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Cenni ricostruttivi sui principi di buona fede, correttezza e diligenza come limit

3. I principi di diritto comune nell’attività amministrativa: buona fede, correttezza e diligenza

3.1 Cenni ricostruttivi sui principi di buona fede, correttezza e diligenza come limit

La dottrina civilistica ha da tempo riconosciuto che l’autonomia negoziale dei privati non è esente da limiti e oneri, definiti da oneri di legalità, di carattere formale, e da oneri di legittimità, ossia di carattere causale o sostanziale, legati alla funzionalità del negozio272. Nell’indagine sull’incidenza delle norme costituzionali sui principi civilistici e sui profili dell’autonomia privata, è stato affermato che «le norme costituzionali che tutelano i valori dell’individuo, nei suoi attributi essenziali, e in particolare nell’affermazione della sua libertà, in tutte le sue manifestazioni che sono coerenti al suo impegno sociale, che garantiscono le comunità intermedie nelle quali la personalità dell’individuo si svolge e si potenzia, che hanno riguardo alle varie forme dell’attività umana e agli interessi patrimoniali che vi sono connessi (…) costituiscono, pur con i limiti (…) che nello spirito della costituzione vogliono essere la espressione delle superiori esigenze di solidarietà sociale, un sistema protettivo che dall’esterno permette di individuare i confini attuali del diritto civile e il suo essenziale contenuto»273. Si fa riferimento alle superiori esigenze di solidarietà sociale come limiti alle libertà individuali, pur riconosciute e garantite in Costituzione, che caratterizzano il diritto civile.

Negli studi classici di diritto amministrativo l’idea prevalente era che il potere negoziale, spettante ad ogni soggetto giuridico, avesse un oggetto indeterminato. Pertanto, si riteneva che l’interesse collettivo nei confronti dei poteri negoziali così concepiti fosse sufficientemente garantito dal limite negativo dell’illiceità della causa. L’assunto di base era che il potere negoziale, a differenza di quello pubblico, consente di disporre esclusivamente della propria sfera giuridica

272 E.B

ETTI, Teoria generale del negozio giuridico (1950), ristampa corretta della seconda edizione a cura di G.CRIFÒ, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, 108.

273

R.NICOLÒ, Diritto civile, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, XII, 1964, 908. Sul rapporto tra autonomia privata, potere

negoziale ed il suo statuto costituzionale si veda M.ESPOSITO, Profili costituzionali dell’autonomia privata, Padova, Cedam, 2003.

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(fatta eccezione dei pochi “poteri negoziali dotati di effetto autoritario” contemplati principalmente nel diritto di famiglia)274.

Allo stesso modo, la dottrina civilistica tradizionale evidenziava l’antitesi tra atti di autonomia privata e provvedimenti affermandone la diversa applicabilità dei canoni interpretativi. Si osservava che, mentre i provvedimenti sono vincolati al tipo e al procedimento di formazione regolato da norme giuridiche che impongono all’autorità la competenza, la regola e la direttiva del suo operare e ne determinano gli elementi di struttura rilevanti in vista della funzione d’interesse pubblico che caratterizza il tipo di provvedimento, diversamente gli atti di autonomia privata sono espressione di un’iniziativa individuale libera di perseguire ogni interesse socialmente apprezzabile e meritevole di tutela secondo l’ordinamento.

La tesi, pur ancorata ad una nozione di causa del contratto come funzione economico sociale, confinava comunque l’autonomia privata ad una “tipicità sociale” dell’interesse oggettivamente perseguito dalle parti, distinguendola dalla tipicità propria dei provvedimenti. Si riteneva, quindi, che, a differenza del negozio, nell’interpretazione del provvedimento assumesse rilevanza specifica la motivazione in quanto «si tratta di saggiare l’intrinseca coerenza della sintesi del momento logico col momento precettivo in ordine a una tipica funzione di interesse pubblico; laddove nell’interpretazione del negozio si tratta di rendersi conto, con criterio anzitutto psicologico, del precetto dell’autonomia privata con riguardo alla coerenza (non contrasto) fra l’intento perseguito e la funzione economico-sociale tipica di quell’autonomia, che merita la tutela giuridica secondo le vedute generali dell’ordinamento (c.c. 1322 capv.)»275

.

L’espansione del ruolo delle clausole generali, in particolare dei canoni di buona fede e correttezza, interpretati come espressione del dovere di solidarietà sociale enunciato nell’art. 2 Cost. e strumento di riequilibrio delle posizioni contrattuali, ha accresciuto l’incidenza dei controlli sull’autonomia negoziale276. È stato osservato come il diritto civile abbia subito un’evoluzione che

ha portato a due conseguenze: un’apertura ai valori sociali e umani espressi dalle istanze solidaristiche previste in Costituzione ed una valutazione dello scopo del riconoscimento del diritto,

274

Si riteneva infatti vi fossero casi di apparente autoritarietà nel diritto privato, come i licenziamenti nel rapporto di lavoro, la risoluzione unilaterale del contratto, o l’esercizio unilaterale della facoltà di proroga di un contratto. Secondo questa tesi il potere di disporre della sfera giuridica altrui indipendentemente dal consenso della controparte sarebbe solo apparente poiché in realtà un consenso è stato prestato in una fase antecedente, ad esempio nel rapporto di lavoro, nell’atto di originaria accettazione e così via. In questo senso G.GUARINO, Atti e poteri amministrativi, cit., 271.

