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Le diverse ricostruzioni del rapporto tra i principi di buona fede, correttezza e diligenza nel

3. I principi di diritto comune nell’attività amministrativa: buona fede, correttezza e diligenza

3.2 Le diverse ricostruzioni del rapporto tra i principi di buona fede, correttezza e diligenza nel

Parte della dottrina ha ritenuto che l’art. 1175 del codice civile abbia esteso il precetto di buona fede a qualsiasi rapporto obbligatorio, a prescindere dalla sua fonte negoziale o meno293. La norma in esame, si è rilevato, ha considerato il criterio della correttezza come il «mezzo più idoneo ad una rivalutazione delle posizioni dei due soggetti del rapporto (…) la nascita dell’obbligazione, qualunque sia la sua fonte, stabilisce fra le parti una relazione particolare, che offre loro la possibilità di specifiche ingerenze nelle rispettive sfere giuridiche e postula, pertanto, un rapporto di reciproco affidamento; da ciò l’esigenza di sottoporre le parti ad una serie di obblighi giuridici di “cornice” e da ciò un’ulteriore conferma della insufficienza della concezione dell’obbligazione come rapporto semplice»294. Secondo questa ricostruzione, la responsabilità che accompagna qualsiasi rapporto obbligatorio, designata impropriamente come responsabilità contrattuale, non tutela solo l’interesse positivo del creditore all’adempimento della prestazione del debitore, ma anche il parallelo interesse negativo di protezione, che sussiste in capo ad ognuna delle parti del rapporto per effetto della speciale relazione tra esse aperta, a che non siano pregiudicati dal comportamento della controparte la sicurezza e l’integrità dei propri beni295

.

È stato da altri affermato che le regole di correttezza e buona fede non valgono a costituire speciali oneri o doveri arricchendo la struttura del rapporto, ma servono a determinare in concreto la legittimità del comportamento assunto dalle parti in attuazione del proprio obbligo o diritto. Se ne è così negata la funzione integrativa, attribuendo a buona fede e correttezza una funzione correttiva delle modalità concrete nel momento attuativo del rapporto. In quest’ultima accezione l’articolo 1175 del codice civile, che obbliga il debitore e il creditore a comportarsi secondo le regole della

292 A. M

ONTEL, Buona fede, cit., 602.

293

C. M.BIANCA, Diritto civile, cit., 87.

294 F.C

ARUSI, Correttezza (obblighi di), cit., 710.

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correttezza, e l’art. 1375 che impone l’esecuzione del contratto secondo buona fede, sono stati ricondotti ad un medesimo principio generale, ed è stata affermata l’applicabilità della buona fede anche all’attuazione dei rapporti obbligatori di origine non contrattuale296

.

Tali sviluppi hanno portato al consolidamento sul piano teorico della concezione della buona fede – correttezza come clausola generale297, di più, come la clausola generale storicamente e qualitativamente più significativa298: «la clausola generale per eccellenza, caratterizzata specialmente dalla capacità di resistere a qualsiasi cambiamento di regime, a qualsiasi ribaltamento di valori sociali»299, «sommo criterio di valutazione dei reciproci obblighi contrattuali»300.

L’unitarietà della buona fede in senso oggettivo, quale «criterio di rilevanza giuridica di un comportamento in senso lato (comprensivo quindi di dichiarazioni e di altri atti a contenuto psicologico)»301 è stata ricondotta da parte della dottrina a “filtro” normativo, mediante il quale passano i cosiddetti fatti volitivi, intellettivi, psicologici o altro in cui si sostanzierebbe la buona o mala fede. La buona fede è stata così inserita nella più ampia “normativa di correttezza”302, i cui principi sono unitariamente concepibili ed estendibili «oltre i casi esplicitamente disciplinati, ad ogni campo: non solo quindi tale normativa è tenuta presente nella materia obbligatoria, ma ovunque si dirami un’oggettiva valutazione “dell’agire sleale o scorretto” con o senza limiti di configurazione o di effetti. Quindi anche nei rapporti di famiglia, successori, reali etc.»303.

