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La buona fede come criterio di rilevanza di interessi Cenni sul cosiddetto interesse

3. I principi di diritto comune nell’attività amministrativa: buona fede, correttezza e diligenza

3.3 La buona fede come criterio di rilevanza di interessi Cenni sul cosiddetto interesse

maggioranza nel diritto societario

312

Cass. Civ., 5 gennaio 1966, n. 89, in Foro It., Rep. 1966, n. 171. Si vedano anche: Cass. Civ., Sez. II, 21 maggio 1973, n. 1460; Cass. Civ., Sez. II, 18 febbraio 1986, n. 960.

313

N.LIPARI, Per una revisione della disciplina sull'interpretazione e sull'integrazione del contratto?, in Riv. Trim. Dir.

Proc. Civ., 2006, 3, 711.

314 Cass. Civ., Sez. II, 10 aprile 1986, n. 2500, in Giur. It., 1987, I, 1, 501. La Cassazione ha, nel caso di specie, ritenuto

sussistente ai fini risolutori l’inadempimento del promittente venditore che aveva omesso di espletare tempestivamente le pratiche amministrative richieste per il rilascio della licenza edilizia, necessaria per la costruzione dell’edificio in cui era compreso l’appartamento oggetto del preliminare di vendita.

315

80

La buona fede può essere intesa come obbligo di comportamento corretto, leale, cooperativo e di rispetto del reciproco affidamento, ovvero come regola di condotta fonte di integrazione a priori del regolamento contrattuale e/o del rapporto, ovvero ancora come metro elastico di valutazione a posteriori di un fatto e/o di un comportamento, correttivo dei rigori dello strictum ius sul piano della conciliazione di interessi confliggenti, indice di emergenza di interessi altrimenti destinati a non acquistare adeguato risalto mediante un «miope impiego dello strumento normativo» insuscettibile di determinazione aprioristica ma che si precisa di volta in volta secondo le circostanze, anche sopravvenute, del caso concreto316.

La qualificazione della buona fede come criterio di rilevanza di interessi ne ha consentito l’estensione dell’ambito operativo a situazioni ulteriori rispetto ai rapporti obbligatori, ossia in rapporti diversamente strutturati nei quali «interessi a lungo giudicati insignificanti perché destinati a scontrarsi con (ed a soccombere di fronte a) “poteri” totalmente liberi (id est, arbitrari), parrebbero acquistare un proprio peso giuridico, sì da costituire limiti allo strapotere altrui»317. Partendo dalla risalente indagine circa l’esistenza nel diritto privato di interessi protetti o legittimi, diversi dai diritti soggettivi, definiti come elementi di mero fatto, cui si aggiunge un quid che promana esclusivamente dalla norma, e caratterizzati dalla mancanza di un potere attribuito al privato e dall’attribuzione di effetti giuridici direttamente in capo ad un soggetto, la dottrina ha elaborato la figura dell’interesse legittimo di diritto privato318

.

Superata la nozione che considerava elemento caratterizzante l’interesse legittimo di diritto amministrativo la coincidenza dell’interesse privato con quello pubblico e la necessaria prevalenza di quest’ultimo319, la dottrina successiva ha analizzato il tema della discrezionalità e dell’interesse

legittimo nel diritto privato. È stata evidenziata l’esistenza nel sistema del diritto privato di situazioni giuridiche soggettive subordinate al corretto esercizio di un potere, cui si riconnette una certa discrezionalità ed insindacabilità nel merito, alla stessa stregua di quanto avviene nel sistema del diritto amministrativo, in relazione all’esplicazione della potestà pubblica320

.

316 L.B

IGLIAZZI GERI, La buona fede nel diritto privato, (spunti ricostruttivi), cit., 55.

317

L.BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit. 175.

318 D.R

UBINO, Le fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, Giuffrè, 1939, 259 – 281.

319

D.RUBINO, Le fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 263.

320 Si veda per tutti: L.B

IGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, Milano, Giuffrè, 1967.

