“Fatti” e narrazione in The Biographer’s Tale di A S Byatt
2.4 La scoperta di sé e dell’altro
Il terzo motivo di potenziale scetticismo nei confronti della narrazione ha a che fare con la concezione del sé e il rapporto con l’altro. Si è visto nel primo capitolo come uno dei cambiamenti apportati dal Modernismo prima, e dal Postmodernismo poi, sia la concezione non unitaria dell’identità di un individuo, luogo di incontro di esperienze frammentarie, solo successivamente sottoposte a una costruzione artificiale che permetta di parlare di un “sé”. Come già anticipato, secondo Alfer e de Campos, The Biographer’s Tale si associa ad altre due opere di Byatt, The Children’s Book e Morpho Eugenia, perché in tutt’e tre il sospetto nei confronti della letteratura si accompagnerebbe a uno spostamento etico verso la scienza. La visione scientifica proporrebbe un’ulteriore alternativa rispetto alla concezione del sé, che si distanzia dall’idea individualista di un’identità unica e definita “[e]ven more than the postmodern idea of the constructed self (which, like the existentialist self, is often directed towards personal fulfilment)”,56 e che, “[i]nstead of seeing humans in a privileged position in relation to their environment, [...] contemplate[s] their part in the wider ecological web, and the human animal as one species among many”.57 Questa visione, corroborata nel romanzo da un commento di Fulla58 e dal parallelo che viene naturale stabilire tra
54 Özüm, Aytül, “Challenging the Literary Genres: A. S. Byatt’s The Biographer’s Tale, Foreign
Literature Studies, 36, 4, 2014, p.71.
55 Campbell, Jane, op.cit., p.7.
56 Alfer, Alexa and de Campos, Amy J. Edwards, op.cit., p.132. 57 Ivi.
58 “[A]nyone going to an airport might suppose that humans are a superorganism. We are held together by threats of dependence as much as the ants. Mechanics and pilots, air traffic controllers and clerks, lift operators and restaurant managers, police and passengers, electricians and painters and escalator-attendants and terrorist scanners – we’re all part of each other. Maybe your Destry- Scholes was trying to describe that.” (240)
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Linneo, il catalogatore di specie vegetali, e Galton e Ibsen, entrambi catalogatori di “tipi” umani, l’uno dal punto di vista genetico, l’altro dal punto di vista psicologico, permette a Alfer/de Campos di dire che il romanzo sostiene una visione “anti-individualistic” e “un-novelistic”,59 in quanto esso si basa di solito
sulla creazione di personaggi con un’individualità ben precisa.
Questa visione è però contrastata dal fatto che, nel corso della storia, il protagonista Phineas si evolve sempre più verso un personaggio dai tratti psicologici e dall’identità ben definiti. Anzi, il romanzo può essere visto come un percorso compiuto dal protagonista verso la scoperta di sé, come evidenziato da Steveker:60 la studiosa ritiene che un tratto caratteristico di diversi personaggi di Byatt sia la costruzione della propria identità attraverso la ricerca letteraria o la scrittura. Phineas, come i protagonisti di Possession, ha inizialmente problemi a riconoscersi in un’identità precisa, a causa della propria formazione postmoderna, che insiste sulla frammentazione del sé: “In a similar way to the protagonists of
Possession, Phineas is thus characterized as another late twentieth-century scholar
whose education in postmodern literary theory has left him with a detached sense of self and a blurred self-perception”.61 All’inizio del romanzo, in effetti, Phineas non sembra avere altra vita al di là di quella di ricercatore universitario, né conoscenze o amicizie di rilievo. La visione postmoderna dell’illusorietà della percezione unitaria del sé rende anche l’ambiente universitario dipinto nel romanzo asfittico e arido: “[w]e have become a strangely dehumanized humanities. This is one of the many ‘facts’ The Biographer’s Tale posseses”.62 La mancanza di una percezione unitaria di sé è anche all’origine della più volte ammessa incapacità di Phineas di comprendere gli altri: “I am not, I have learned, good at human beings in the raw. I have no way of knowing who they are or what they want” (141-142), e del suo iniziale rifiuto di dare valore al concetto di identificazione:
another word I most vehemently avoided – ‘identify’. I hate marking essays by female students who say plaintively that they can’t identify with Mrs Dalloway or
