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L'immagine come la scrittura: fissazione di significati

III. LA FOTOGRAFIA COME SGUARDO SUL MONDO

3.2 L'immagine come la scrittura: fissazione di significati

L'oggetto fotografico assume così una natura altra, perde il suo significato standardizzato e documentaristico del mondo e si carica di un surplus più profondo che tocca sia la sensibilità dell'artista sia la dinamicità interna dell'immagine.

A tal proposito sono significative le parole di Viviana Gravano:

Nella fotografia si è sempre abituati a vedere lo spazio di un vissuto esterno. Si è voluto sempre credere che la fotografia, per sua stessa natura, fosse semplicemente un fotogramma che blocca, lo scorrere del tempo esterno all'immagine, neutrale, con i suoi eventi. L'azione contenuta in ogni fotografia dovrebbe dunque corrispondere all'immagine di una azione reale. Lo spazio fotografico sarebbe dunque il luogo del reale, è il reale traslato e trasposto su carta […]. L'azione dovrebbe essere considerata come fattore esterno all'immagine, presente nello spazio fotografico sotto due forme diverse: l'azione di chi realizza la fotografia e l'azione che si svolge davanti alla macchina fotografica. Lo spazio fotografico sarebbe quindi uno spazio “agito” e non “agente”: sarebbe lo spazio degli accadimenti esterni. Ora, proprio la stessa storia della fotografia dimostra, a volte suo malgrado, che lo spazio fotografico è invece spazio agente. La dinamica interna all'immagine non dipende affatto dall'azione che viene tracciata, impressa, o imprigionata, ma è l'azione linguistica insista nell'immagine che risponde a sue dinamiche interne [...] .48

La fotografia, come emerge dalle parole dell'autrice, non è spazio di fissazione della realtà esterna, ma unione di significato e significante, di immagine visiva e immagine mentale. Non un'arte fondata sulla tecnica (la riproduzione perfetta del reale), ma spazio linguistico in cui l'implicito dell'immagine si fa esplicito.

Ogni fotografia finisce così per tradursi da icona a simbolo, ossia da mera traccia referenziale

48 VIVIANA GRAVANO, L'immagine fotografica, Associazione Culturale Mimesis, Milano, 1997 in Claudio Marra, Le

dell'oggetto a particolare segno che scaturisce dall'atto fotografico e «rende possibile l'incontro percettivo e l'acquisizione cognitiva del reale».49 L'atto fotografico non nega in se stesso la realtà o

la considera come pura apparenza; il reale esiste e su questo si esercita l'esperienza, tanto che l'esistenza della cosa da fotografare è la condizione per cui esiste la fotografia stessa. Tuttavia, presupponendo una sintesi tra percepito e non percepito, il fotografo dà vita a una nuova realtà caricandola di un surplus fondato sul connubio tra il soggetto che vede e ciò che è visto.

È interessante a questo punto richiamare il saggio Arte e fotografia di Heinrich Schwarz:

fotografare può essere qualcosa di più dell'atto di azionare un dispositivo meccanico, e una fotografia non è soltanto la replica di un frammento di realtà visibile. Se così fosse, come sostiene chi si accosta a questa attività del tutto unica in modo superficiale o polemico, allora ogni differenza sarebbe da imputare al congegno o all'apparecchio fotografico e la rappresentazione finale sarebbe soltanto un facsimile. Ma noi sappiamo che non è così e che innumerevoli fotografie scattate nelle medesime condizioni ottiche non daranno mai risultati identici.50

Ne consegue che il fotografare come lo scrivere presuppone, oltre che «una complessa relazione tra l'esteriorità ontologica dell'immagine e la percezione interna del soggetto»,51 la

codifica della veridicità del dato empirico e l'avvento di una trasposizione. Questa, determinando «lo scollegamento tra la cosa e la sua rappresentazione»,52 provoca l'implicita confutazione di

«qualsiasi rivendicazione circa l'integrale valenza mimetica della processualità linguistica o visiva».53

Pertanto la convinzione di Roland Barthes relativa alla persistenza fotografica e alla «cosa

49 FILIPPO SECCHIERI, Due regioni del figurale, in Anna Dolfi, Letteratura & fotografia, cit., p.35.

50 HEINRICH SCHWARZ, Arte e fotografia. Precursori e influenze, traduzione italiana di Chiara Spallino Rocca, Torino,

Bollati Boringhieri, 1992, p.3.

51 F. SECCHIERI, Due regioni del figurale, cit., p.37.

52 Ivi, p.38. 53 Ibidem.

necessariamente reale che è stata posta di fronte all'obiettivo»,54 solo in parte risulta accettabile

poiché l'atto fotografico, a una più attenta analisi, si presenta come luogo di compenetrazione tra realtà e surrealtà, tra ciò che è evidente e ciò che è nascosto. Questo significa che la fotografia conserva sì un legame diretto con l'esperienza empirica, immortalando ciò che effettivamente sta davanti all'obiettivo (l'hic et nunc), ma comporta anche il realizzarsi di una sorta di “modificazione” che rende evidente quell'inafferrabilità metafisica e ontologica peculiare a ogni forma dell'apparire.

