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“We all stand somewhere on a spectrum”:

3.5 Contro l’indecisione postmoderna

Se il romanzo proponesse una visione postmoderna, in effetti, non ci sarebbe la possibilità di distinguere la vicenda reale da quella inventata da Briony. Come è stato sottolineato da Cormack, nel romanzo manca quell’indecidibilità tra vero e falso che è stata vista come una delle principali caratteristiche della filosofia e della letteratura postmoderna: Briony alla fine rivela come davvero si sono svolti i fatti, mentre “for the novel to be postmodern there would have to be ontological uncertainty rather than the overwhelming confidence about what is

48 Marcus, Laura, op.cit., p.92. 49 Wesseling, Elisabeth, op.cit., p.74.

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true with which we are confronted”.50 A dire il vero, Claudia Shemberg ha notato

come anche lo statuto di verità della morte di Robbie e Cecilia possa non essere così certo:

Note that there is not even any definite clarity about the “fact” that Robbie and Cecilia actually died in the war. As Briony tells us in 1999: ‘I can no longer think what purpose would be served if, say [corsivo di Shemberg], I tried to persuade the reader, by direct or indirect means, that Robbie Turner died of Septicaemia at Bray Dunes on 1 June 1940, or that Cecilia was killed in September of the same year by the bomb that destroyed Balham underground station’.51

Tuttavia è abbastanza evidente dall’assenza di Robbie e Cecilia dall’ultimo capitolo e dal fatto che Briony consideri il suo finale come “a final act of kindness, a stand against oblivion and despair” (372) che la vera sorte dei due amanti, comunque si siano svolti i fatti, è stata quella di morire ed essere dimenticati. Del resto McEwan non ha mai dato a intendere di voler credere che non esista una linea di demarcazione tra vero e immaginario; uno degli intenti dell’autore in Atonement era di investigare “the danger of an imagination that can’t quite see the boundaries of what is real and what is unreal”,52 e la sua

posizione riguardo al relativismo postmoderno è espressa in maniera chiara dalle seguenti affermazioni:

On the one hand, I think that there are things that are the case and there are certain other things that are not, and I’m not much in sympathy with the kind of relativism of, say, postmodernist criticism.[...] we care about these lines, and I think they ought to be drawn actually. I do. I don’t think we could just drift away in a cloud of unknowing relativism about this. Something happened to you or it didn’t.53

L’indecisione postmoderna non viene più vista come liberazione dalla “chiusura” realista, ma come rifiuto di una presa di posizione morale. Se per uno scrittore come John Fowles dotare il proprio romanzo di tre finali alternativi tutti ugualmente possibili significava “liberare” i personaggi dalla dittatura del

50 Cormack, Alistair, op.cit., p.82.

51 Shemberg, Claudia, op.cit., p.37 (nota 169).

52 Intervista di Jonathan Noakes (2001), in Roberts, Ryan (ed.), op.cit., p. 85. 53 Intervista di David Lynn (2006), in ibidem, pp.150-51.

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narratore vittoriano onnisciente che li costringe verso un destino prestabilito,54 la stessa accusa di dispotismo si potrebbe ora rivolgere al narratore postmoderno: quale narratore è più vicino a credersi Dio, quello vittoriano, in grado di entrare a piacimento nella mente dei propri personaggi e di determinarne il destino, o quello postmoderno, che ostenta la possibilità di disporre delle vite dei propri personaggi in un’infinità di modi possibili, tutti ugualmente veri, dato che non esiste un’autorità superiore in grado di decidere al riguardo? Briony, con le sue affermazioni finali, sembrerebbe incarnare proprio questo secondo tipo di narratore-Dio: “how can a novelist achieve atonement when, with her absolute power of deciding outcomes, she is also God? There is no one, no entity or higher form that she can appeal to, or be reconciled with, or that can forgive her” (371); come per Derrida “non c’è niente al di fuori del testo”, così per Briony non c’è niente oltre a quello che questo narratore costruisce: “There is nothing outside her. In her imagination she has set the limits and the terms” (371).

