• Non ci sono risultati.

“Fatti” e narrazione in The Biographer’s Tale di A S Byatt

2.3 La rinuncia al progetto biografico

La prima decisione presa da Phineas, come già visto, riguarda l’abbandono della ricerca universitaria di matrice postmoderna per passare alla ricerca biografica, che, basandosi sugli eventi della vita di una persona reale, dovrebbe avvicinarlo a un tipo di studio più oggettivo. Il successivo fallimento della ricerca biografica richiede un’interpretazione.

Prima di tutto, il lettore avverte una certa ingenuità nella decisione di Phineas, dato che la biografia è un genere molto controverso dal punto di vista del rapporto tra fatti e rielaborazione letteraria da ben prima del Postmodernismo. Già agli inizi del secolo scorso alcuni scrittori si erano interessati al problema della verità nella biografia. Virginia Woolf sosteneva che, contrariamente alle aspettative comuni di fattualità assoluta nel genere biografico, per essere resi interessanti “facts must be manipulated; some must be brightened; others shaded; yet, in the process, they must never lose their integrity”.18 Il biografo più di ogni

altro dovrà cercare di trovare l’esatto equilibrio tra fatti e fiction,19 perché la

biografia è un genere che si serve di tecniche narrative tipiche del romanzo per ricostruire la vita di una persona reale,20 e che tende alla selezione dei fatti in base ai gusti o alle esigenze del biografo. Phineas, entusiasmandosi per i tre volumi di Destry-Scholes, sembra tornare a un concetto di biografia tipico dell’Ottocento, quello della “multi-volume life […] inflated by lengthy excerpts from letters”,21 e

in cui l’ordine dato ai fatti sembra essere una questione classificatoria, quasi

17 Si vedano le seguenti recensioni: Kakutani, Michiko, “A bumbling literary sleuth ends up clueless”, The New York Times, 23 January 2001; Lee, Hermione, “Just get a life...”, Guardian, 28 May 2000; Mendelsohn, Daniel, “Imitation of life”, New York Magazine, 12 February 2001. 18 Woolf, Virginia, “The New Biography”, in Granite and Rainbow. Essays by Virginia Woolf, New York, Harcourt Brace & Company, 1958, p.150.

19 Cfr. ibidem, p.p.154-155: “And here we again approach the difficulty which, for all his ingenuity, the biographer still has to face. Truth of fact and truth of fiction are incompatible; yet he is now more than ever urged to combine them”.

20 Cfr. Nadel, Ira Bruce, Biography. Fiction, Fact and Form, London and Basingstoke, Macmillan 1984, p.8: “Biography is fundamentally a narrative which has as its primary task the enactment of character and place through language - a goal similar to that of fiction.”

46

“tassonomica” o di montaggio, come dimostra il paragone con il mosaico22.

Questo tipo di approccio, se da una parte cerca di essere più oggettivo, dall’altra rischia di fornire una mole di fatti di cui il lettore, e da ultimo lo stesso biografo, non comprende il significato: “Biographers […] are in danger of suffocating from the collected mass of material, becoming lost in minor details, adhering too strictly to chronology and failing to separate what is the important from the trivial”.23 Questo è in un certo senso il problema di Phineas, che si trova di fronte una serie di (limitate) “tracce” di Destry-Scholes, che non riesce a “legare” narrativamente, il che le rende incomprensibili. Le “tessere” dei fatti trovati da Phineas vengono accostate le une alle altre senza che il “mosaico” dia vita a un disegno sensato, per cui la ricerca risulta un esercizio di catalogazione fine a se stesso:

[a]s an academic, Byatt’s many professional skills included ordering, seeking, shaping, collecting, analysing, cataloguing, listing, sorting and filing. […] But […] that sorting is not an end in itself; it’s the linking that she focuses on. This playful linking […] may, in fact, be precisely the opposite of the neat academic ordering which she described so well.24