Pertanto la fotografia non si presenta più come risultato di un'azione empirica, ma come segno che «non copia, né ha il potere di fissare definitivamente la cosa bensì le sta accanto, a sua volta proponendosi alla stregua di una cosa, di un precipitato di senso».55

Ne consegue che l'obiettivo fotografico porta alla luce il lato nascosto delle cose, quel carattere segreto del reale che il dagherrotipista Holgrave nel «romanzo fotografico»56 The house of the seven gables di Nathaniel Hawthorne, mostra come risultato di quello «sguardo penetrante,

ipnotizzante»57 su cui si fonda la propria arte. Costruendo il romanzo sulla rappresentazione di

ambienti e immagini in una continua alternanza di luci e ombre, Hawthorne suggerisce «un parallelo tra la propria arte e quella del fotografo»,58 lo scrittore si fa fotografo e il fotografo si fa

scrittore. La fotografia realizza, infatti, quelle qualità formali che definiscono l'atto della scrittura, ovvero «isolare un istante, strapparlo alla continuità temporale, al susseguirsi di altri istanti che rischiano di soffocarlo e consegnarlo all'oblio».59

Divengono così importanti le riflessioni di Melania Mazzucco in La camera oscura della

fantasia:

cominciando a scrivere un romanzo, immergendomi nel buio della camera oscura (dell'immaginazione, della fantasia, dell'inconscio, dell'io trascendentale, non saprei come chiamarlo) inquadro una

54 ROLAND BARTHES, La Camera chiara. Nota sulla fotografia, traduzione italiana di Renzo Guidieri, Torino, Einaudi,

1980, pp.77-78 (corsivo nel testo).

55 F.SECCHIERI, Due regioni del figurale, cit., p.38.

56 S.ALBERTAZZI, Letteratura e fotografia, cit., p.76.

57 R.DE ROMANIS, Scrivere con la luce. Fotografia e letteratura tra Otto e Novecento, cit., p.23.

58 S.ALBERTAZZI, Letteratura e fotografia, cit., p.76.

scena, un tempo, un mondo, ma nell'atto della scrittura lascio che affiorino particolari che non avevo progettato, storie e personaggi che non avevo riconosciuto - lascio che si scatenino reazioni chimiche di cui solo in parte ho il controllo. Certo posso accendere la luce, posso rovinare la pellicola, virarne i colori – non posso però mutare ciò che vi è impresso – e che io stessa non conosco. Posso solo lasciarlo affiorare […] lasciare comunque che parli, che si faccia romanzo, storia, parola. Il processo di “sviluppo” della fotografia è il processo di “sviluppo” della narrazione, e dunque l'origine del racconto.60

Il processo della fotografia, così come quello della scrittura, si realizza attraverso uno sguardo completo sul mondo e si attua come creazione che diviene «reagente che fa sorgere un'immagine».61

Ne consegue che la fotografia creando «una nuova percezione del tempo (immobilizzandolo) e dello spazio (estendendolo all'infinitamente grande e all'infinitamente piccolo) esercita un'influenza essenziale sulle modalità – sui soggetti – della rappresentazione».62 Essa, infatti, stimola la ricerca

introspettiva, diviene il codice dei segni della memoria da cui scaturisce la narrazione e presuppone, come la scrittura, non fedeltà, ma rielaborazione creativa.

Da uno sguardo più attento si ricava che il fotografare come lo scrivere «non è mai semplice applicazione transitiva»63 che estende all'infinito ciò che è e che sta di fronte all'obiettivo, ma queste

due modalità di approccio al reale includono l'interpretazione come conseguenza del rapportarsi alle cose del mondo e irradiano sempre qualcos'altro che va oltre la peculiarità oggettiva del segno.

A tal proposito divengono significative le parole di Filippo Secchieri in Due regioni del

figurale:

la significazione è sempre polarizzata dal suo opposto, da un silenzio o da un'assenza ai quali reagisce: si narra sfiorando l'inenarrabile, si lasciano segni d'ogni sorta per sconfiggere il vuoto,

60 MELANIA MAZZUCCO, La camera oscura della fantasia, in Anna Dolfi, Letteratura & fotografia, cit., p.24.

61 ANNE MARIE JATON, «Pas un livre qui n'émette un rayon de lumiere»: fotografia e scrittura in Blaise Cendras, in

AA.VV, Letteratura e fotografia, cit., p.47. 62 Ibidem.

la cecità, l'ignoto. Per questo l'irrappresentabile, l'ancor privo di forma è con tutta probabilità il vero, comune e comunemente mancato obiettivo di figure, siano esse letterarie o fotografiche […]. l'irrappresentabile, l'ordinario e perpetuo oggetto latente della rappresentazione, è la stessa vischiosa, onniavvolgente densità del reale, lo stigma del suo resistere alla presa: qualcosa che sfugge e si trasforma […].64

Ne deriva che la precisione dello sguardo presupposta per l'obiettivo fotografico altro non è che «un filo di una trama più ampia e più complessa» che dal segno visibile muove all'invisibile, dalla cosa presente muove all'assenza. Allora fotografia e scrittura altro non sono che arti della trasformazione degli oggetti in segni visivi o linguistici da cui scaturiscono altri oggetti.

Pertanto il fotografo, trascendendo la meccanicità del guardare e del vedere un oggetto, compone e plasma il visibile oltre la pura apparenza, deborda la mera strumentalità e capta ciò che sta al di là dell'oggetto reale da immortalare. Egli, capace di stabilire solidi rapporti «tra il reale e l'immaginario, il fisico e il mentale, l'oggettivo e il soggettivo»,65 scopre aspetti della realtà che

apparentemente non sussistono.

Si comprende attraverso queste delucidazioni che lo scatto non riproduce il reale, ma lo ricicla allo stesso modo in cui la narrazione concede una visione trasformata della realtà, avvalendosi spesso della fotografia come mezzo per riconvertire i propri materiali.

64 F.SECCHIERI, Due regioni del figurale, cit., p.53.

IV. LA DOPPIA NATURA FOTOGRAFICA. PARVENZE E ASSENZE NEL