Eppure, questo è vero soltanto nel mondo del romanzo che Briony ha scritto, ma non nel mondo reale. Non si tratta di negare che il narratore non sia effettivamente simile a Dio nella storia che sta raccontando, in quanto necessariamente deciderà dello svolgimento degli eventi, di cosa rivelare ai lettori, come far sviluppare i personaggi ecc;55 ma nella vita reale Briony non può determinare lo svolgersi degli eventi nella maniera che più la soddisfa e un’autorità superiore avrebbe potuto giudicarla e punirla per la sua falsa testimonianza. I due diversi finali di fronte ai quali il lettore si trova leggendo

Atonement non hanno lo stesso statuto, dato che uno, come si è visto, è presentato

come la ricostruzione fantastica della scrittrice e l’altro come quello vero.56 La maturazione di Briony da adolescente incapace di distinguere la realtà dalla finzione a scrittrice adulta consapevole delle proprie colpe non è quindi affatto

54 Cfr. Fowles, John, The French Lieutenant’s Woman, Londra, Granada, 1985, p.86: “The novelist is still a god, since he creates (and not even the most aleatory avant-garde modern novel has managed to extirpate its author completely); what has changed is that we are no longer the gods of the Victorian image, omniscient and decreeing; but in the new theological image, with freedom our first principle, not authority”, e p.348: “the conventions of Victorian fiction allow, allowed no place for the open, the inconclusive ending; and I preached earlier of the freedom characters must be given.”(cap.55)

55 Cfr. intervista di David Remnick (2007), in Roberts, Ryan (ed.) op.cit., p.174: “One of the pleasures, I suppose, of being a novelist is to play god and watch it. Make it happen and watch it”. 56 A differenza, ancora, di quanto avviene in The French Lieutenant’s Woman, in cui il narratore insiste molto sul fatto che i finali alternativi debbano essere presi tutti ugualmente sul serio.

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chiara, anzi, diversi indizi concorrono a dimostrare il contrario. Da ragazzina Briony si risvegliava amareggiata dai suoi sogni a occhi aperti, in cui poteva sperimentare il potere della creazione e del comando sullo svolgimento dei fatti:

The cost of oblivious daydreaming was always this moment of return, the realignment with what had been before and now seemed a little worse […]. Briony had lost her godly power of creation, but it was only at this moment of return that the loss became evident; […] now she was back in the world, not one she could make, but the one that had made her, and she felt herself shrinking under the early evening sky. (76; corsivo mio)

Nel finale il risveglio non avviene neppure una volta terminata la stesura definitiva del romanzo, e Briony continua a credersi Dio, rendendo tutta la sua vita un daydreaming, che si interrompe solo con il suo smettere di scrivere e, paradossalmente, con l’addormentarsi: “But now I must sleep” (372).

Questo significa che la tendenza di Briony a sovrapporre trame narrative di sua invenzione alla realtà non è molto cambiata rispetto a quando era adolescente, e che la sua espiazione narrativa, difficilmente considerabile efficace,57 contiene potenziali elementi di critica nei confronti di una narrazione postmoderna che tende ad assottigliare il confine tra realtà e fantasia. A questo punto occorre fare due considerazioni.

Prima di tutto, vedere il personaggio di Briony come una potenziale critica al narratore postmoderno non significa intendere Atonement come un ritorno all’idea che la realtà possa essere perfettamente rispecchiata dalla scrittura, mezzo trasparente di indagine psicologica e sociale; c’è semmai una riproposta di un tipo di narrativa realistica nel senso indicato da Seaboyer: “I will define novelistic realism broadly in terms of a literary historical tradition that goes back to an eighteenth- and nineteenth-century focus on plot- and character-driven narratives, in which psychologically believable individuals function in familiar, everyday worlds rather than in fantastic or allegorical ones”.58 Questo ritorno a un interesse

57 Alla fine, l’unica vera forma di espiazione vissuta da Briony è forse quella evidenziata da McEwan stesso, cioè il suo vivere tormentata dal ricordo del suo crimine per tutta la vita: “what redeems Briony in Atonement is precisely the fact that she has led an examined life. Her great misdeed pursues her through the years. She will not let herself forget – and this is her atonement” (“Journeys without Maps: An Interview with Ian McEwan”, in Groes, Sebastian, op.cit., p.129) 58 Seaboyer, Judith, op.cit., p.23.