59 Alfer, Alexa/de Campos, Amy J. Edwards, op.cit, p.136. 60 Steveker, Lena, op.cit.
61 Ibi, p.12.
59 Gwendolen Harleth. It is even worse when they claim that they do ‘identify with’ Sue Bridehead, or Tess (it is almost always Hardy). What on earth does ‘identify’ mean? See imaginatively, out of the eyes of? It is a disgusting skinned phrase. (23)
Questa visione rende il protagonista ancora vittima delle idee postmoderne secondo le quali i romanzi riescono a parlare soltanto della propria stessa struttura narrativa e non delle persone o della realtà in cui le persone vivono.63 Il problema dell’identità dei personaggi va di pari passo con quello dell’identità dello scrittore, tradizionalmente ritenuta “irrilevante” dalle teorie postmoderne rispetto all’atto di scrittura in sé. McHale ha sintetizzato così questo fenomeno postmoderno, citando le famose idee di Barthes sulla “morte dell’autore”:
Writing is no longer an expression emanating from a unified source or origin, but rather “a multi-dimensional space in which a variety of writings, none of them original, blend and clash,” “a tissue of quotations drawn from the innumerable centers of culture.” The writer does not originate his discourse, but mixes already extant discourses.64
Franken, analizzando il rapporto di Byatt con le teorie post-strutturaliste, ha notato come la scrittrice sia allo stesso tempo attratta e turbata dall’idea della morte dell’autore; si tratta infatti di una concezione che in parte si avvicina all’idea di “impersonalità” dello scrittore, tipica della visione di Eliot e Leavis, sulla quale la scrittrice si è formata. Tuttavia Franken sottolinea come per Byatt questa impersonalità abbia un valore etico assente dalle teorie postmoderne: queste ultime finiscono con lo sminuire il ruolo e la responsabilità dello scrittore, mentre l’assenza dell’autore di Byatt non deriva da una sua “inconsistenza” in quanto individuo, ma dal suo dovere di distanziarsi, in modo che le storie non si riducano a una narcisistica espressione di sé, e diano la possibilità di “immedesimarsi” nell’altro; questo è possibile solo se si mantiene una concezione definita della propria identità: “I […] have had to bring back into my own
63 Parlando di Possession, Byatt ha detto: “the subject of the novel is, as in postmodernist fiction, the novel, the book. But within that, it is also a sort of passionate plea for readers to be allowed to identify with characters. I mean, you can do both. [...] Most postmodernist fiction cuts out any emotion very much earlier on. It doesn’t allow the reader any pleasure, except in the cleverness of the person constructing the postmodernist fiction. I think that’s boring” (Tredell, Nicolas, Conversations with Critics, Manchester, Carcanet Press, 1994, p.62.)
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thinking the idea, that if you have no self, there are certain things you cannot say”.65
In The Biographer’s Tale, Phineas deve acquisire un’identità definita prima di poter arrivare a comprendere gli altri e il mondo che lo circonda. La prima esperienza che gli permette di riempire il proprio vuoto identitario è l’immedesimazione con Destry-Scholes; nonostante il suo odio per l’espressione “to identify with”, è evidente che Phineas attraversa un processo di forte sovrapposizione tra sé e Scholes, un processo che a tratti cerca di negare anche a se stesso: “There was an affinity between us” (27), “I do not like liquorice, and wondered whether Destry-Scholes did” (30), “The house [of Destry-Scholes] resembles, quite a lot, the square red brick box in which I was born […]. I tried not to think of this. […] Destry-Scholes’s childhood had nothing at all to do with mine” (31). Questo processo si spinge, però, a un punto tale da rendere Phineas quasi “posseduto” da Destry-Scholes, tanto che comincia a non distinguere più il proprio modo di scrivere da quello del biografo : “I start too many hares. (What
does that mean? I have never senn a hare run. […] Ah, but in the mind’s eye …
And whose voice is that, with its plangent Ah, but …?) I shall go back to my list of what was, before I or Destry-Scholes interrupted it, a reasonably coherent […] cluster” (168). Come la narrazione contiene sempre in sé il rischio di manipolazione artificiale della realtà, dunque, anche l’identificazione, se portata all’eccesso, rischia la sovrapposizione tra il sé e l’altro e quindi, come negli ibridi di Galton, la cancellazione di entrambi. Destry-Scholes sembra essere rimasto vittima di un’eccessiva identificazione con sir Elmer Bole, oppure potrebbe aver sovrapposto i propri interessi all’oggetto di studio, manipolandone la biografia.66
Da ciò la metafora della scrittura “parassita”, che rischia di coinvolgere anche Phineas: “[a]t the beginning Phineas has no life of his own and so he parasitically begins to feed on the life of the biographer”.67 Secondo Steveker, l’abbandono del
progetto biografico da parte di Phineas corrisponde al riconoscimento dell’alterità
65 Byatt, A. S., “Identity and the Writer”, cit. in Franken, Christien, op.cit., p.18.
66 Si vedano i seguenti passi: “Destry-Scholes writes as though he were looking with Bole’s eyes” (13-14); “Destry-Scholes appears toh ave learned Bole’s languages” (15).
67 González, Carla Rodríguez, op.cit., p.457. Come notato da Stott, Byatt nei ringraziamenti in fondo al romanzo mette in evidenza un gioco di parole tra i nomi dei personaggi Phineas G. Nanson e Scholes Destry-Scholes e quello di due insetti, l’uno preda dell’altro: Phaeogenes nanus e Scolytus scolytus (cfr. Stott, Cornelia, op.cit., p.185).
