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“We all stand somewhere on a spectrum”:

3.4 L’ordine narrativo

Fin dall’inizio viene evidenziata la passione di Briony per l’ordine, sia nella vita pratica che nelle sue aspirazioni di scrittrice; una passione che viene però fin dall’inizio frustrata dallo svolgersi degli eventi, che non sembra rispettare le sue aspettative. A livello pratico, non è l’unico personaggio a scoprire l’illusorietà del mantenimento dell’ordine: come Briony cerca invano di far rispettare ai soldati le ferree regole dell’ospedale nella confusione dell’emergenza,41 Robbie tenta di rintracciare una forma di ordine che possa rassicurarlo di fronte al caos della ritirata di Dunquerke.42 Dal punto di vista narrativo, l’ordine presenta aspetti

contrastanti: “the instinct for order (so important in the army, Robbie finds; so beneficial in the hospital, Briony discovers) proves of more ambiguous effect when the artistic temperament impinges on life’s confusions”.43 Per l’adolescente

Briony l’ordine narrativo implica una forma di integrità morale: “Her wish for a

40 Wells, Lynn, op.cit., p.110.

41 “Their [the soldiers’] filthy hair, their blackened faces were on the pillows. [...]‘You must get up’, she said as the sister was upon her. She added feebly, ‘There’s a procedure.’” (294)

42 “He’d assumed that the cussed army spirit which whitewashed rocks in the face of annihilation would prevail. He tried to impose order now on the random movement before him, and almost succeeded [...] – this was what happened when a chaotic retreat could go no further.” (247) 43 Kemp, Peter, “Atonement by Ian McEwan”, The Sunday Times, 16 September 2001.

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harmonious, organised world denied her the reckless possibilities of wrongdoing” (5), “A love of order also shaped the principles of justice” (7). Ma si tratta di una moralità superficiale, basata su una forma di semplificazione della realtà, in cui, come nelle storie inventate da Briony, i “buoni” e i “cattivi” sono ben incasellati nei loro ruoli, i primi premiati e i secondi puniti. Per Peter Mathews questa ossessione per l’ordine rivelerebbe addirittura una tendenza “fascista” di Briony, data la passione totalitarista per “external patterns of order and simmetry”.44

Nemico di questa forma di pensiero non è infatti il male, che, ben riconoscibile, porterà alla giusta punizione, ma il caos, ciò che sfugge all’incasellamento e che Briony non sa come giudicare. Il suo primo incontro con questa forma di caos avviene con l’arrivo dei cugini, i cui genitori hanno divorziato: il divorzio appartiene al “realm of disorder”, “and therefore offered no opportuinities to the storyteller” (8-9), a differenza del matrimonio, “a reward withheld until the final page” (7)45. Il secondo incontro, ben più destabilizzante, avviene quando Briony

assiste alla scena di Robbie e Cecilia presso la fontana. A questo incontro sembra seguire notoriamente una svolta nella concezione di Briony del valore della narrazione, nel momento in cui l’adolescente comprende la complessità della realtà e progetta di abbandonare le sue semplificazioni morali a favore di un autore che non deve giudicare: “She need not judge. There did not have to be a moral” (40). Tuttavia gli eventi che seguono mostrano come Briony sia ben lungi dall’aver raggiunto una forma di neutralità narrativa, dato che poco dopo incasellerà Robbie nel ruolo di “cattivo” assoluto. In questo caso, anziché banalizzare la realtà, come quando in un primo momento aveva creduto che Robbie stesse facendo una proposta di matrimonio a Cecilia (38), finisce col renderla più complicata di quanto non sia. Attribuire a Robbie una malvagità perversa e spesso incomprensibile (“evil was complicated and misleading”, 183) le impedisce di vedere che la storia di fronte alla quale si trova potrebbe essere raccontata in una maniera molto semplice e terribilmente simile a una parte della

44 Mathews, Peter, “The Impression of Deeper Darkness: Ian McEwan’s Atonement”, English

Studies in Canada, 32, 1, March 2006, p.154.

45 L’illusorietà della visione di Briony è ulteriormente sottolineata dal finale di Atonement, in cui il matrimonio è garantito solo ai personaggi più immorali della storia, Paul e Lola. McEwan commenta ironicamente: “Psychological realism demands that sometimes the wicked prosper.” (intervista di Adam Begley, 2002, in Roberts, Ryan (ed.), Conversations with Ian McEwan, Jackson, The University Press of Mississippi, 2010, p.105).

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trama del suo dramma The Trials of Arabella: la storia d’amore tra l’eroina e il principe travestito da “impoverished doctor” (3) ha ovvie risonanze nel rapporto tra sua sorella e Robbie, un uomo d’estrazione sociale più bassa che desidera diventare un medico.46

In ogni caso, che le ricostruzioni narrative di Briony si basino su un’eccessiva semplificazione o su una complicazione della realtà, l’ordine narrativo diventa un’imposizione, un’intrusione di una personalità che tenta di dare forma alla naturale caoticità dell’esistenza. La Briony adulta, una volta resasi conto del proprio errore, tenta di fare ammenda passando all’estremo opposto, cioè rinunciando completamente all’emplotment e optando invece per lo stile modernista: “The age of clear answers was over. So was the age of characters and plots. […] The very concept of character was founded on errors that modern psychology had exposed. Plots too were like rusted machinery whose wheels would no longer turn” (281). Il nuovo errore di Briony viene svelato dalla lettera di Cyril Connolly, in cui le viene gentilmente consigliato di aggiungere una trama al suo racconto impressionista Two Figures by a Fountain: “Who can doubt the value of this experimentation? However, such writing can become precious when there is no sense of forward movement. Put the other way round, our attention would have been held even more effectively had there been an underlying pull of simple narrative” (312). Briony si rende conto che, rifiutando di costruire una vera storia, ha coperto il suo crimine e che se vuole dare un senso all’analisi psicologica dei personaggi non può tralasciare lo svolgersi degli eventi.