Come si è visto nel capitolo precedente a proposito di Hayden White, secondo alcuni l’emplotment, la forma narrativa, è l’unico modo con cui possiamo riportare e comprendere la realtà, non nel senso di una sua falsificazione che risponda ai nostri desideri, ma nel senso che è possibile capire la realtà solo dando agli eventi un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Per il critico Peter Brooks la trama è “the organizing dynamic of a specific mode of human understanding”,25

“a structure for those meanings that are developed through temporal succession”,26 e Byatt sembra condividere questa idea quando sostiene che “we

are narrative beings because we live in biological time. Whether we like it or not,

22 “I had a vision of him [Destry-Scholes] sitting over a desk in lamplight, [...] selecting the tesserae – blue, green, ivory, white glass, gold and silver, laying them at different angles on their bed of colour to reflect the light in different ways” (20).

23 Nadel, Ira Bruce, op.cit., p.7.

24 Noakes, Jonathan/Reynolds, Margaret, A. S. Byatt. The Essential Guide to Contemporary

Literature, London, Vintage, 2004, pp.6-7.

25 Brooks, Peter, Reading for the Plot. Design and Intention in Narrative, Oxford, Clarendon Press, 1984, p.7.

47

our lives have beginnings, middles, ends”.27 Destry-Scholes stesso si pone problemi simili quando sintetizza così il processo di scrittura biografica:

First find your facts.

Select your facts. (What to include, what to omit.) Arrange your facts.

Consider missing facts.

Explain your facts. How much, and what, will you explain, and why? This leads to the vexed question of speculation. Does it have any place, and if it does, on what basis? (25)

Il modo di disporre i fatti, cioè, non può eludere il problema della forma narrativa :“You may ask, ‘Why not just publish a dossier with explanatory

footnotes?’ Why not indeed? It is not a bad idea. But you are probably bitten by the urge [...] to construct a complete narrative” (26). Questa spinta a costruire

una narrazione sembra essere inizialmente combattuta a tutti i costi da Phineas, che, come reazione agli studi postmoderni per cui “tutto è narrazione”, vorrebbe entrare in contatto con “cose” allo stato puro; ma la piega presa dalla vicenda dimostra che questo non è possibile. Il fallimento personale di Phineas ricorda quello di Byatt stessa, di cui la scrittrice ha parlato nel saggio Still Life / Nature

morte.28 Byatt racconta del suo progetto di scrivere un romanzo in cui fosse possibile recuperare l’aspetto denotativo delle parole, apparentemente perduto come conseguenza delle teorie postmoderne sull’autoreferenzialità del linguaggio e, ancora prima, come lascito dell’idea eliotiana della “dissociation of sensibility”, cioè la perdita, tipica dell’età moderna, della capacità di sentire fisicamente le parole, come erano ancora capaci di fare i poeti del XVII secolo. Il progetto di Byatt era quello di scrivere un romanzo, Still Life, capace di trasmettere “the ‘thing itself’”, e “that accuracy of description is possible and valuable. That words denote things”,29 sfuggendo agli infiniti rimandi metaforici. Il fallimento di questo

27 Byatt, A. S., On Histories and Stories, op.cit., p.132. Questa connessione tra il tempo narrativo e la natura umana di esseri biologici finiti è molto simile all’idea espressa da Brooks, che utilizza la concezione della materia vivente come divisa tra l’impulso erotico verso la vita e quello mortale verso un ritorno all’inorganico, espressa da Freud in Al di là del principio di piacere, per spiegare il desiderio umano per lo sviluppo di una narrazione e allo stesso tempo per una conclusione soddisfacente. (cfr. Brooks, Peter, op.cit, pp.90-112)

