4. I principi di buona fede, correttezza e diligenza nell’azione amministrativa
4.3 Prime ricostruzioni della buona fede nel diritto amministrativo
Le evoluzioni del diritto amministrativo in senso garantistico hanno portato la dottrina ad interrogarsi sulla rilevanza delle clausole generali civilistiche anche nell’attività connotata dall’esercizio dei pubblici poteri da parte dell’amministrazione486
. Alla vigenza della buona fede nel diritto amministrativo, tradizionalmente, si obiettava da un lato che la funzione della buona fede fosse assorbita da quella esplicata dall’interesse pubblico e dall’altro che il principio sarebbe stato eventualmente applicabile ai soli rapporti paritari, al di fuori dell’ambito proprio del diritto amministrativo487.
Superata la «tradizionale ipervalutazione di un potere discrezionale d’imperio qualificato dal perseguimento di interessi pubblici» la dottrina, pur non negando la distinzione, né il riparto delle giurisdizioni, ha notato una sorta di avvicinamento tra pubblico e privato, «dove l’Autorità
485 M.N
IGRO, Ma che cos’è questo interesse legittimo? interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro It. 1987, 5, 469.
486 Si vedano in particolare: U.A
LLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, cit., 249 – 290; F.MERUSI, L' affidamento
del cittadino, cit.; ID.Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit.; ID. Buona
fede e diritto pubblico, cit., 261;ID, Il principio di buona fede nel diritto amministrativo, cit.; ID. Il punto sulla tutela
dell’affidamento nel diritto amministrativo, cit.; F. BENVENUTI, Per un diritto amministrativo paritario, cit.; A. MANTERO, Le situazioni favorevoli del privato nel rapporto amministrativo, Padova, Cedam, 1979;G.SALA, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, cit.; F. MANGANARO, Principio di buona fede e attività delle
amministrazioni pubbliche, cit.; A. POLICE, La predeterminazione delle decisioni amministrative: gradualità e
trasparenza nell'esercito del potere discrezionale, cit.. Tra i contributi recenti si vedanoA.PIOGGIA, Giudice e funzione
amministrativa: Giudice ordinario e potere privato dell’amministrazione datore di lavoro, cit.; C. CUDIA, Funzione
amministrativa e soggettività della tutela. Dall'eccesso di potere alle regole del rapporto, Milano, Giuffrè, 2008; G.
POLI, L’interesse legittimo (di diritto amministrativo) nel prisma del diritto privato, cit., 81 – 167; ID. Potere pubblico,
rapporto amministrativo e responsabilità della P.A. L’interesse legittimo ritrovato, Torino, Giappichelli, 2012; G.
SIGISMONDI, Eccesso di potere e clausole generali: modelli di sindacato sul potere pubblico e sui poteri privati a
confronto, cit.; Si vedano infine i contributi di: G. SALA,F.MERUSI,S.COGNETTI,LUCA R.PERFETTI,A.ANGELETTI in
Le clausole generali nel diritto amministrativo, in Giur. It., 2012, 5, 1191 – 1230.
487
L’affermazione risale a E.GUICCIARDI, Recensione a K.H.Schmitt, Treu und Glauben im Verwaltungsrecht. Zugleich
ein Beitrag zur juristischen Methodenlehere, Berlin 1935, in Archivio giuridico di diritto pubblico, 1936, 556. Per la
ricostruzione di tale tesi si vedano F.MERUSI, L' affidamento del cittadino, cit. ID.Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 115 e F. MANGANARO, Principio di buona fede e attività delle
124
amministrativa non dovrebbe più sottrarsi a certe regole che costituiscono l’ossatura dell'attuale ordinamento ed a quelle che ad esse direttamente si ispirano»488, tra le quali i principi di buona fede e correttezza.
In un primo momento, la buona fede è stata inserita nel principio costituzionale di imparzialità nelle relazioni tra amministrazione ed amministrato come dovere che «discende dalla natura stessa dell’amministrazione imparziale»489
. È stato così escluso che la buona fede debba necessariamente legarsi al concetto di “parte” in una relazione intersoggettiva. In questo senso la buona fede è stata collocata tra la dimensione della verità e quella della giustizia dell’amministrazione imparziale, come dovere per l’amministrazione di acquisire la verità e di mettere in pratica la verità ritenuta. In questi termini la buona fede è stata ritenuta ancora più necessaria nel diritto amministrativo caratterizzato da una diseguaglianza tra soggetti, nel quale si atteggerebbe in modo diverso rispetto al diritto privato, configurando essenzialmente il «dovere dell’autorità di favorire apertamente il soddisfacimento delle legittime esigenze delle parti, e dovere delle parti di portare il loro leale concorso al fine pubblico»490. Secondo questa tesi, la funzione della buona fede nel diritto amministrativo si rivela nel suo significato più pieno nei doveri di informazione e cooperazione incombenti all’amministrazione nel procedimento, che manifestano la posizione di servizio verso i cittadini dell’amministrazione imparziale. Rispetto a questa ricostruzione è stato osservato come non sempre vi sia coincidenza tra buona fede e imparzialità, intesa come attività di un soggetto che considera imparzialmente le varie qualificazioni parziali, ponendo l’esempio di un bando di concorso che stabilisce un termine troppo breve per la presentazione delle domande, ipotesi nella quale l’amministrazione, pur rimanendo imparziale, violerebbe il principio di buona fede491
.