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di Destry-Scholes, che, data la scarsità di informazioni, non può essere “conosciuto” senza che Phineas se ne “appropri”:
The process of imaginatively relating to the biographical other thus turns out to be ethically questionable, as it violates the biographee’s autonomy as a separate individual. By denying Phineas biographical success, the novel finds a way out of this ethically difficult situation. [...] Failing to comprehend Destry-Scholes, Phineas can only confirm his biographee’s absence. Respecting this absence, Phineas also respects him as an individual fundamentally different from himself. The Biographer’s Tale can, therefore, be seen as framing Destry-Scholes as a total other who – in the sense of Levinas – is always absent, but for whom the self has to take responsibility.68
Man mano che Destry-Scholes, rivelandosi sempre più sfuggente, scompare dalle ricerche, è la personalità di Phineas ad acquisire concretezza e importanza, e, parallelamente allo sviluppo di sé, il protagonista acquisisce la capacità di rapportarsi agli altri in maniera più intima e naturale, come dimostra la scena in cui Phineas riesce ad essere di sostegno a Vera in un momento di crisi della ragazza (217-218). Il riconoscimento di un’identità definita dell’altro è una conseguenza del riconoscimento dell’esistenza di una realtà esterna al sé, e si oppone alla concezione dello scrittore come catalizzatore di una serie di caotiche esperienze che possono essere riversate nella narrativa solo passando attraverso il filtro (potenzialmente manipolatore) di questo fluido “io”. Byatt ha definito questo modo di scrivere, caratteristicamente postmoderno, solipsistico, e gli ha contrapposto la visione della narrativa espressa da Iris Murdoch nel saggio
Against Dryness, nel quale la scrittrice sottolinea l’importanza etica del
riconoscimento di un nocciolo di realtà “vera” esterna allo scrittore: “Iris Murdoch’s truth-telling involves an abandoning of solipsism, a recognition that ‘reality’ is other than ourselves, an Eliot-like ideal of the impersonal artist , a return to the ‘hard idea of truth’ as opposed to the facile idea of sincerity”.69
La visione di Alfer/de Campos, per cui The Biographer’s Tale sosterrebbe una concezione scientifica contraria all’individualismo del romanzo, può dunque essere sostenuta fino a un certo punto. Questa è semmai la visione che sembra emergere dagli scritti dei tre personaggi storici analizzati da Destry-Scholes: è nel
68 Steveker, Lena, op.cit., p.30.
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mondo utopico ideato da Galton, chiamato Kantsaywhere, che le persone “think much more of the race than of the individual” (226), ma il romanzo, con lo sviluppo del personaggio di Phineas, sembra sostenere una visione opposta. Ciò che accomuna Linneo, Galton e Ibsen è che “[a]ll three moved from microscope to macroscope, from the minute to the vast” (236), e, forse proprio in conseguenza di questo, la loro incapacità, che traspare dai documenti di Scholes, di provare compassione per gli altri. Queste tre figure diventano dunque un esempio negativo non solo dal punto di vista della mescolanza tra fatti e finzione, ma anche di incuranza empatica verso le altre creature,70 di cui la loro scienza o la loro arte si appropriano in maniera parassitica. A questo il romanzo oppone una visione almeno parzialmente positiva della narrativa come scoperta di sé e dell’altro: “[s]ince the narrative Phineas constructs is a novel, that is, a literary text, The
Biographer’s Tale presents identity to be bestowed not only by writing in general,
but by writing literature in particular”.71
The Biographer’s Tale si trova dunque in una posizione particolare: da una
parte Byatt utilizza schemi narrativi tipici del postmoderno, dall’altra affronta il tema dei pericoli etici associati a una mescolanza spregiudicata di fatti e finzione, alla manipolazione della realtà tramite la narrazione e alla mancanza di una concezione definita del sé; come ha sintetizzato bene Lee, “[t]his is an addict’s book about the dangers of literary addiction”.72 Questa ambivalenza nei confronti della narrativa postmoderna porta a un dubbio etico sulla narrativa in generale, che contiene sempre un certo grado di manipolazione immaginativa della realtà, tale da renderla “pericolosa”: “I don't understand why, in my work, writing is always so dangerous. It's very destructive. People who write books are destroyers”.73 La rinuncia (almeno parziale) alla letteratura e il passaggio di
Phineas a una vita pratica rappresentano una risposta estrema alle idee postmoderne sulla pervasività delle strutture narrative e sull’inevitabile
70 Si pensi ad esempio alla scena teatrale dell’incontro di Ibsen col figlio illegittimo, o alla noncuranza con cui Galton conduce i propri esperimenti sugli animali e al distacco scientifico con cui sia lui che Linneo trattano le abitudini o le sofferenze delle popolazioni incontrate nei rispettivi viaggi.
71 Steveker, Lena, op.cit., p.126. 72 Lee, Hermione, op.cit.
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mescolanza tra fatti e finzione. Questa conclusione “paradossale” per un romanzo è controbilanciata da alcuni spunti per una riabilitazione in positivo della narrativa come mezzo di comprensione della realtà, oltre che di conoscenza di sé e dell’altro. Questo porta a una nuova attenzione verso la capacità denotativa del linguaggio letterario, verso la convinzione che esistano narrazioni che si avvicinano maggiormente alla realtà e che occorra resistere alla tentazione della “facile” manipolazione dei fatti.
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