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Il riferimento all’interesse legittimo di diritto privato è sorto nelle ipotesi nelle quali, come nel diritto amministrativo, sussiste un potere discrezionale in capo ad un soggetto in posizione dominante, a fronte del quale sorge una “situazione sostanziale di vantaggio inattiva”, diretta a conseguire sul piano sostanziale un’utilità consistente nella modificazione o conservazione di una certa realtà giuridica la cui soddisfazione non è garantita e non dipende dal soggetto che vi aspira ma dalla condotta di un soggetto diverso321. A fronte di tale interesse, sorge un obbligo in capo al titolare del potere unilaterale di tenere conto dell’interesse in questione e motivarne la soddisfazione o il sacrificio inclusi nella decisione finale. In questa prospettiva, la tutela delle posizioni di debolezza si realizza attraverso il controllo dei processi decisionali del soggetto titolare del potere, come mostrerebbero le norme ritenute indici del positivo riconoscimento della figura in discorso: le norme in materia di licenziamento del lavoratore subordinato, quelle in materia di rapporti societari tra maggioranza e minoranze, quelle relative ai rapporti obbligatori, in tema di liberazione del debitore dal vincolo, «l’interesse legittimo in diritto privato conferisce “forma” a situazioni soggettive di debolezza/soggezione non altrimenti tipizzate; così ricostruite, le stesse diventano un limite del potere discrezionale a fronte del quale si collocano»322.

Il concetto di interesse legittimo di diritto privato è stato poi recepito dalla giurisprudenza civile in alcune sentenze dei primi anni Ottanta del secolo scorso, che hanno riconosciuto la necessità di un controllo dei poteri privati mediante la normativa di correttezza, cui ricollegare la rilevanza di interessi altrimenti destinati a cedere di fronte a tali poteri, ipotizzando un sindacato da parte del giudice civile che si atteggi come quello del giudice amministrativo sull’eccesso di potere323. Le Sezioni Unite della Cassazione, affermando la giurisdizione del giudice ordinario per la tutela del privato nei confronti dei poteri di scelta sui promuovendi esercitati dal datore di lavoro in enti pubblici economici, hanno distinto a seconda che i limiti normativi all’esercizio del potere discrezionale fossero imposti nell’interesse dell’organizzazione aziendale ovvero nell’interesse del lavoratore, affermando la prevalenza in questo secondo caso della “tecnica giuridica del rapporto”, nella quale sorge in capo al datore di lavoro un’obbligazione all’osservanza dei meccanismi procedimentali precostituiti e delle regole desumibili dal principio di correttezza nel compimento

321

L.BIGLIAZZI GERI, Interesse legittimo: diritto privato, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., IX, Torino, Utet, 1993, 554.

322C.C

AMARDI, Tecniche di controllo dell'autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Europa e

Dir. Priv., 4, 2008, 831

323 Cass. Civ., Sez. Un., 2 novembre 1979, n. 5688, in Foro It., 1979, 102, 2548 - 2556; Cass. Civ., Sez. Un., 29 ottobre

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delle operazioni necessarie alla valutazione dei requisiti dei promuovendi. La Cassazione ha dichiarato che tale ipotesi costituisce «un campo particolarmente fecondo per l’applicazione del principio di correttezza quale fonte integrativa della disciplina del comportamento dovuto»324.

La dottrina prevalente, tuttavia, non ha accolto la tesi dell’interesse legittimo di diritto privato325, riconducendo la posizione del lavoratore ad un diritto soggettivo, definito come «il potere individuale di regolare un certo comportamento altrui secondo un ordine oggettivo, (…) il potere individuale di esigere un comportamento conforme all’ordinamento vigente»326. L’ipotesi di

un interesse legittimo di diritto privato è stata abbandonata anche dalla giurisprudenza civile che ha affermato il principio per cui «nell’ipotesi di promozioni a scelta, ancorché caratterizzate da una valutazione discrezionale, si configura un diritto soggettivo del lavoratore ad essere selezionato nel rispetto di norme procedurali prefissate e comunque ad essere giudicato secondo buona fede»327, valorizzando i principi di correttezza e buona fede come norme di relazione produttive di veri e propri diritti soggettivi e non di meri interessi.

La preoccupazione alla base delle posizioni che hanno negato la validità della posizione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo di diritto privato discende dall’idea che esso implicherebbe «una funzionalizzazione pubblicistica del potere datoriale, potere nel quale invece doveva scorgersi l’espressione dell’autonomia privata del datore di lavoro»328

.

324 Cass. Civ., Sez. Un., 2 novembre 1979, n. 5688 in Foro It., 102, 2548 – 2556. La nozione è stata ripresa in alcune

sentenze più recenti, tra le quali si veda Cass. Sez. Un., 24 febbraio 2000 n. 41, in Giornale Dir. Amm., 2001, 8, 805, con nota di D.IARIA, La Cassazione e gli interessi legittimi nel rapporto di lavoro pubblico.

325

Si veda, tra i molti, C.ZOLI, La tutela delle posizioni «strumentali» del lavoratore. Dagli interessi legittimi all'uso

delle clausole strumentali, Milano, Giuffrè, 1988.