L’approfondimento dottrinario sul tema dell’affidamento nel diritto pubblico ha fatto definitivamente emergere l’applicabilità principio di buona fede in dimensioni del diritto diverse dai rapporti bilaterali di diritto privato, osservando come tale regola di comportamento, considerata quale elemento qualificante l’abuso del diritto, sia prevista in ipotesi nelle quali «non è configurabile, né un negozio bilaterale, né un rapporto giuridico vero e proprio, ma al più un generico “contatto sociale”, che certamente non manca neppure fra la pubblica amministrazione e il
488 L.B
IGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit.
489
U.ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, cit., 284
490 U.A
LLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, cit., 286 – 287.
491
125
destinatario di un provvedimento amministrativo»492. Questa tesi, aderendo alla dottrina civilistica che ha definito la buona fede come principio generale del diritto, elaborato dal diritto romano ed intrinseco alla cultura giuridica occidentale, il quale integra in senso “verticale” tutte le fonti di diritto positivo esistenti, attesa non esaustività della produzione legislativa493, ha escluso che buona fede e affidamento derivino da una o più norme costituzionali, sostenendo che al contrario la buona fede è norma autonoma che può semmai trovare qualche implicazione in norme costituzionali494. In questa prospettiva la clausola generale di buona fede è stata considerata un prius, mentre l’eventuale problematica sulla discrezionalità e sull’eccesso di potere un posterius dipendente. Sono state quindi criticate le dottrine che hanno “degradato” il principio di buona fede da norma automa a norma sull’esercizio del potere discrezionale495
.
Partendo da questo presupposto, la dottrina citata ha indagato quella particolare manifestazione della buona fede che comporta la tutela del legittimo affidamento del destinatario generato dal comportamento (positivo e negativo) della P.A. nell’ambito di un previo rapporto tra amministrazione e destinatari dell’atto, distinguendola dal generico dovere correttezza non riferito ad un precedente comportamento496. Analizzando la giurisprudenza amministrativa sugli atti di autotutela, si è evidenziato come il Consiglio di Stato fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso includesse tra i presupposti per la legittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio la valutazione della situazione di vantaggio consolidatasi a favore del destinatario dell’atto, affermando che l’amministrazione è tenuta a rispettare i principi fondamentali dell’equità e della buona fede497.
492
F.MERUSI, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 140.
493 U.N
ATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio e la valutazione del comportamento delle parti secondo le regole
della correttezza (1961), in Diritti fondamentali e categorie generali, Milano, Giuffrè, 1993, 669 e ss., in senso analogo
si veda F.MERUSI,Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 7.
494
F.MERUSI,Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 6.
495 F.M
ERUSI, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 47. L’Autore fa riferimento alle tesi di A.PIRAS, Discrezionalità amministrativa, in Enc. Dir., XIII, Milano, Giuffrè, 1964, 85, il quale a
sua volta sviluppa le tesi di F.BENVENUTI, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, cit., 1 – 47.
496 F.M
ERUSI,Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 120 – 129. L’Autore
riconduce il legittimo affidamento ai principi di buona fede e correttezza.
497
126
Il principio di buona fede è stato, quindi, interpretato come regola che impone all’amministrazione la ponderazione fra l’interesse pubblico e la situazione di vantaggio generatasi a favore del privato destinatario, ossia l’interesse correlato all’affidamento. Nell’ambito dei principi che guidano l’esercizio del potere amministrativo (la cui violazione conduce all’illegittimità per eccesso di potere) si è affermata la distinzione tra principi logici (di ragionevolezza) e giuridici. A partire dall’analisi dello sviamento di potere, nato nell’ordinamento francese affianco all’abuso di diritto come risposta alla medesima esigenza di opporsi alla tendenza espansiva dei singoli diritti o poteri al fine di limitarne la portata alla luce di altre situazioni giuridiche normativamente tutelate, è stata criticata la dottrina italiana che ha tentato di ricondurre lo sviamento ai vizi di logicità ovvero che ha ricondotto l’intero fenomeno dell’eccesso di potere allo sviamento. Si è, quindi, giunti ad affermare che i principi sulla funzione (sulla fase procedimentale del «farsi dell’atto») messi in luce dalla giurisprudenza amministrativa sull’eccesso di potere possono ridursi ai principi audi alteram
partem e di imparzialità, in particolare come obbligo di formalizzare alcuni passaggi della
procedura amministrativa al fine di assicurare la par condicio degli interessati nell’acquisizione degli elementi per la decisione. È stato così escluso che la funzione si potesse considerare il trait
d’union tra la ragionevolezza e i principi giuridici come la buona fede oggettiva.
