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Gli scatti al d'Annunzio e la fotografia “reportage” del Primoli

IX. D'ANNUNZIO NELLA ROMA DI FINE OTTOCENTO E NELLA FOTOGRAFIA

9.3 Gli scatti al d'Annunzio e la fotografia “reportage” del Primoli

Capace di dare vita a «una saporitissima, preziosa documentazione fotografica»215 in quanto

«amico e confidente di letterati, di artisti, di attrici a Roma e a Parigi»,216 Gégé Primoli «può essere

considerato come un vero e proprio primitivo del reportage».217

A tal proposito sono interessanti le parole con cui Lamberto Vitali in Un fotografo fin de

213 M. SPAZIANI, Con Gégé Primoli nella Roma bizantina, cit., pp.61-62-63.

214 Ivi, p.63. 215 Ivi, p.26. 216 Ibidem. 217 Ibidem.

siècle. Il conte Primoli definisce il precoce avvicinamento del conte alla fotografia di reportage:

del fotoreporter ha l'occhio sicuro, la decisione pronta, la rapidità d'azione, la curiosità insaziabile e inesauribile di tutti gli aspetti della vita che si anima attorno a lui, sia quella della strada oppure quella dell'aristocrazia alla quale appartiene per diritto di nascita: aristocrazia che gli consente un'entratura negli ambienti più chiusi e vietati, fino alla Corte e al Vaticano, e della quale sa approfittare in ogni momento e in ogni occasione, con una disinvoltura e un'audacia rese lecite soltanto dalla propria condizione sociale.218

Gégé immortala nei propri scatti in maniera puntuale e sistematica la classe sociale della bella èpoque con la stessa tecnica che oggi usano i fotoreporter: «Primoli non si accontenta mai di scattare una sola fotografia del soggetto. Quasi rendendosi conto di come e quanto giuochi in fotografia l'elemento caso, egli la ripete più volte con piccole varianti».219

I risultati derivanti dall'uso di questa pratica, peraltro piuttosto difficile se si pensa all'essenzialità degli apparecchi fotografici utilizzati, sono straordinari come si nota dalle fotografie scattate al d'Annunzio nelle quali risaltano quella del 1897 in cui Primoli ritrae d'Annunzio alla caccia della volpe e quella in cui l'autore è immortalato nella campagna romana.

La tecnica con cui il Primoli osservava fotograficamente la realtà è piuttosto complessa e prevede la costruzione di serie di immagini conseguenti capaci di descrivere e narrare eventi e avvenimenti in modo esaustivo e completo: «Primoli insegue l'avvenimento e non se ne lascia sfuggire nessuna fase […]».220

Il suo approccio al linguaggio fotografico è a tal punto innovativo e moderno che «Pirmoli ritrae spesso non l'avvenimento, ma l'avvenimento riflesso nelle impressioni degli astanti».221

Questo aspetto si nota in maniera evidente nella fotografia sopracitata del 1897 Gabriele

218 M.SPAZIANI, Con Gégé Primoli nella Roma bizantina, cit., p.26.

219 Ibidem. 220 Ibidem. 221 Ibidem.

d'Annunzio alla caccia alla volpe, in cui il fotografo non ritrae direttamente l'autore a cavallo

impegnato nella battuta di caccia, ma da un'angolazione trasposta mette in evidenza lo sguardo teso dell'amico e degli altri personaggi immortalati, donando alla fotografia una carica espressiva potente.

Diverso, invece, il caso degli scatti a soggetto dove il Primoli mostrò chiaramente la sua arte, manifestando particolare interesse per le immagini istantanee. Benché il gusto per le scene a soggetto fosse assai diffuso, gli scatti di Gégé non si esauriscono mai in una sola posa, ma generano una serie di immagini, «quasi pagine di una novella».222 Infatti, «per i ritratti le conclusioni sono

differenti, non soltanto grazie alla ricchezza offerta dalla documentazione iconografica, ma specie perché il Primoli seppe spesso rendere del modello un'interpretazione psicologica tutt'altro che mediocre».223

Tuttavia la sua attività fotografica non si dipanò soltanto nella raffigurazione e rappresentazione delle eminenti personalità con cui era entrato in contatto nei suoi cospicui viaggi tra Roma e Parigi, ma si svolse anche tra gli ambienti popolari, tra personaggi umili immortalati nella loro vita quotidiana. La fotografia in questo modo diviene strumento utile a classificare, indagare, studiare e analizzare gli esseri umani e la loro esistenza. La scelta di questo approccio alla fotografia deriva dalla presa coscienza della miseria e delle pessime condizioni economico-sociali del popolo italiano dopo l'Unità d'Italia.

A tal proposito è significativo quanto scrive Lamberto Vitali:

Primoli invece si mescola al popolo minuto e lo ritrae nella vita d'ogni giorno, documentandone i mestieri più umili – barbieri all'aperto, scrivani pubblici, caprai, venditori ambulanti di cerini, di dolciumi, di giocattoli da pochi soldi, di immagini sacre, e selciaroli, figurinai, spazzini, rigattieri, acrobati, osti di periferia, agliari, vetturini – o assistendo alle processioni e ai divertimenti delle fiere o

222 M.SPAZIANI, Con Gégé Primoli nella Roma bizantina, cit., p.26.

dando scrupolosamente una cronaca veridica e esauriente […].224

È in questo modo che il nobile fotografo romano

aveva [...] avvertito il contrasto terribile fra la fastosità della vita mondana, di una società alla quale pure egli apparteneva, e la miseria irrimediabile del popolo; fra la vanità degli uni e le sofferenze degli altri in quelli che furono gli anni più duri e più neri della nuova Italia unificata; fra l'inutilità e gli errori di una politica ambiziosa e sproporzionata di armamenti […] e i bisogni di un popolo mal nutrito […].225

Se ne evince che sia che Primoli rappresenti nelle sue fotografie la povertà della popolazione italiana sul finire del secolo sia che raffiguri la nascente società borghese, fa un uso della macchina fotografica tutto nuovo e innovativo.

Egli rappresenta oggettivamente ciò che sta di fronte all'obiettivo, ma di quel referente non si limita a immortalarne la pura apparenza, ma, attraverso pose e scatti continui, ferma l'istante reale, allontanandolo dal continuum temporale. È in questo modo che imprime alle fotografie scattate un nuovo modo di concepire la realtà: non più soltanto pura esteriorità, ma parvenze di una profondità implicita nei soggetti raffigurati.

Nonostante sia considerato il precursore del fotoreportage italiano, la sua fotografia è molto di più di una mera documentazione di ciò che al di là dell'obiettivo fotografico, è una sorta di linguaggio capace di leggere nella profondità psicologica e “spirituale” del soggetto immortalato.

224 L.VITALI, Un fotografo fin de siècle. Il conte Primoli, cit., p. 28.

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