• Non ci sono risultati.

VI. LUOGHI E PERCEZIONI VISIVE: L'INFLUENZA DELLA FOTOGRAFIA

6.2 D'Annunzio e Michetti: familiarità fotografica

Tenace sostenitore dell'arte e di tutti i suoi più eccelsi e manifesti esercizi, D'Annunzio non rimase certamente estraneo alle evidenti novità introdotte dal nuovo mezzo fotografico. Anzi, provando un'effettiva ammirazione per la fotografia come scrive in una lettera al Nunes Vais nel 1906

vorrei conoscere la magia novissima con cui Ella riesce a compiere il veloce prodigio serrando “uno spirito di sole” nella

piccola nera prigione di metallo e di cristallo. La macchina che prima non era atta se non alla rappresentazione brutale della realtà, oggi è divenuta nelle sue mani uno strumento di infinita delicatezza poetica124

l'autore dimostra una concreta vicinanza alle novità iconografiche introdotte a partire dall'invenzione e dal successivo ammodernamento della tecnica fotografica. Peraltro nella lettera parla di «delicatezza poetica»125 riconoscendo al nuovo mezzo non più soltanto il “banale” compito

di riproduzione esatta e reale del referente posto di fronte all'obiettivo, ma il difficile incarico di farsi linguaggio complesso della natura intima e profonda.

È chiaro che il contatto che d'Annunzio ebbe con buona parte dei “campioni” artistici e fotografici (utilizzati anche per la produzione letteraria) fu mediato dall'amico e pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti. D'Annunzio soggiornò spesso nell'elegante dimora del pittore a Francavilla al Mare, dove i due fraterni amici condivisero passioni e interessi comuni, disquisendo quotidianamente anche con altri intellettuali riuniti nel cenacolo michettiano del Convento di Santa Maria del Gesù, oggi noto come Convento di Sant'Antonio.

Apprezzandosi vicendevolmente, è comunque d'Annunzio a riservare all'amico parole di sublime compiacimento, dedicandogli Il Piacere scritto nella casa di Francavilla al Mare:

Questo libro, composto nella tua casa dall'ospite ben accetto, viene a te come rendimento di grazie, come un ex-voto. Nella fatica e nella stanchezza della lunga e grave fatica, la tua presenza m'era fortificante e consolante come il mare. Nei disgusti che seguivano il doloroso e capzioso artificio dello stile, la limpida semplicità del tuo ragionamento m'era esempio ed emendazione. Ne' dubbi che seguivano lo sforzo dell'analisi, non di rado una tua sentenza profonda m'era di lume. A te che studii tutte le forme e tutte le mutazioni dello spirito come studii tutte le forme e le mutazioni delle

124 Cfr. lettera a Mario Nunes Vais in AA.VV., Mario Nunes fotografo, Centro Di, Firenze, 1974. 125 Ibidem.

cose, a te che intendi le leggi per cui si svolge l'interior vita dell'uomo come intendi le leggi del disegno e del colore, a te che sei stato acuto conoscitor di anime quanto grande artefice di pittura io debbo l'esercizio e lo sviluppo della più nobile tra le facoltà dell'intelletto: debbo l'abitudine dell'osservazione e debbo, in specie, il metodo.126

Come già emerso, Michetti fu particolarmente lodato come pittore da d'Annunzio, il quale riservò all'amico parole ammirevoli, elogiandolo prima per l'attualità e la qualità della pittura, poi anche per le ottime capacità di inquadratura fotografica. Il suo metodo pittorico di analisi profonda della natura è ben collegabile anche alla sua attività fotografica, tendenzialmente connessa all'esplorazione delle terre abruzzesi e alla delineazione dei tratti caratteristici di soggetti umani nativi e profondamente legati alle tradizioni e ai costumi popolari. Le genti e i paesaggi dell'Abruzzo rurale, infatti, diventano per Michetti la fonte primaria di ispirazione: i soggetti più cari da rappresentare in pittura e da immortalare in fotografia.

