Capitolo III. Tomasi di Lampedusa e la sirena: Lighea e l’inversione dell’epos
2. Lighea: nome di una sirena
2.1 La sirena di Lampedusa: un’eredità dell’antico e del moderno
Nel racconto Lampedusa fornisce un’esaustiva descrizione fisica della sirena: una volta che il giovane La Ciura, il 5 Agosto, si spinge al largo con il canotto, incontra quella che viene descritta come una donna con
il volto liscio di una sedicenne (…) due piccole mani stringevano il
fasciame; un’adolescente che sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciava intravedere dentini aguzzi e bianchi, come quelli dei cani. Non era però uno di quei sorrisi come se ne vedono fra voialtri, sempre imbastarditi da un’espressione accessoria, di benevolenza o di ironia, di pietà, crudeltà o quel che sia; esso esprimeva soltanto se stesso, cioè una quasi bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia. Questo sorriso fu il primo dei sortilegi che agisse su di me rivelandomi paradisi di dimenticate serenità. Da disordinati capelli color di sole l’acqua del mare colava sugli occhi verdi apertissimi, sui lineamenti di infantile purezza. (pp. 67-68)
La sirena perciò ha l’aspetto di una giovane bionda, dagli occhi verdi, il cui aspetto esteriore colpisce colui che la guarda per l’avvenenza e la bellezza che in qualche modo viene percepita come eterea e non umana; il suo sorriso, per quanto simile a quello di una donna, viene subito ricondotto dal protagonista a quello di una divinità che si è palesata ai suoi occhi. Solo in un secondo
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momento Lampedusa passa a descrivere anche la natura marina della sirena, quando, issatasi sulla barca, rivela la sua natura ibrida di donna-pesce:
sotto l’inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta che lenta batteva il fondo della barca. Era una sirena. (p. 68); solo in quel momento appare l’evidenza della natura della giovane, e
curiosamente la rivelazione non colpisce il protagonista, come stregato dalla sua avvenenza, e che infine subisce anche l’inganno maggiore, quello della voce:
un po’ gutturale, velata, risuonante di armonici innumerevoli; come sfondo alle parole in essa si avvertivano le risacche impigrite dei mari estivi, il fruscio delle ultime spume sulla spiaggia, il passaggio dei venti sulle onde lunari. (…) Parlava greco e stentavo molto a capirla.
La sirena di Lampedusa è quindi, in tutto e per tutto, un essere ibrido, una
creatura marina simile a quella appartenente al periodo medievale, il cui comportamento però si differenzia dal momento che non opera alcun tipo di danno nei confronti del protagonista: lei stessa ribadisce che non bisogna «credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto» (p. 69); il primo scarto rispetto alla tradizione riguarda dunque l’inversione rispetto al paradigma per cui la sirena intende uccidere l’uomo, attirandolo con il canto e poi lasciandolo morire, mentre in quest’ambito, pur dichiarandosi diretta depositaria del patrimonio classico, la sirena rifiuta la tradizione che la vuole come un mostro distruttore.
A ben vedere l’idea di una sirena che rompa rispetto alla tradizione greco- romana e medievale riguardante un ruolo prettamente negativo nei confronti dell’umanità doveva essere conosciuta a Lampedusa, dato che anche nelle novelle con protagoniste le sirene riportate nella raccolta Fairy and folk tales of
Ireland il loro ruolo non è mai quello di uccisore di uomini, ma l’interpretazione
delle loro azioni si rivolge ad una sfera molto più ampia di possibilità. Così nella prima delle due che prendiamo in esame, Le gabbie di anime, il vecchio Coomara intrattiene un rapporto amichevole con la famiglia del protagonista, propenso ad
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essere suo anfitrione ed ospite invece che nemico, e la sua unica colpa, che scatena poi l’inganno del protagonista, è derivata dal raccogliere le anime di naufraghi e marinai dopo i naufragi e riporle in gusci di conchiglia nella propria casa sott’acqua; nella seconda invece, Il funerale di Flory Cantillon, le sirene sono sì direttamente connesse alla morte, ma il loro ruolo non è quello di assassine, bensì di creature psicopompe condannate da un fato crudele a
traghettare le anime finché nessuno le veda, dato che la figlia del loro re aveva giaciuto con una mortale. In questo contesto le sirene possono essere sia maschi che femmine. Le femmine preferiscono spesso accoppiarsi con pescatori umani piuttosto che con gli individui maschili del loro popolo: sono portatrici di
tempeste, di aspetto bellissimo, con coda di pesce e piccoli piedi palmati simili a quelli delle anatre; se escono dal mare possono tramutarsi in piccole mucche senza corna, e quando assumono il loro vero aspetto possono anche portare un cappello rosso in testa, che permette loro di immergersi al di sotto delle onde.19
19 Vedi Yeats, p. 61. La breve descrizione riguardo l’aspetto delle sirene si sofferma anche
sull’aspetto dei maschi, che solitamente possiedono «denti verdi, capelli verdi, occhietti porcini e naso rosso». Tale descrizione delle sirene maschio ritorna anche nel primo racconto, Le gabbie
d’anime, pp. 62-74, in cui il vecchio Coomara ha l’aspetto di un vecchio con pelle verde, con in
mano un cappello a tre punte che gli permette effettivamente di raggiungere il fondo del mare. L’idea che esistano anche sirene maschio non è attestata nell’antichità classica, per quanto nel mito, vista la loro estrema vicinanza di aspetto, le sirene spesso e volentieri sono considerate l’equivalente femminile dei Telchini, vedi cap. I, pp. 45 ss.