C’è dunque una possibilità che si trova a metà strada tra l’ingenua sovrapposizione di storie inventate sulla realtà e il rifiuto di una qualsivoglia forma di trama. Come si è visto nel capitolo precedente a proposito della vicenda di Phineas, critici e autori come Hayden White, Peter Brooks e A. S. Byatt hanno espresso l’idea che l’emplotment, la narrazione di una storia con un inizio, uno sviluppo e una conclusione, sia il mezzo più naturale che abbiamo a disposizione per comprendere e riprodurre la realtà. Allo stesso tempo permane la

46 È la stessa Briony a dichiarare, alla fine: “It occurs to me that I have not travelled so very far after all, since I wrote my little play” (370), e a stabilire anche un parallelo linguistico tra le due stor ie: “This is the tale of spontaneous Arabella…” (16) e “As long as there is a single copy, a solitary typescript of my final draft, my spontaneous, fortuitous sister and her medical prince survive to love” (371) [corsivi miei].

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consapevolezza postmoderna del carattere almeno parzialmente manipolatorio delle narrazioni, che costituiscono comunque una forma di contatto “mediato” con la realtà. Questa ambivalenza degli scrittori contemporanei nei confronti del processo narrativo è stata sottolineata da Gauthier, a cui si è già fatto riferimento nel capitolo precedente, ed è presente anche in Atonement, in cui alla consapevolezza del pericolo insito nella sovrapposizione di storie “sbagliate” sulla realtà, viene affiancata l’idea della profonda eticità della narrazione: se Briony vuole scrivere la verità sul suo misfatto può farlo solo raccontando una storia, e non nascondendosi dietro il resoconto modernista. Il collegamento tra etica e

emplotment è reso esplicito, nel romanzo, da un gioco di parole sulla parola backbone, che istituisce un parallelo tra il coraggio e la determinazione etica e le

“fondamenta” di una storia: “Did she really think she could hide behind some borrowed notions of modern writing, and drown her guilt in a stream – three streams! – of consciousness? […] It was not the backbone of a story that she lacked. It was backbone” (320).

La svolta etica di Briony verso una narrazione più responsabile è segnata inoltre anche dal rifiuto di tacere sull’orrore della guerra, con cui la giovane scrittrice, in questo caso, rigetta il consiglio di Connolly:

we do not believe that artists have an obligation to strike up attitudes to the war. Indeed, they are wise and right to ignore it and devote themselves to other subjects. Since artists are politically impotent, they must use this time to develop at deeper emotional levels. [...] Warfare, as we remarked, is the enemy of creative activity. (315)

Da Atonement in poi McEwan si è pronunciato sempre più spesso su questioni etiche e politiche del proprio tempo, e ha ribadito come nella sua idea di romanzo la storia e l’attualità non possano passare sotto silenzio.47 In questo senso

la struttura stessa di Atonement è illuminante: come si è accennato, Laura Marcus ha evidenziato un parallelo tra le sezioni del romanzo e quelle di To the

Lighthouse, ma con un ampliamento della sezione ambientata durante la guerra:

47 Cfr. intervista di David Remnick (2007), in Roberts, Ryan (ed.), op.cit., p.161: “I think that the lifeblood of the novel is, in fact, much to do with the specific, the local, the actual, the naming of things”, e intervista di Zadie Smith (2005), in ibidem, p.115:“I suppose I do have a sneaking sympathy with the view that the real, the actual, is so demanding and rich, that magical realism is really a tedious evasion of some artistic responsibility”.

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“This section transmutes the empty house and the passage of time in To the

Lighthouse into an intensely realized representation of war and its impact upon

bodies”.48 Il modernismo diventa l’emblema di una letteratura elitaria e

d’evasione, che sceglie di non scendere a patti con la nuda realtà dei fatti: "The section "Time Passes" in Woolf's To the Lighthouse (1927) can be regarded as exemplary for this inclination not so much to deny history but to represent it in the form of an ellipse”.49

A questo punto sembrerebbe che ci sia stato un progresso etico nella scrittrice Briony, che impara a posizionarsi nella giusta via di mezzo all’interno del continuum che va dalla sovrapposizione di trame che non corrispondono alla realtà alla registrazione di pure impressioni senza costruzione narrativa. Tuttavia si pone ancora una volta il problema del finale: se è vero che la narrazione è un modo di dare ordine e senso alla realtà, Briony si spinge un po’ più in là trasformandolo in un modo per cambiare la realtà, per restituirle un senso e una giustizia che essa non ha, e per sovrapporvi ancora una volta una trama di sua invenzione. Se l’iniziale tendenza di Briony a mescolare i fatti con la fantasia viene condannata, dato che porta a un’accusa dalle conseguenze etiche pesanti, la stessa tendenza nel finale dovrebbe essere guardata con favore solo perché sostituisce alla realtà una conclusione positiva anziché negativa? Oppure il finale vuole sottolineare, con atteggiamento postmoderno, quanto sia sottile la linea di separazione tra realtà e fantasia, e dunque giustificare Briony?