Una diversa dottrina, pur ammettendo che buona fede e correttezza esprimano, con terminologia diversa, un medesimo concetto, ne ha negato la funzione normativa e integrativa a priori, mostrando perplessità sulla «creazione, di chiara ispirazione germanica, di cosiddetti

296 U.N

ATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio e la valutazione del comportamento delle parti secondo le regole

della correttezza (1961), in Diritti fondamentali e categorie generali, Scritti di Ugo Natoli, Milano, Giuffrè, 1993, 669

– 691.

297

M.BESSONE,A.D’ANGELO, Buona fede, cit., 3.

298 S.R

ODOTÀ, Conlusione: Il tempo delle clausole generali, cit., 250.

299

C.CASTRONOVO, L'avventura delle clausole generali, cit., 28 – 29.

300 E.B

ETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 46.

301

S.ROMANO, Buona fede, cit., 679.

302 Sull’equivalenza di correttezza e buona fede oggettiva si veda per tutti C. M.B

IANCA, Diritto civile, cit., 86.

303

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obblighi accessori di prestazione, implicanti il compimento di tutti quegli atti che, benché non

esplicitamente dedotti in obbligazione, risultino indispensabili per l’attuazione di un rapporto obbligatorio o, invece, strumentali di protezione o di sicurezza, aventi ad oggetto immediato la conservazione della persona o della cosa della controparte o fondati su un’esigenza di avviso o di informazione reciproca: più o meno legati alla prestazione principale e concernenti la figura del debitore, gli uni; tendenti a far fronte ai pericoli derivanti dal cosiddetto contatto sociale (già tradottosi o no in termini di rapporto), gli altri, per ciò stesso destinati a fare, se del caso, capo non solo al debitore, ma anche al creditore»304. La suddetta interpretazione, si è osservato, collide con un sistema nel quale il giudice è chiamato ad applicare, non a creare le norme e nel quale tali doveri non si pongono come obblighi accessori con autonomia di contenuto e di oggetto, ma si configurano come tipiche specificazioni desumibili dalla natura della prestazione e dalle modalità di esecuzione, ovvero come limiti formali riguardanti l’esercizio di un diritto, non derivanti dalla normativa di correttezza, ma esplicitamente previsti da singole disposizioni di legge, pur ad essa ispirate305.

Secondo questa opinione, il principio di correttezza costituisce un metro oggettivo ed elastico di valutazione a posteriori, affidato al giudice, di un fatto giuridico, di un contratto, e/o di un comportamento e la buona fede non si identifica con un dovere generico fonte di specifici obblighi integrativi. Il principio assume in questa prospettiva il significato di criterio tipicamente bilaterale e qualitativo, implicante un giudizio di relazione, «dove ciò che è destinato a prevalere non è, sempre e comunque, l’interesse astrattamente privilegiato da una norma, ed attento, altresì, alla qualità degli interessi coinvolti»306.

Il criterio di buona fede è stato, inoltre, agganciato alla diligenza, anch’essa criterio oggettivo ed elastico di valutazione e finalizzato ad un effetto correttivo, ma essenzialmente quantitativo e legato ad un’applicazione formale del diritto e a carattere unilaterale, a differenza della buona fede

304

L.BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., 159 e ss.

305 «L'opinione così sommariamente riassunta costituisce, infatti, il risultato di una indebita trasposizione, nel nostro

ordinamento, di soluzioni adottate in altri e, segnatamente, in quello tedesco. Nel quale la contrapposizione tra ciò che da noi è buona fede (Treu und Glauben: § 242 BGB) e correttezza (o buoni costumi: gute Sitten, di cui al § 826 BGB) viene appunto considerata indice dell'esistenza di un duplice criterio: l'uno (Treu und Glauben) destinato ad intervenire in presenza di uno specifico rapporto giuridico; l'altro (gute Sitten), valido per la valutazione del comportamento dei soggetti in genere, indipendentemente dalla considerazione di un qualsiasi rapporto giuridico». (L.BIGLIAZZI GERI,

Buona fede nel diritto civile, cit., 168).