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per le trame e i personaggi del romanzo del XIX secolo è confermato da alcune affermazioni di McEwan:

Atonement could not have been written without all the experiments in fiction and reflections on point of view. And tricks with those and that sense drawn from modernism and postmodernism of having other writing, other texts, the spirits of other writers moving through your pages as if they, too, were as much a part of the real world as forests and cities and oceans. [...] But, I do think that the nineteenth century invented for us some extraordinary things and we’d be crazy to turn our backs on them. and one is, the notion of character. We run narratives about other people in our real lives, we make characters of them, necessarily, because it helps us to guess what they might do next. [...] now it’s become much more complicated, we can’t simply take a point of view and omniscience for granted and there’s a kind of innocence that’s lost there. But still I think, people do hunger for the complete immersion in a fictional world that seems real. We still have that.59

In secondo luogo, se il recupero di alcune forme narrative più “classiche” fa pensare a una critica dell’immaginazione postmoderna, alcuni aspetti del romanzo evidenziano una potenziale critica dell’immaginazione letteraria in generale, il pericolo insito nel mescolare realtà e finzione che non è una caratteristica soltanto della narrativa postmoderna, ma della narrativa in generale. Questo problema, che si è già notato a proposito di The Biographer’s Tale, costituisce parte del dilemma della scrittrice Briony, che, come ha notato Head,60 è anche quello dello scrittore McEwan, il quale si trova a dover trasporre fatti reali nella fiction. Nel caso di McEwan si tratta dell’utilizzo, per la sezione di guerra, di resoconti di vita veri tratti da lettere di soldati al fronte e dai memoirs di due infermiere: “The Memoir of Mrs. A. Radloff”, conservato nella collezione dell’Imperial War Museum di Londra, e l’autobiografia della scrittrice Lucilla Andrews, No Time for Romance. L’utilizzo di queste fonti ha portato a diverse polemiche e accuse di plagio nei

59 Intervista di David Lynn (2006), in Roberts, Ryan, op.cit. p.154. Un altro aspetto della narrativa ottocentesca a divenire potenziale oggetto di discussione in Atonement è l’onniscienza del narratore. Nel romanzo si trova da un lato una parodia del narratore onnisciente, attraverso il personaggio di Emily Tallis (cfr. Ferrari, Roberta, op.cit., p.195-96); dall’altra il romanzo è costruito in base a un narratore onnisciente, in grado di entrare nelle menti di tutti i personaggi, una capacità che, come si è visto, è alla base dell’etica della narrazione. Cfr. “Journeys without Maps: An Interview with Ian McEwan”. in Groes, Sebastian (ed.), op.cit., p.131: “I’ve lost all interest in first-person narrative. I could hurl a book across the room when I feel that the writer is hiding slack writing and clichés behind his characterization – writing badly because this is how a character speaks. I want narrative authority. I want Saul Bellow, I want John Updike, I want Chekhov, I want Nabokov and Jane Austen. I want the authorial presence taking full responsibility for everything.”

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confronti di McEwan:61 alcuni hanno ritenuto lo scrittore colpevole di aver ripreso episodi e informazioni dai due memoirs e averli riadattati per la sezione dedicata alle esperienze da infermiera di Briony. È abbastanza ironico che l’autore di un romanzo la cui protagonista è una scrittrice accusabile di aver cambiato troppo i fatti con la sua narrazione venga stigmatizzato per non averli cambiati abbastanza. E tuttavia è proprio l’ambiguità della ricostruzione narrativa, e la possibilità di una maggiore o minore distanza dalla realtà, a costituire uno dei punti più controversi dell’etica del romanzo.