275E.B

ETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit. 332.

276

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presupponendo che il diritto debba esercitarsi per lo scopo per il quale è stato riconosciuto e non uno diverso, portando ad una concezione del potere privatistico di tipo “funzionalistico”, che lo renda compatibile con istanze di stampo non soggettivistico277. Risulta così attenuata la tradizionale distinzione tra autonomia privata e autonomia pubblica, che presupponeva che la prima fosse libera mentre solo la seconda vincolata nelle finalità278.

La funzione integrativa sugli effetti della volontà contrattuale della prescrizione che impone l’esecuzione del negozio secondo buona fede è stata evidenziata da lungo tempo in dottrina279

. Parte della dottrina ha osservato che anche la funzione della buona fede interpretativa, in quanto canone ermeneutico della volontà negoziale costante e non solo eventuale o sussidiario, non si esaurisce nella tutela dell’affidamento, ma attiene alla specificità del concreto contratto nella sua interezza. In questa prospettiva, la buona fede sembra incrinare la rigidità del principio dell’irrilevanza dei motivi280, consentendo una valutazione delle motivazioni pur non esplicitate ma pur sempre percepibili e individuabili nella trama della regola negoziale, incidendo sulla fisionomia della causa, specificando la funzione che le parti intendono perseguire con il negozio, sino a poter incidere sull’efficacia del negozio stesso281

.

La nozione di buona fede ha suscitato ampi dibattiti in dottrina in particolare in relazione alla sua natura etica, morale, sociale, ovvero psicologica282, alla sua diversa accezione in campo giuridico e sociale, alla sua rilevanza nei diversi rapporti giuridici e commerciali283, al rapporto

277 D.M

ESSINETTI, Abuso del diritto, cit., 6.

278 G.Z

ANOBINI, Autonomia pubblica e privata, cit., 185 – 189.

279 F.S

ANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, (1966), IX ed., rist., Napoli, Jovene, 2002, 230.

280

Sulla diversa rilevanza dei motivi nel diritto privato e in quello pubblico si veda G.CORSO, Motivazione dell'atto

amministrativo, in Enc. Dir., Agg. V, Milano, Giuffrè, 2001, 774 e ss.

281

G.B.FERRI, Il negozio giuridico, II ed., Padova, Cedam, 2004, 229 – 237.

282 Sui rischi legati ad un’interpretazione di tipo etico-morale della buona fede, principio che serve a regolare i rapporti

intersoggettivi qualificati da situazioni di conflittualità immanente si veda L.BIGLIAZZI GERI, La buona fede nel diritto

privato (spunti ricostruttivi), in Il principio di buona fede, giornata di studio (Pisa, 14 giugno 1985), in Quaderni della Scuola Superiore di Studi universitari e di perfezionamento, III, Milano, Giuffrè, 1987, 51 – 56.

283 Per le origini della nozione di buona fede soggettiva nella lex mercatoria si veda F.G

ALGANO, Lex mercatoria, V ed., Bologna, Il Mulino, 2010, 60.

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della buona fede con gli istituti dell’errore e della colpa e con il concetto di diligenza284. Mentre nel codice civile del 1865285 era contemplata esclusivamente in una norma sull’esecuzione dei contratti (art. 1124), nel codice del 1942 la clausola della buona fede è prevista in molteplici norme, per regolare diversi istituti e conflitti di interessi e con una varietà di significati. Nella vigenza del precedente codice civile la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, influenzate dalle concezioni soggettivistiche del negozio giuridico della pandettistica tedesca, tendevano a svuotarla di significato, attribuendole la funzione di «supporto storico-culturale del richiamo all’equità, agli usi ed alla legge quali elementi integrativi (questi soltanto) del contenuto dell’obbligazione»286

.

Con il codice del 1942, i principi di buona fede e di correttezza hanno acquisito rilevanza autonoma, distinguendosi dall’equità e dagli usi nell’esecuzione del contratto. Il nuovo codice ne ha chiarito la funzione interpretativa, ne ha esteso la portata anche all’attuazione dei rapporti obbligatori di fonte non contrattuale e alle trattative pre-contrattuali, e ne ha enucleato numerose ipotesi specifiche di applicazione. La Relazione al codice civile ha individuato nel principio di correttezza non solo un generico dovere di condotta morale, bensì un dovere giuridico di solidarietà, che impone di «comportarsi in modo da non ledere l’interesse altrui fuori dai limiti della legittima tutela dell’interesse proprio»287

.