326

W.CESARINI SFORZA, Diritto soggettivo, in Enc. Dir., XII, Milano, Giuffrè, 1964, 694. Per una recente ricostruzione dell’evoluzione del concetto di interesse legittimo di diritto privato si veda G.POLI, L’interesse legittimo (di diritto

amministrativo) nel prisma del diritto privato, cit., 81 – 167.

327 Si vedano tra le molte: Cass. Civ., 10 agosto 1987, n. 6864, in Foro It., 1987, 1, 2987. Si veda in proposito G.

SIGISMONDI, La tutela nei confronti del potere pubblico e dei poteri privati: prospettive comuni e aspetti problematici, in Dir. Pubbl., 2003, 481 ss. In senso conforme si vedano Cass. Civ., Sez. lav., 20 gennaio 1992, n. 650; Cass. Civ., Sez. lav., 1 agosto 2001, n. 10514; Cass. Civ., Sez. lav., 29 gennaio 2003, n. 1382; Cass. Civ., Sez. lav., 20 ottobre 2004, n. 20510

328

«In altri termini, le ragioni che hanno condotto al rifiuto del riconoscimento di posizioni di interesse legittimo nell’ambito del diritto dei privati sono esattamente opposte (anche se, ovviamente, convergenti rispetto) alle ragioni che inducono la dottrina di diritto pubblico a contestare il carattere di vera e propria situazione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo». Si veda in tal senso A. ROMANO TASSONE, Funzione amministrativa e diritto privato (il

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Parte della giurisprudenza, tuttavia, ha mantenuto la nozione per quanto attiene il controverso tema degli incarichi dirigenziali nel pubblico impiego privatizzato329, considerando l’atto di conferimento, qualificato normativamente come provvedimento, come atto unilaterale di diritto privato, a fronte del quale sorge in capo al dirigente «un interesse legittimo di diritto privato rispetto alle scelte organizzative compiute dall’amministrazione, tenuta al rispetto di tutte le garanzie procedimentali, legislative e contrattuali, oltre che, più in generale, dei fondamentali principi di buona fede e correttezza, trattandosi di procedura non dissimile da quella concorsuale»330.

Un altro settore nel quale il potere privato crea dinamiche ed esigenze di controllo in qualche modo assimilabili a quelle nei confronti del potere pubblico e nel quale si è fatta applicazione della nozione di interesse legittimo di diritto privato, è il diritto societario331. In questo campo le clausole generali di correttezza sono state usate dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti come parametri per individuare la legittimità delle determinazioni assembleari mediante l’elaborazione della figura dell’abuso o eccesso di potere di maggioranza332

. La dottrina ha evidenziato i tratti comuni tra i complessi di regole che impongono doveri di buona fede, il divieto di abuso del diritto ed il divieto dell’eccesso di potere amministrativo, concependoli come limiti extratestuali alla libertà del soggetto agente, strumenti di correzione giudiziale dello ius strictum e di ampliamento

329

Sul tema si vedano G.D’ALESSIO, La nuova dirigenza pubblica, Roma, Philos, 1999; G. D’ALESSIO, Incarichi

dirigenziali, riparto di giurisdizione e poteri del giudice ordinario, in Lavoro nelle P.A., 2001, 3-4, 631;ID. La legge di

riforma della dirigenza: nostalgie, antilogie ed amnesie, in Lavoro nelle P.A., 2002, 2, 213; ID. La disciplina della

dirigenza pubblica: profili critici ed ipotesi di revisione del quadro normativo, in Lavoro nelle P.A., 2006, 3-4, 549; ID.,

La dirigenza: imparzialità amministrativa e rapporto di fiducia con il datore di lavoro, in Lavoro nelle P.A., 2007, 2,

349; ID., La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, in Lavoro nelle P.A., 2012, 1, 1.

330 In questo senso si veda, tra le molte: Cass. Civ., Sez. lav., 30 agosto 2010, n. 18857 in Lavoro nella Giur., 2010, 12,

1195, con nota di P.COSMAI, Incarico dirigenziale: quale tutela dopo il "decreto brunetta" e la l. n. 122/10. Si veda anche Cass., Sez. Un., 24 febbraio 2000, n. 41, in Foro It., 2000, 1, 1483.

331

L.BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, cit., 304.

