi del suo punto di vista. La risoluzione del caso rimane incerta non perché la realtà sia completamente inafferrabile rispetto alle ricostruzioni che di essa si possono tentare, ma semplicemente per mancanza di prove sicure; l’intervento dello scrittore non si spinge tanto in là da “inventare” un finale, ma rispetta la documentazione. Alla fine del romanzo si trova persino una nota dell’autore in cui viene specificato che “[a]part from Jean’s letter to Arthur, all letters quoted, whether signed or anonymous, are authentic; as are quotations from newspapers, government reports, proceedings in Parliament, and the writings of Sir Arthur Conan Doyle” (360). Barnes ha detto in un’intervista di essere stato indeciso se includere questa nota o meno nel romanzo, e di averlo infine fatto per senso di responsabilità nei confronti del lettore. Riporta anche come il suo editore fosse convinto che il caso Edalji fosse un frutto della sua immaginazione, e che la nota dell’autore fosse stata ugualmente inventata e inserita come “stravaganza” postmoderna.44 L’aneddoto dimostra con quale facilità, sotto l’influsso del Postmodernismo, si tenda a dare per scontata la confusione tra realtà e finzione, e la rinuncia degli scrittori a una distinzione tra le due, che proverebbe la maggiore complessità e apertura della narrativa contemporanea. Si muove su questa linea anche il commento di Berberich, secondo cui “in Arthur & George, fact and fiction converge and intermingle in a way that makes it difficult, or maybe even irrelevant, for the reader to discern the dividing line”,45 ma, sebbene diverse

interpretazioni siano possibili, non si può ignorare il fatto che nel romanzo la nota dell’autore garantisca il rispetto degli eventi storici, mentre l’ansia conoscitiva dei personaggi sottolinea l’importanza etica della differenza tra fatti e fiction,

43 Si veda Di Giuseppe, Rita, “True Lies, or the Art of Fictional Biographies”, in Righetti, Angelo

(ed.), The Protean Forms of Life Writing. Auto/Biography in English, 1680-2000, Napoli, Liguori 2008, pp.229-49.

44 Intervista di Rick Kleffel, op.cit.

45 Berberich, Christine, “‘All Letters Quoted Are Authentic’: The Past After Postmodern Fabulation in Julian Barnes’s Arthur & George”, in Childs, Peter and Groes, Sebastian (ed.), Julian Barnes. Contemporary Critical Perspectives, London, Continuum, 2011, p.123.

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piuttosto che renderla irrilevante per il lettore. La fiction assume valore non di per sé, ma come mezzo di indagine nei confronti della realtà e della verità.46

A fronte degli errori di Arthur, si può considerare positivo il suo intento etico di mettere la propria fama e abilità di scrittore al servizio di una giusta causa, che non avrebbe ricevuto alcuna attenzione se Arthur non avesse pubblicato al riguardo un articolo sottoforma di storia, che è l’unico modo per far assumere rilevanza e significato al caso:

The true subject of "Arthur and George," the ghost in every corner of its stately narrative structure, is the yearning for clarity, a desire the characters enact in many forms -- as religious faith, as storytelling, as legal scholarship, as hopeful "spiritism," as romantic love. [...] But even at his clumsiest and most self- delusional, Doyle is, in this novel's generous and plausible view, a rather noble man who struggles bravely against what his contemporaries would have called the baser instincts -- and also, more broadly, against the unacceptable idea that all the furious activity of living has no point, no meaning.47

È comunque significativo che il romanzo tratti di Conan Doyle non come autore, ma come persona e come personaggio pubblico che agisce in nome della giustizia. Il suo ruolo di scrittore ha valore positivo in quanto gli permette di assumere una funzione etica nella vicenda, ma non in quanto rappresentazione della libertà della creazione di fiction a partire da circostanze reali (un aspetto che anzi viene presentato come potenzialmente pericoloso); e Barnes assume un ruolo parallelo a quello di Conan Doyle, proponendo il caso Edalji in forma romanzesca e dunque ponendo sotto gli occhi dei lettori un episodio storico dimenticato dai più e che contiene ancora dei risvolti attuali. La fiction può essere pericolosa e manipolativa, ma Barnes ha comunque scelto questa forma per trattare il caso Edalji. Come ha sottolineato Schneider, dunque, la “competizione” tra diverse forme narrative nel romanzo, nessuna delle quali può dichiarare una supremazia sulle altre, è il frutto di una volontà di testare diversi modi di comprendere la realtà, spingendo il lettore a riflettere su quali possano essere considerati più

46 Barnes può essere considerato un sostenitore dell’idea aristotelica secondo cui la letteratura è in grado di rivelare verità più grandi rispetto ad altre forme di scrittura apparentemente più “oggettive”: “Of course fiction is untrue, but it’s untrue in a way that ends up telling greater truth than any other information system – if that’s what we like to call it – that exists. That always seems to me very straightforward, that you write fiction in order to tell the truth”(intervista di Rudolf Freiburg, 1999, in Guignery, Vanessa and Roberts, Ryan, op.cit., p.39).