Nondimeno, la giurisprudenza della Cassazione si è mostrata in una prima fase estremamente restia a riconoscere un ruolo autonomo ai principi di buona fede e correttezza, affermando che la violazione del dovere di correttezza può costituire solo un criterio di valutazione di un comportamento quando la legge non ne faccia seguire una sanzione autonoma: «detto dovere non vale a creare, per se stesso, un diritto soggettivo tutelato “erga omnes” dalla osservanza del precetto

284

La dottrina sul tema della buona fede è sconfinata. Ci si limita pertanto a segnalare alcune voci enciclopediche rinviando alla bibliografia in esse contenute: A. MONTEL, Buona fede, in Noviss. Dig. It., II, III ed. Torino, Utet, 1957, 599 – 611; R.SACCO, Affidamento, in Enc. Dir., I, Milano, Giuffrè, 1958, 661; S.ROMANO, Buona fede (dir. priv.), in Enc. Dir., V, Milano, Giuffrè, 1959, 677 – 699; F.CARUSI, Correttezza (obblighi di), in Enc. Dir., V, Milano, Giuffrè, 1962, 709 – 715; S.RODOTÀ, Diligenza (dir. Civ.), in Enc. Dir. XII, Milano, Giuffrè, 1964, 539 – 547; L.BIGLIAZZI

GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., 169; M. BESSONE, A. D’ANGELO, Buona fede, in Enc. Giur., V, Roma, Treccani, 1988, 1 – 8.

285 Sulle evoluzioni del principio di buona fede precedenti e successive alla codificazione del 1865 si veda G.A

LPA, La

buona fede integrativa: note sull’andamento parabolico delle clausole generali, in L.GAROFALO, a cura di, Il ruolo

della buona fede nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (Padova – Venezia – Treviso, 14-15-16 giugno 2001), I, Padova, Cedam, 2003, 155 – 172.

286 M.B

ESSONE,A.D’ANGELO, Buona fede, cit., 3.

287

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del “neminem laedere” quando tale diritto non sia riconosciuto da un’espressa disposizione di legge. Pertanto, un comportamento contrario ai doveri di lealtà, di correttezza e di solidarietà non può essere reputato illegittimo e colposo, né può essere fonte di responsabilità per danni quando non concreti la violazione di un diritto altrui già riconosciuto in base ad altre norme»288.

La buona fede si configura come norma aperta il cui contenuto non può essere definito in astratto ma dipende dalle circostanze del caso nel quale deve essere applicata e che deve essere concretizzata nella fattispecie. La pluralità di significati attribuiti dal diritto positivo alla buona fede ha indotto la dottrina a ritenere che, per lo meno nella sua formulazione attuale, essa non si presti ad una definizione unitaria. Tuttavia, gli sforzi di determinazione dei contenuti del principio di buona fede appaiono essenziali per contenere i rischi di arbitrio connessi all’impiego di una clausola generale, per sua natura elastica e polivalente e in tal modo superare le resistenze giurisprudenziali289.

Nella maggior parte degli ordinamenti si distingue tra buona fede “oggettiva”, come regola oggettiva di comportamento, e “soggettiva”, come stato soggettivo della coscienza: distinzione che sembra essere stata recepita dal legislatore italiano. Le diverse formule utilizzate nel codice civile del 1942 distinguono il comportamento secondo buona fede (ad esempio, l’art. 1337 sulle trattative e la responsabilità precontrattuale, l’art. 1358 sul comportamento delle parti in pendenza della condizione, l’art. 1357 sull’esecuzione del contratto) da quello di colui che è in o di buona fede (artt. 534, 2° co. sui diritti dei terzi contraenti con l’erede apparente, art. 535, 2° e 3° co. sul possessore di beni ereditari, 1147, 1° co. sul possesso di buona fede). Alcune norme prendono in considerazione la buona fede quale elemento produttivo di conseguenze giuridiche o quale regola di comportamento, altre quale fattore volto a scongiurare le conseguenze che deriverebbero dalla mala fede o dalla partecipazione alla frode altrui290. Un’ulteriore distinzione è stata desunta dal diverso atteggiarsi della buona fede nei rapporti obbligatori, da un lato, e nei rapporti di diritto reale o altra natura e negli status della persona dall’altro291.

288

Cass. Civ. Sez. I, 16 febbraio 1963, n. 357, in Foro It, I, 1796; in Foro Pad., 1964, I, 1284, con nota di S.RODOTÀ,

Appunti sul principio di buona fede.

289

Sulle difficoltà definitorie e la pluralità di significati della buona fede si vedano in particolare:L.BIGLIAZZI GERI,

Buona fede nel diritto civile, cit.,172;M.BESSONE,A.D’ANGELO, Buona fede, cit., 1 – 8.

290 Per una rassegna delle norme codicistiche che prendono in considerazione la buona o mala fede si veda A. M

ONTEL,

Buona fede, cit., 1957, 599 – 600.

291

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La dottrina maggioritaria ha, tuttavia, negato la validità delle suddette distinzioni, affermando che le diversità attengono al diverso apprezzamento che richiede la buona fede nella varietà dei rapporti cui si applica, ma non tolgono che essa sia nella sua essenza «sempre formalmente identica, consistendo nella effettiva volontà di non violare l’ordinamento giuridico»292.

3.2 Le diverse ricostruzioni del rapporto tra i principi di buona fede, correttezza e

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