332 Sul tema dell’eccesso di potere quale vizio invalidante la deliberazione assembleare si vedano, tra i molti: A.

MAISANO, L'eccesso di potere nelle deliberazioni assembleari di società per azioni, Milano, Giuffrè, 1968; A. GAMBINO, Il principio di correttezza nell'ordinamento delle società per azioni: abuso di potere nel procedimento

assembleare, Milano, Giuffrè, 1987; M. CASSOTTANA, L'abuso di potere a danno della minoranza assembleare, Milano, Giuffrè, 1990; D.PREITE, L' abuso della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle società

per azioni, Milano, Giuffrè, 1992; A.NUZZO, L' abuso della minoranza: potere, responsabilità e danno nell'esercizio

del voto, Torino, Giappichelli, 2003; E.LA MARCA, L'abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, Milano, Giuffrè, 2004.

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dei poteri di sindacato del giudice sugli atti giuridici (i.e. di rafforzamento di un ideale di giustizia contro un ideale di certezza)333.

La figura dell’abuso di potere nel diritto societario è stata sviluppata allo scopo di incidere sulla validità di deliberazioni assembleari adottate dai soci di maggioranza che, pur rispettando le forme legali ed in difetto dei vizi tipici (artt. 2377 e 2379 c.c.), risultano perseguire interessi divergenti da quelli societari ovvero sono arbitrariamente o fraudolentemente preordinate dai soci maggioritari per ledere i diritti dei soci di minoranza, pur non determinando necessariamente un danno alla società ai sensi della norma sul conflitto di interesse334. A tale ipotesi sono state ricondotte generalmente le deliberazioni maggioritarie dirette a modificare la preesistente struttura sociale, incidendo in modo diretto o indiretto sulla posizione dei singoli soci rispetto all’originaria configurazione della società, con riguardo alla loro partecipazione alla amministrazione ed alla distribuzione degli utili.

Inizialmente si riconduceva il vizio invalidante le delibere assembleari volte a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e dei connessi diritti patrimoniali spettanti ai singoli soci nella figura dell’eccesso di potere di derivazione amministrativistica335

, figura che consente un controllo giudiziale sul piano della mera legittimità, limitato all’accertamento della conformità delle delibere alla legge e all’atto costitutivo, secondo l’espresso dettato della norma, non potendo comportare alcuna sovrapposizione o sostituzione delle valutazioni del giudice a quelle liberamente espresse dalla maggioranza dei soci336.

333 M.L

IBERTINI, Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a Francesco Denozza, in difesa dello

“istituzionalismo debole”, in Giur. Comm., 2014, 4, 672 – 673.

334 Art. 2373, 1 co., c.c.: «La deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano, per conto proprio o

di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell'articolo 2377 qualora possa recarle danno.» Parte della dottrina ha interpretato estensivamente l’art. 2373 c.c. come specifica espressione nel diritto societario delle più generali clausole di buona fede e correttezza ed ha sostenuto l’applicabilità in via analogica della norma ai casi di delibere che pregiudichino gli interessi di minoranza non giustificate dal perseguimento dell’interesse sociale: in questo senso M.CASSOTTANA, L’abuso di potere a danno della minoranza assembleare, Milano, Giuffrè, 1990, 55.

335 Le prime teorizzazioni dell’eccesso di potere come vizio delle deliberazioni assembleari risalgono a F.C

ARNELUTTI,

Eccesso di potere nelle deliberazioni dell’assemblea delle anonime, in Riv. Dir. Comm., 1926, I, 176; T.ASCARELLI,

Sulla protezione delle minoranze nelle società per azioni (a proposito di un recente libro), in Riv. Dir. Comm., parte 1,

10, 11, 1930.

336

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Superata la tesi che ipotizzava la possibilità di una mera trasposizione nel diritto societario dell’eccesso di potere di diritto amministrativo, e la configurazione nel contesto societario di un interesse sociale astratto e predeterminato superiore a quello dei singoli soci, cui funzionalizzare l’attività sociale secondo le teorie istituzionalistiche337

, la dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno optato per la teoria contrattualistica, inquadrando i limiti all’esercizio dei diritti di voto della maggioranza in base al principio maggioritario nei principi generale di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sociale338

. La giurisprudenza ha fatto normalmente un uso indistinto della nozione di eccesso e di abuso di potere, mentre parte della dottrina e qualche sentenza hanno evidenziato la distinzione sulla base della giustificabilità o meno della delibera sotto il profilo dell’interesse sociale339

.

In un’importante pronuncia la Corte di Cassazione, dopo aver affermato la natura contrattuale dell’atto costitutivo delle società, ha qualificato le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo come veri e propri atti di esecuzione, preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale, ai quali si applica l’art. 1375 c.c. quale espressione del «più generale principio di solidarietà che abbraccia tutti i rapporti giuridici obbligatori, anche di origine non contrattuale, vincolando le parti al dovere di lealtà e rispetto della sfera altrui (art. 1175 c.c.)»340.