Per quanto riguarda i due racconti, riprendiamo brevemente i fatti che segnano le rispettive trame: nel primo un pescatore che abita lontano dalla civiltà con la moglie riesce a
sopravvvivere alla avversità ripescando il carico di barche affondate dalle tempeste lungo la costa. In un secondo momento incontra una sirena maschio, che si rivela un amico del padre e del nonno del pescatore, e che intrattiene un rapporto di sincera amicizia con il protagonista finché questi non scopre che quest’ultimo colleziona la anime dei naufraghi come lui fa con i relitti; a quel punto lo inganna, ubriacandolo, e riesce a liberare le anime dei morti, sperando che le sue azioni abbiano sortito effetto dato che queste sono invisibili; passato molto tempo, il pescatore non ha più notizia della sirena maschio, credendo che sia morta oppure abbia cambiato dimora. Nel secondo racconto, Il funerale di Flory Cantillon, pp. 75-78, invece vengono illustrate le complicate esequie funebri dei membri della famiglia Cantillon: una volta svoltosi il funerale, la cassa con il cadavere è deposta sulla riva del mare e la mattina seguente è scomparsa. Un parente acquisito della famiglia decide di vegliare per scoprire chi reclami nottetempo il cadavere per seppellirlo nel cimitero di famiglia, inabissatosi in passato lontano dalla costa: scopre perciò che sirene emergono durante la notte per portare la bara sott’acqua: sono legati a questo compito per il fatto che il re del mare ha dovuto inabissare il luogo di sepoltura, dopo che sua figlia ha sposato un membro della famiglia Cantillon. La maledizione si spezza nel momento in cui vengono visti e sentiti, e a quel punto nessuna salma vede più le sirene come becchini.
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La sirena dei bestiari medievali, allegoria dei piaceri materiali, che conduce l’uomo sott’acqua per morire, tradendolo con la dolcezza della voce e con il bell’aspetto, è sorpassata nel folklore del nord Europa da una creatura che invece intrattiene buoni rapporti con l’uomo e arriva anche ad innamorarsi di lui: il paradigma è completamente ribaltato nel momento in cui è l’uomo che seduce la sirena fino ad avere un figlio da lei, e quando non è più la sirena che inganna l’uomo, ma anzi è l’uomo che riesce ad ingannarla. In questo contesto quindi la mostruosità dell’aspetto si accompagna con una ripresa di alcune tematiche proprie del mito classico, che però si distanziano dalle normali dinamiche nel momento in cui anche i rapporti tra i personaggi mutano: così il regno delle sirene in Le gabbie di anime è un luogo in cui preservare l’immortalità per sempre, ma il mondo di superficie è preferibile; ed allo stesso tempo però il protagonista di Il funerale di Flory Cantillon, a differenza del mito omerico, è irretito tanto dalla voce delle sirene quanto dal loro aspetto quando le vede sulla riva. La Lighea di Lampedusa dunque si pone nel solco della rielaborazione tanto del mito greco quanto della tradizione posteriore, superando il ruolo negativo della sirena e divenendo un’amante sincera per il protagonista: il suo interesse sessuale per l’eroe si muta da seduzione in reale tentativo di comunione.