Il principio di buona fede, secondo questa tesi, costituisce un parametro di giudizio che, come tutte le clausole generali, si presta in un giudizio di legittimità ad una verifica giudiziale per «sintomi» secondo la ricostruzione dell’iter logico seguito dall’autore dell’atto498
. Al tempo in cui era assente una disciplina positiva del rapporto procedimentale si ipotizzava infine che la buona fede potesse integrare la disciplina del procedimento per tutelare gli affidamenti eventualmente determinati dalla Pubblica amministrazione nel corso del procedimento, attenendo comunque alla decisione e non in quanto regola sull’esercizio della funzione499
. La giurisprudenza, ed in seguito il legislatore, hanno poi accolto tale impostazione prevedendo espressamente, tra i limiti alla generale potere di autotutela della P.A., la valutazione dell’affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, tenendo conto del tempo trascorso dalla sua adozione500.
498
F.MERUSI, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 231 - 240
499 F.M
ERUSI, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico: dagli anni Trenta all'alternanza, cit., 276 – 277.
500
Art. 21 nonies L. 7 agosto 1990 n. 241, inserito dall'art. 14, comma 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15. Cons. di Stato, Sez. V, 03 febbraio 2000, n. 661 in Urbanistica e Appalti, 2000, 4, 410 con nota di R.DALOISO, Potere di autotutela e contratti pubblici
127
Alla tesi illustrata è stato obiettato che l’identificazione della buona fede come principio integrativo della norma primaria sull’esercizio del potere non consentirebbe di superare l’antica obiezione che ricomprende la buona fede nell’interesse pubblico, poiché la tutela della buona fede sarebbe già realizzata tramite una corretta ponderazione degli interessi in conflitto501. Inoltre si è sostenuto che la distinzione tra buona fede soggettiva ed oggettiva accolta dallo studio sull’affidamento del cittadino tende a limitare la tutela della buona fede ad un precedente atto o comportamento della P.A. e che la buona fede non può essere ricondotta ad un principio integrativo della norma primaria, essendo stato utilizzato dalla giurisprudenza come criterio giustificativo di un comportamento contrario alla norma502.
Una diversa ricostruzione ha ricondotto la buona fede alle norme di azione, insieme alle regole procedimentali per la formazione degli atti amministrativi, caratterizzate dal fatto che, anziché regolare direttamente fatti o situazioni soggettive, attribuiscono il potere di provvedervi a soggetti organi di P.A. e dettano le modalità per l’esercizio di tale potere, operando secondo lo schema norma-potere-fatto. In tale prospettiva le norme di relazione sono state relegate a norme speciali dei rapporti paritari tra autorità pubblica e privati, che fissano i limiti del potere di supremazia al di fuori dei quali l’amministrazione agisce in carenza di potere, e che regolano direttamente fatti e situazioni soggettive, secondo lo schema del rapporto norma-fatto503.
Un altro studio, teso a rimeditare alla luce delle evoluzioni dell’ordinamento il significato del diritto comune nel diritto amministrativo, ha mostrato che l’interferenza reciproca tra attività povvedimentale e di diritto privato implica che l’interprete debba scegliere tra norme apparentemente in conflitto, ma che in realtà regolano aspetti diversi di uno stesso fatto. È stato affermato che anche nell’adozione di atti unilaterali autoritativi la norma destinata in origine a regolare i rapporti tra privati può entrare nella valutazione dell’interprete, «là dove non sia in questione l’atto, ma un parallelo comportamento autonomamente valutabile in quanto lesivo di un bene garantito al cittadino»504: pertanto, non dovrebbero sussistere dubbi sull’applicazione di clausole generali, come la correttezza, quale che ne sia la fonte.
501
A.MANTERO, Le situazioni favorevoli del privato nel rapporto amministrativo, Padova, Cedam, 1979, 112. In senso analogo si vedaF.MANGANARO, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, cit.,58 – 66.
502
F.MANGANARO, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, cit.,58 – 66.
503 E.C
APACCIOLI, Manuale di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1980, a pag. 11 e 263 – 268.
504
128
L’analisi ha evidenziato come la giurisprudenza preferisca invece argomentare a partire dalla qualificazione dell’interesse tutelato, ravvisando anche in presenza di atti amministrativi un diritto soggettivo a un comportamento di buona fede, dilatando la figura del diritto soggettivo come risposta al problema di una più puntuale ricostruzione del profilo del fatto che assume preminente rilievo nella valutazione dell’interprete, così da rendere applicabile la regola originariamente destinata a regolare i rapporti privati505.