337

Sulla nozione di interesse sociale si veda P.G.JAEGER, L’ interesse sociale, Milano, Giuffre, 1963; di recente ID.

L'interesse sociale rivisitato (quarant'anni dopo), in Giur. Comm., 2000, 6, 795. Sul rapporto tra la concezione di

interesse sociale e l’eccesso di potere si veda E.LA MARCA, Alla ricerca dell'interesse della società al suo scioglimento

tra conflitto di interessi e abuso di potere, in Banca Borsa Tit. Cred., 2014, 5, 590.

338

Si veda in dottrina, a favore della tesi contrattualistica, F.DENOZZA, Quattro variazioni sul tema “contratto, impresa

e società nel pensiero di Carlo Angelici”, in Giur. Comm. 2013, 1, 480. Per una critica a tale tesi si veda M.LIBERTINI,

Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a Francesco Denozza, in difesa dello “istituzionalismo debole”, cit., 669.

339 È stato evidenziato in dottrina che «la possibilità di discorrere di un unitario interesse sociale, tale cioè da rilevare

unitariamente per i soci e per gli amministratori, presupporrebbe quella di riconoscere un’alterità della società ugualmente rilevante nei confronti degli uni e degli altri. Mentre in realtà i soci di essa sono parti, vi partecipano, e ad essa pertanto non si contrappongono come gli amministratori, ma essa compongono». (C.ANGELICI, Intervento in V

convegno annuale dell’associazione italiana dei professori universitari di diritto commerciale, “orizzonti del diritto commerciale” “l’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi” tavola rotonda su “l’interesse sociale tra contrattualismo e istituzionalismo”, Roma, 21-22 febbraio 2014 in

http://www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/32335/carlo_angelici_-_def..pdf)

340

Cass. Civ., Sez. I, 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. Comm., 1996, 2, 329, con note di P.G.JAEGER,C.ANGELICI, A.GAMBINO,R.COSTI,F.CORSI. Si veda, inoltre, F.GALGANO, Contratto e persona giuridica nelle società di capitali, in Contratto e Impresa, 1996, 1.

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La Corte ha evidenziato, peraltro, come la buona fede sia ancora più importante nel contesto societario, rispetto ai contratti di scambio nei quali gli interessi dei contraenti sono diversi, atteso che il contratto sociale costituisce una comunione di interessi, dal quale i soci non possono deviare, come dimostrato dall’art. 2373 c.c. La Cassazione ha così ammesso che alla violazione della buona fede debba conseguire l’invalidità della delibera assembleare. Il vizio di una deliberazione assembleare costituito dal cosiddetto eccesso di potere si verifica tutte le volte in cui la delibera stessa sia stata adottata ad esclusivo beneficio dei soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, essendo in tal caso applicabile l'art. 1375 c.c., in forza del quale il contratto deve essere eseguito in buona fede, atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, dacché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale341.

La Cassazione ha di recente chiarito che «più specificamente, il principio di buona fede contrattuale e il conseguente principio di collaborazione che deve informare l'opera dei soci nell'organizzazione della società vengono considerati la base per riconoscere la figura dell'abuso di potere, quale elemento invalidante delle deliberazioni assembleari finalizzate esclusivamente a favorire la maggioranza a danno della minoranza»342. In questa prospettiva i doveri di buona fede e correttezza sono imposti ai soci nell’esecuzione del contratto di società in quanto membri di una struttura organizzativa343. Da tali principi discendono obblighi di collaborazione che assumono funzione integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto di quegli equilibri di interessi che le parti avrebbero pattuito se avessero previsto tutti gli sviluppi dei loro rapporti futuri e li avessero disciplinati con un accordo ispirato al particolare modello di comportamento etico recepito dall'ordinamento societario. Pertanto, si è affermato che «ben può assurgere a motivo di invalidità della delibera la prova che il potere di voto determinante del socio di maggioranza sia stato esercitato fraudolentemente allo scopo di ledere interessi degli altri soci ovvero risulti in

341 Cass. Civ., Sez. I, 11 giugno 2003, n. 9353 in Società, 2004, 2, 188, con nota di M.M

ALVASI, L'eccesso di potere

nelle delibere assembleari come violazione della buona fede.

342 Cass. Civ., Sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387, in Foro It., 2006, 12, 1, 3455

343

Per l'applicabilità della buona fede alla vicenda assembleare, ritenuta fase esecutiva del contratto sociale si veda D. PREITE, L' abuso della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, Milano, Giuffrè, 1992, 150 e ss.

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concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto»344.

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