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Buio o luce? L'interesse dannunziano per la fotografia

V. L'ARTE E LA FOTOGRAFIA NELLA VITA E NELL'OPERA DANNUNZIANA

5.2 Buio o luce? L'interesse dannunziano per la fotografia

Strenuo sostenitore delle arti, d'Annunzio si dimostra capace di recepire, oltre alle tendenze letterarie e culturali, le più intriganti novità anche di ordine tecnologico che caratterizzano il nuovo secolo, tra le quali un posto significativo è occupato dalla fotografia.

Convito che l'artista debba cercare non il successo nell'apprezzamento di pochi, ma il consenso nel grande pubblico, i cui gusti devono essere decodificati e assecondati, l'autore non distoglie mai l'attenzione dalle novità intervenute nel campo della ricezione e della comunicazione. Cosciente della degradazione sociale subita dalla figura stessa dell'artista moderno nella società borghese, d'Annunzio si fa promotore di un nuova concezione che riabiliti la bellezza e l'arte pura.

L'arte è da lui concepita come bellezza nel senso classico e classicista ereditato da Carducci e nel senso del nuovo estetismo decadente. È per questo che da una parte si mostra come l'ultimo umanista, dall'altra si proclama moderno esteta in una società di massa. Questa concezione e questo

105 E.RAIMONDI, Gabriele d'Annunzio, cit.., p. 49.

106 Ivi, p.52. 107 Ivi, p.50.

contraddittorio atteggiamento aprono a un rapporto di ostilità con la nuova idea di arte lontana ormai dalla grandiosità classica e legata soltanto all'interesse e al mercato, poli di valore economico che la rendono una merce qualsiasi.

Ne deriva che d'Annunzio, reagendo di fronte a tale decadenza artistica, non solo la neghi elevando la bellezza quale precetto e valore assoluto, ma la sfrutti anche con ampia abilità avvicinandosi ai complessi meccanismi dell'industria artistica e alle nuove mode.

In merito sono significative le parole di d'Annunzio stesso:

l'opera d'arte è determinata dalle condizioni generali dello spirito e dei costumi presenti nell'epoca. V'è un legame e una rispondenza costante tra i fatti della vita reale e le finzioni che l'arte produce sotto l'influsso di quei fatti. Certe forme d'arte non possono schiudersi se non in una speciale temperatura morale. Ippolito Taine ha magistralmente dimostrato, in pagine definitive, in quali necessità inoppugnabili in certe epoche e in certi paesi l'arte assume diversi caratteri dominanti e si sviluppi in un senso piuttosto che in un altro. Il secolo mette su tutti gli artefici la sua impronta. Non è possibile resistere alla pressione dello spirito pubblico. Sempre lo stato generale dei costumi determina la specie dell'opera d'arte, tollerando soltanto quelle che gli sono conformi ed eliminando le altre per una serie di ostacoli imposti e di assalti rinnovati ad ogni grado del loro sviluppo.108

È chiaro allora che, seppur criticando la moderna società di massa, d'Annunzio finisca per utilizzare proprio i più moderni mezzi di massa per costruire il proprio successo, per propagandare se stesso, costruendo così la figura di un artista solitario e superiore che disprezza la massa, ma al tempo stesso ne usa i moderni mezzi per circondarsi di esperienze esclusive e raffinate. Abile promoter di se stesso, d'Annunzio fa della sua vita una campagna pubblicitaria: segue i comportamenti dei personaggi delle sue opere e dei suoi romanzi, si guadagna amori scandalosi, ambisce a gesta eroiche, tende alla trasgressione.

Scrive a tal proposito Ezio Raimondi:

la volgarità del mondo moderno fa da retroscena o da cornice all'estetismo dannunziano, e ne rappresenta alla fine il polo negativo, il contrappunto dialettico. Viene alla memoria l'esordio del Piacere, dove si spiega, con una correlazione quanto mai sintomatica e scopertamente ideologica, che «sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tanto viva di generazione in generazione una certa tradizione familiare d'alta cultura, d'eleganza e di arte»; […].

Mentre scorge nel realismo della grande città contemporanea la morte dell'arte e intravede il difficile rapporto tra letteratura e incipiente società di massa, il d'Annunzio avverte però anche, all'interno del mondo borghese, un'inquietudine diffusa, un'esigenza di sottrarsi all'ordine della razionalità quotidiana […]. Queste ultime parole si leggono nella «Tribuna» del 1893 […] ma per intenderle sino in fondo, conviene collegarle a quanto il d'Annunzio sosterrà, due anni dopo, nell'intervista con l'Ojetti […]. A differenza di coloro che temono, con la fine del secolo, il naufragio di tutte le cose belle e di tutte le idealità, l'intervistato […] dimostra la vitalità dell'opera letteraria […]: ed è una vitalità, poi, che dipende dalle nuove strutture della società capitalista e dall'appetito sentimentale della moltitudine, la quale ha bisogno di proiezione al di fuori della vita borghese d'ogni giorno.109

È in questo modo che il poeta, mettendo in scena anche un sapiente scambio tra arte e vita, si avvicina alla fotografia, la quale sapientemente riesce ad appagare i suoi desideri di esibizione e ostentazione. Innamorato di sé più di Narciso, egli sfrutta il nuovo mezzo fotografico per lasciare una traccia iconografica perfetta di sé. Perfetta perché tutti gli scatti che lo ritraggono sono fotografie di alto pregio.

Tuttavia, nonostante quell'amor proprio che lo spinge ad avvicinarsi alla fotografia sia una

peculiarità insita nella egocentrica e vanagloriosa personalità dell'autore, l'avvicinamento al nuovo mezzo fu veicolato da un altro grande artista del tempo, amico di d'Annunzio e grande pittore, Francesco Paolo Michetti. L'avanguardia rispetto alle forme artistico-estetiche del suo tempo fece di lui non solo uno specialista e innovatore in campo pittorico, ma anche un esperto fotografo che seppe usare la macchina fotografica con estrema perspicacia e considerazione, arrivando a coniugare in maniera sapiente tecnologia e arte figurativa.

VI. LUOGHI E PERCEZIONI VISIVE: L'INFLUENZA DELLA FOTOGRAFIA