28 Il saggio è contenuto in Byatt, A. S., Passions of the Mind. Selected Writings, London, Vintage, 1991, pp.9-20.

48

progetto coincide nel saggio con la scoperta che non occorre sfuggire le metafore, perché esse non comportano una rinuncia alle cose, ma hanno “their fat, precise, informative life”.30 Il fallimento del progetto biografico di Phineas è similmente

collegabile alla sua scoperta che non gli è possibile dare significato alle cose senza legarle narrativamente, ma che questo non vuol dire le cose “in sé” non esistano. Nella prima metà del romanzo Phineas è ossessionato dalla ricerca di “cose” tangibili: “I felt an urgent need for a life full of things” (4). Dimentica però che una delle caratteristiche che lo aveva spinto ad apprezzare le opere di Destry- Scholes era la sua capacità di affabulatore: “Destry-Scholes had, among all the others, the primitive virtue of telling a rattling good yarn, and I was hooked” (8). Anche la biografia, infatti, richiede una forma narrativa, come la fiction: “[m]odernist literature tried to do away with storytelling, which it thought was vulgar, replacing it with flashbacks, epiphanies, streams of consciousness. But storytelling is intrinsic to biological time, which we cannot escape.”31 Cioè la

forma narrativa non è una deformazione della realtà, ma il modo più naturale che abbiamo a disposizione per comprenderla. Tale forma, tuttavia, deve emergere dai fatti e non venirvi sovrapposta dalla fantasia dello scrittore, come accade negli “ibridi” di Scholes.

Phineas si rende conto di ciò a poco a poco: riflettendo sul tema dello scrivere di sé, cerca di cominciare da un fatto, qualcosa di oggettivo, ad esempio la descrizione dei suoi calzini; ma questo elemento “has a displaced, odd, surreal look” (101) se non viene messo in relazione con altri fatti o con un’interpretazione, ed è proprio questo che il protagonista sembra avere imparato alla fine della vicenda: “I seemed to understand that the imaginary narrative had sprung out of the scholarly one, and that the compulsion to invent was in some way related to my own sense that in constructing this narrative I have had to insert facts about myself, and not only dry facts, but my feelings, and now my interpretations”. (237) Similmente, quando il protagonista inizia le sue ricerche su Destry-Scholes le uniche cose concrete su cui riesce a mettere le mani sono testi, e quando finalmente si troverà davanti delle vere “cose”, la scatola contenente oggetti di varia natura appartenuti al biografo e etichettata da Vera con il

30 Ibidem, p.20.

49

cartellino “UNCLE’S THINGS” (135), Phineas non saprà che farsene e si dedicherà solo all’analisi dei biglietti e delle fotografie. Quelle “cose”, infatti, non contengono alcuna indicazione su una possibile narrazione, e dunque al riguardo si può scrivere solo un puro elenco, o inventare una narrazione fantastica che però non avrebbe più a che fare con la biografia di Destry-Scholes. Phineas si trova cioè a un bivio tra la possibilità di mescolare spregiudicatamente le proprie fantasie ai fatti della vita di Scholes (come questi stesso ha fatto coi propri soggetti biografici), sovrapponendo i propri schemi di pensiero agli eventi (che era proprio ciò che rimproverava alla ricerca postmoderna), o rinunciare del tutto al progetto biografico per mancanza di informazioni. Phineas sceglie la seconda opzione, ma non necessariamente, come per Nünning, perché si rende conto che è impossibile recuperare il passato in maniera oggettiva, senza sovrapporvi una forma narrativa arbitraria; piuttosto perché si accorge che sta correndo questo rischio, dato che la mancanza di informazioni lo spinge a lavorare di fantasia, e ciò lo allontanerebbe dal progetto biografico che lo interessava (“I might have to give up this project for lack of information. I expected it would be no great loss, I heard myself saying, more especially if all I had found was all a tissue of lies”, 119). Allo stesso tempo, i nuovi eventi della vita personale del protagonista si prestano ad assumere una forma narrativa soddisfacente, ed è per questo che la ricerca biografica si trasforma progressivamente nella storia di Phineas.