306

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oggettiva, essenzialmente bilaterale ed attenta alla qualità degli interessi307. La diligenza si pone, infatti, come criterio obiettivo e generale, nonostante vada commisurata al tipo speciale del singolo rapporto e si ponga sempre in congiunzione con un’ulteriore qualificazione (del buon padre di famiglia, relativa alla natura dell’attività professionale esercitata, ecc.) Analogamente alle clausole di buona fede e correttezza, la diligenza costituisce un parametro legislativo per la valutazione di un comportamento non prefissato a priori dalla norma.

Nella valutazione del rapporto tra la diligenza e i principi di correttezza e buona fede non si può prescindere dall’omogeneità del riferimento contenuto negli artt. 1175, 1337, 1366, 1375 c.c., tutte norme volte a chiarire il limite entro il quale il comportamento del soggetto è ritenuto legittimo e non lesivo di una situazione giuridica soggettiva di altri308. Assumendo che la correttezza possa integrare il contratto, determinando pienamente il contenuto dell’obbligazione, la diligenza di cui all’art. 1176 c.c. è stata posta su un piano diverso. La diligenza, definita «misura del comportamento del debitore nell’eseguire la prestazione dovuta», che «riassume in sé quel complesso di cure e di cautele che ogni debitore deve normalmente impiegare per soddisfare la propria obbligazione»309, presuppone che sia già stabilita l’estensione precisa di ciò che il debitore è tenuto a fare e costituisce, in questi termini, il criterio alla stregua del quale apprezzare l’intero comportamento del debitore in relazione ad una prestazione, nel limite individuato dalle norme sulla correttezza. Pertanto, mentre «la buona fede costituisce il criterio in base al quale si determina il contenuto della prestazione», la diligenza viene in questione «unicamente come criterio di valutazione del comportamento del debitore, tenuto a quella prestazione già individuata»310. Similmente, una diversa dottrina ha riconosciuto al canone di buona fede il significato di criterio di responsabilità relativo a comportamenti esecutivi che ineriscono ad un ambito di discrezionalità e che come tali non siano sindacabili alla sola stregua del criterio di diligenza311.

Anche la giurisprudenza ha attribuito alla buona fede il ruolo di requisito etico della condotta e di principio cardine della disciplina legale delle obbligazioni, «oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito

307

L.BIGLIAZZI GERI, La buona fede nel diritto privato, (spunti ricostruttivi), cit. 51 – 66.

308 S.R

ODOTÀ, Diligenza (Dir. Civ.), in Enc. Dir. XII, Milano, Giuffrè, 1964, 539 – 547.

309

Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942, punto 559, 117.

310 S.R

ODOTÀ, Diligenza (Dir. Civ.), cit., 539 – 547.

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doloso di recare pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla schiettezza, alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale che integrano il contenuto della buona fede»312.

Le clausole di correttezza e buona fede hanno assunto una funzione di riequilibrio all’interno del contratto, «non solo delle posizioni dei contraenti fra di loro, ma anche di queste unitariamente intese rispetto alle modalità di funzionamento del settore economico entro il quale il contratto si colloca»313, allargando i margini dell’intervento giudiziale nello squilibrio delle prestazioni contrattuali. L’obbligo di buona fede nella fase di esecuzione del contratto è stato interpretato come obbligo positivo di condotta per i contraenti, tenuti a conservare integre le reciproche ragioni, al punto che «anche un’inerzia, cosciente e volontaria, che valga ad ostacolare il soddisfacimento del diritto della controparte, ripercuotendosi negativamente sul risultato finale avuto di mira nel regolamento contrattuale degli opposti interessi, si rileva in contrasto col dovere della correttezza e della buona fede ed assume rilevanza, se ad essa sia ricollegabile un inadempimento o l'impossibilità sopravvenuta di adempiere»314.

I principi di correttezza hanno così segnato l’abbandono delle convinzioni individualistiche, sostituite dal dovere di solidarietà sociale che incombe su entrambe le parti, nel sistema dei valori costituzionali in relazione, in particolare, al principio enunciato nell’art. 2 Cost., riducendo la portata del principio dell’intangibilità dell’autonomia contrattuale, che escludeva ogni forma di eterointegrazione dello statuto negoziale315.

3.3 La buona fede come criterio di rilevanza di interessi. Cenni sul cosiddetto interesse

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