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efficaci. “While the contest itself is suggestive and celebrative of the fluidity of truth, it is the modes, definition and function of fiction, I argue, that hold centre- stage position in Arthur and George, reinstating a classical opposition – fiction vs. Reality – with ethical implications”.48

Così, se Atonement mostra le conseguenze etiche negative dell’intervento di uno scrittore troppo “fantasioso” nella risoluzione di un crimine, Arthur & George potrebbe rappresentare un esempio positivo di scrittore che utilizza le proprie abilità narrative per una giusta causa. Allo stesso tempo il romanzo non può non sollevare il problema che deriva dal sottoporre la realtà alla manipolazione della narrazione, mostrando la problematicità della ricostruzione di Arthur. Anche in Barnes, dunque, è evidente un atteggiamento ambiguo nei confronti della narrativa, che può avere un dubbio valore etico da una parte, in quanto ricostruzione della realtà, ma può essere rivelatrice dall’altra, in quanto mezzo di ricerca della verità. “It’s one of those things that you come up against as a writer. To what extent is writing an avoidance of life? To what extent is writing the most intense involvement with life”.49 L’ambiguità della visione di Barnes è espressa in

maniera molto eloquente da Pateman, che nota due tendenze complementari nella narrativa dello scrittore:

Julian Barnes’ novels demonstrate a dual commitment. The first is to test to the limit the formal possibilities of fiction; disrupting expected narrative, reformulating notions of character and plot. The second, inextricably bound up with the first, is to try to re-invent legitimating formulae in an effort to arrest our fall into beguiling relativity, to ensure that we do not give in to valuing one liar’s version as much as another liar’s.50

Questo aspetto era già visibile in romanzi precedenti dell’autore; come si è accennato, A History of the World è quello da cui i critici hanno ricavato l’idea dell’“impegno” di Barnes nascosto dietro la struttura postmoderna: “Se è vero che la storia è ricostruzione e interpretazione, e che nulla di ciò che definiamo reale è in effetti naturale, assolutamente oggettivo, occorre comunque evitare di cadere

48 Schneider, Ana-Karina, op.cit., p.59.

49 Intervista di Jeffries, Stuart: “It’s for self-protection”, The Guardian, 6 July 2005.

50 Pateman, Matthew, “Julian Barnes and the Popularity of Ethics”, in Steven Earnshaw (ed.),

Postmodern Surroundings, Postmodern Studies 9, Amsterdam and Atlanta, Rodopi Press, 1994, p.189.

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nel completo agnosticismo”.51 Ma in A History of the World questa consapevolezza viene sviluppata in un capitolo intitolato “parentesi”, che tenta di fungere da argine rispetto agli altri episodi, che sembrano dimostrare il contrario. In Arthur & George c’è uno sviluppo ulteriore e più convinto dell’idea, che non viene espressa direttamente, ma incorporata nella forma del romanzo e nella caratterizzazione dei personaggi, che lasciano il lettore con una nozione della difficoltà del reperimento della verità, ma anche con la consapevolezza che sia un dovere etico non smettere di cercarla.

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Conclusioni

Nelle pagine precedenti si è tentato di analizzare il modo in cui tre romanzi scritti all’inizio degli anni 2000 rispondono al problema della rappresentazione del mondo in narrativa, segnando un’evoluzione interessante rispetto ad alcune idee caratteristiche del Postmodernismo. Nel primo capitolo è stato proposto un elenco dei tratti più tipici del romanzo postmoderno; come già visto caso per caso, alcuni di questi tratti si trovano nelle opere analizzate: The Biographer’s Tale presenta un elevato grado di intertestualità, con la narrazione principale interrotta da un

pastiche di diversi tipi di testi; Atonement contiene una svolta finale che fa

pensare ai fenomeni di frame-breaking, con i quali l’autore rende evidente la finzionalità di quanto ha finora presentato al lettore; in Arthur & George i protagonisti affrontano le conseguenze della difficoltà di separare la realtà dalle varie forme di fiction che su di essa vengono costruite, un tema che accomuna in realtà tutt’e tre le opere.

A questi elementi postmoderni, tuttavia, vengono contrapposti delle riflessioni e uno stile narrativo che sembrano spingere verso una diversa direzione. L’aspetto più interessante consiste forse nel fatto che in nessuno dei tre libri la mescolanza tra realtà e fiction, celebrata o ritenuta inevitabile nel romanzo postmoderno, sembra essere valutata in maniera positiva, o accettata in modo acritico: Phineas, Arthur e George fanno di tutto per sfuggire al pericolo che diverse narrazioni della realtà portino alla manipolazione o dissoluzione del concetto di verità, mentre Briony, che invece accetta questa manipolazione, viene presentata come un personaggio dai dubbi tratti etici. Il problema è, appunto, di natura etica: ammesso che una relazione “trasparente” tra la realtà e la sua ricostruzione narrativa non possa ormai che essere considerata un’ingenuità, questi scrittori non vogliono abbandonarsi al potere assoluto della narrazione, ma sentono una responsabilità nei confronti della realtà, di quella “hard idea of truth” la cui cancellazione non è solo eticamente inaccettabile nella sua potenziale apertura all’assoluto relativismo, ma è anche mortificante nella sua mancanza di riconoscimento del valore della letteratura come strumento di comprensione della realtà. La più chiara a esprimersi al riguardo è Byatt:

116 However initially attractive, even apparently ‘true’ the idea might be that all our narratives are partial fictions, the wholesale enthusiastic acceptance of that way of thought removes both interest and power, in the end, from both art and the moral life. [...] whilst it was once attractive [...] to think that whatever we say or see is our own construction, it now becomes necessary to reconsider the idea of truth, hard truth, and its possibility. We may be, as Browning said, born liars. But the idea itself is only wholly meaningful if we glimpse a possibility of truth and truthfulness for which we must strive, however, inevitably, partial, our success must be.1

Nel capitolo introduttivo si è visto come il problema etico abbia reso fruibili due possibili opzioni: recuperare valori pre-postmoderni o individuare un approccio etico alla realtà anche nelle idee postmoderne. Nei tre romanzi analizzati non c’è una rinuncia totale a queste idee, che costituiscono un irrinunciabile mezzo di riflessione sul rapporto tra mondo e narrazione, ma in ognuno di essi si tenta di arginare la deriva relativista con un parziale ritorno a concezioni narrative pre-postmoderne. In The Biographer’s Tale si tratta della tensione del narratore verso la precisione espressiva e la capacità denotativa del linguaggio; in Atonement della capacità empatica dello scrittore di mettersi nei panni degli altri; in Arthur & George dello sforzo verso l’aderenza alla realtà e la scoperta della verità. La compresenza di questi aspetti e delle consapevolezze postmoderne porta però a una percezione sempre ambigua del processo narrativo, la cui posizione oscilla nello spettro di possibilità che va dai fatti alla loro completa reinvenzione fantastica. Ognuno dei romanzi presenta un personaggio che si spinge, con conseguenze potenzialmente pericolose, verso il polo della manipolazione fantastica: Briony, Destry-Scholes e, in parte, Arthur, con la sua tendenza ad applicare i suoi metodi di costruzione narrativa alla realtà. È interessante notare che questi personaggi sono tutti degli scrittori, e rendono dunque manifesti i “pericoli” dell’invenzione letteraria. Il “contrappeso” etico di Destry-Scholes è Phineas, che spinge la propria “correzione” etica tanto in là da abbandonare gli studi letterari e la scrittura; quello di Arthur è George, con la sua mancanza di immaginazione e la sua visione pragmatica da avvocato, e in parte il lato di Arthur stesso che si rifiuta di credere in ciò che non può essere provato; Briony rappresenta, invece, lo scrittore incontrastato nell’utilizzo della propria

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immaginazione, che si rifiuta di riconoscere autorità esterne alla propria sullo svolgimento dei fatti. Si è visto come questo aspetto rappresenti una potenziale critica a un certo tipo di autore postmoderno: lo scrittore-Dio che rifiuta di riconoscere l’autorità di una versione “vera” o “oggettiva” della realtà è direttamente connesso alla perdita di legittimazione conseguente alle idee lyotardiane sulla fine delle grandi narrazioni, “those narratives which used to provide a single and trustworthy explanation of our behaviour and existence”,2 e

l’avvento del locale, del particolare, del soggettivo. È qui che si inserisce appunto il problema del relativismo, determinato dalla mancanza di punti di riferimento al di fuori di se stessi, e quindi la volontà, caratteristica di critici e scrittori post-

ethical turn, di cercare sistemi etici alternativi. Il problema è come creare “a

system of ethics within a society which appears to have lost the legislative authority to tell us how to act and which apparently leaves the individual as the sole arbiter of ethics”.3

I tre romanzi analizzati cercano di rispondere a questo problema, valutando la maggiore o minore validità etica di alcuni tipi di narrazione rispetto alla realtà, che non può essere ignorata e continua a costituire un problema. La riflessione avviene su due piani, quello del contenuto e quello della forma: da una parte vengono mostrati personaggi alle prese con la rappresentazione della realtà, e il lettore è portato a trarre le sue conclusioni valutando la crescita etica di personaggi che, come Phineas, rifiutano una narrazione ibrida tra fatti e fiction, e la dubbia accettabilità delle azioni di altri che, come Briony, ritengono legittima tale mescolanza; dall’altra, lo spostamento verso la realtà si esplicita in un ritorno di fiducia nel realismo, contro le cui convenzioni il Postmodernismo si era scagliato.

Come si è accennato all’inizio del secondo capitolo, in realtà, secondo alcuni critici la narrativa britannica avrebbe mantenuto un certo attaccamento al realismo anche durante la fase di maggiore sviluppo del Postmodernismo, rifiutandone gli estremismi. Finney nota, infatti, che i nuovi autori emersi negli anni ‘70, sebbene fossero scontenti del realismo sociale praticato dagli scrittori che li avevano preceduti e dunque alla ricerca di tecniche sperimentali e temi

2 Pateman, Matthew, op.cit., p.181. 3 Ibidem, p.180.

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innovativi,4 condividevano comunque con i vecchi autori realisti una “general