In merito è significativo quanto scrive Marina Miraglia:

il fascino di queste immagini non dipende affatto dall'eccezionalità dell'evento fotografato e ancor meno dalla perizia tecnica; risiede tutto in un'operazione mentale che è a monte dello scatto e che può identificarsi con la puntualizzazione di un territorio operativo che in Michetti coincide perfettamente, com'è del resto naturale, con i contenuti dei suoi dipinti. È l'analisi della natura vista nei suoi molteplici aspetti, ma soprattutto, […], il mondo dei suoi affetti familiari e in senso più lato abruzzesi che riaffiorano in maniera ricorrente nelle sue fotografie ed è proprio questo mondo che Michetti enuclea e riconosce come matrice umana e poetica più autentica della propria personalità. Grazie alla puntualizzazione di questa realtà umana, ogni aspetto trattato, anche quello apparentemente più banale, assume nelle fotografie di Michetti un

126 Cfr. dedica a Francesco Paolo Michetti in apertura al Piacere in Gabriele d'Annunzio, Il Piacere, a cura di Maria Biano, Milano, Mursia, 1995, p.3.

carattere di eccezionalità.127

Profondamente consapevole delle possibilità espressive della fotografia, Michetti

realizzava i costumi e le scene non solo in obbedienza ai canoni della scenografia realistica del tempo che imponevano la più scrupolosa oggettività nella ricostruzione storico-ambientale della scena, ma anche, grazie a quel potere tipico della fotografia, che è una seconda realtà, diversa da quella che si vede, di isolare i propri modelli dal flusso esterno della vita, non vien meno alle esigenze di d'Annunzio che gli raccomandava: «Ricordati di dare ai costumi un carattere arcaico, qualche cosa di barbaro e di remoto, che trasporti subitamente l'animo dello spettatore nel tempo lontano, quasi di leggenda. Tieni in mente questo anche per le scene».128

Pertanto è chiaro che d'Annunzio e Michetti siano propensi agli stessi risultati: la realtà è atta a emozionare e svelare sensazioni nella sua immediatezza e nella sua potente forza espressiva. Il tratto realistico, cercato e studiato, non figura come segno oggettivo di una realtà visibile, ma, caricandosi di un'enfasi quasi drammatica, si fa potente e trova espressione nella completa adesione alla profondità delle più intime sensazioni.

La realtà brutale e drammatica si fa viva e palpabile, ma gli elementi puramente realistici si inclinano verso processi fotografico-traspositivi che accentuano il carattere leggendario e mitico dell'esistenza umana.

Diviene in questo modo significativo quanto scrive la Miraglia:

non importa lo studio dell'inquadratura, l'equilibrio della composizione pur così vivo in Michetti; ciò che più colpisce è l'atrocità del fatto, l'essenzialità della documentazione […]. Non si tratta di una caduta di potenza nell'espressione, ma solo dell'affiorare

127 M.MIRAGLIA, Francesco Paolo Michetti fotografo, cit., p.34.

di una tendenza espressiva diversa e comune, come del resto è naturale, anche alla sua pittura […]. È tutto un mondo che si trasforma [...]; il desiderio di fissarne fotograficamente il ricordo […] acquista così una connotazione quasi mitica.129

L'incisiva rappresentazione di dettagli non è resa oggettiva e documentaristica, ma è al servizio dell'espressione di una potenza lirica, intima e nascosta che la sola fotografia è in grado di svelare. Sia per Michetti sia per d'Annunzio l'immagine, carica del suo potere e della sua allusività, è ben lontana da mere esigenze descrittive. È in questo modo che «l'interesse per il popolo e le sue tradizioni si concretizza nell'esaltazione di un mito decadente divenendo così espressione di un atteggiamento letterario avulso da qualsiasi contatto con la realtà».130

Tuttavia, ricercando entrambi aspetti e dettagli iconografici utili all'espressione di una potenza tutta interiore e pertinente alla più profonda intimità, l'approccio che Michetti e d'Annunzio denotano dall'utilizzo di immagini fotografiche è alquanto dissimile: il primo «tramite la fotografia riprende possesso della sua natura più profonda e segreta»,131 fa quindi dell'immagine la

raffigurazione di un “sé passato” a cui aderisce profondamente e intimamente; il secondo «esalta come valore positivo la barbarie e la ferinità del suo Abruzzo»,132 oltrepassando le forme meramente

descrittive per dare vigore a uno sguardo che travolge l'immagine stessa nell'intenzione di compiere una nuova creazione tutta verbale. I suddetti approcci sono particolarmente evidenti nel percorso di creazione dell'opera dannunziana dal titolo La figlia di Iorio.