Vale la pena citare brevemente la più famosa testimonianza moderna relativa al mutamento della sirena in personaggio positivo: nella fiaba La Sirenetta di Hans Christian Andersen la creatura marina diventa diretta protagonista della vicenda tragica, tanto che il suo amore la porta ad abbandonare la natura ibrida di donna-pesce per tentare di unirsi in perpetuo con l’amato; la vicenda si chiude con l’impossibilità di una congiunzione tra il mondo terrestre e quello degli abissi, con la sirena che dopo aver passato un periodo di tempo sulla terra finisce per morire, consumandosi e divenendo spuma marina.20 Allo stesso modo nel
20Vedi Hans Christian Andersen, Fiabe, trad. ita. di Alda Manghi e Marcella Rinaldi, Torino,
Einaudi, 1970, pp. 54-72. La sirenetta viene pubblicata per la prima volta nel 1837, e quindi riproposta nel 1849, 1850 e 1862; la trama ruota attorno alla sesta figlia del re del popolo del mare, una giovane sirena quindicenne, dalla pelle bianchissima e di bell’aspetto, che viene a tal punto affascinata dal mondo di superficie da desiderare di andarvisi a stabilire. Le cinque sorelle si comportano come delle sirene della tradizione, dato che emergono durante tempeste per convincere con il proprio canto i marinai ad inabissarsi; la sesta invece decide di voler vivere in
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finale del flashback di Lighea la sirena si butta «nello zampillare iridato; non la vidi ricadere; sembrò che si disfacesse nella spuma» (p. 75); dopo una tempesta all’orizzonte Lighea annuncia di voler restare con il professore, e che se andasse al largo dovrebbe poi rimanere con i suoi compagni marini: una volta che la tempesta si sfalda all’orizzonte e muove verso terra la sirena si getta in acqua e scompare. In questo caso la passione che lega mortale e sirena viene negata dalla sirena stessa, che anzi tenta di convincere La Ciura a seguirla sott’acqua dove tutto è eterno (come ne Le gabbie di anime, in cui il vecchio Coomara rimarca che la sua età è dovuta alla permanenza sotto il livello del mare, «“Perdinci signore” disse Jack “voi raggiungete un’età ragguardevole qui sott’acqua. Avete conosciuto mio nonno e lui è morto e sepolto da più di sessant’anni”» p. 68):
Tu sei bello e giovane; dovresti seguirmi adesso nel mare e scamperesti ai dolori e alla vecchiaia; verresti nella mia dimora, sotto gli altissimi monti di acque immote e oscure, dove tutto è silenziosa quiete tanto connaturata che chi la possiede non la avverte neppure. (…) quando sarai stanco, quando non ne potrai più, non avrai che da sporgerti sul mare e chiamarmi (pp. 72- 73)
mentre ne La sirenetta è la sirena stessa a scegliere una vita mortale e a morire per amore di un uomo: la dissoluzione nella spuma diventa un topos riutilizzabile che indica da una parte la morte fisica mentre nell’altra il ritorno ad una
superficie, e di sposare un uomo per poter ottenere un’anima immortale e continuare ad esistere una volta morta: le sirene infatti, una volta terminata la loro vita, divengono spuma marina. Per ottenere ciò che vuole fa un patto con la strega del mare, che le dona un filtro che la muterà in una donna bipede: il contrappasso per questo è però il sacrificio della voce, che la distingueva tra tutte le altre sirene, e il dolore continuo dovuto al camminare su due gambe. Una volta raggiunto il mondo di superficie il principe la prende con sé, ma non la riconosce come la sirena che gli aveva precedentemente salvato la vita da una naufragio, dato che è muta: decide di sposarsi con la figlia di un re confinante, e la sirena è pertanto costretta a morire dopo la prima notte di nozze, come contrappasso per il non ottenimento dell’amore del principe. L’ultimo tentativo di salvezza risiede nell’uccisione dell’amato con un coltello fornitole dalle sorelle, cosa che la sirena rifiuta preferendo disperdersi nella schiuma marina: a questo punto però, date le sue buone azioni compiute in vita, ascende al regno delle creature dell’aria, con la promessa che se per trecento anni riuscirà a portare gioia nel mondo allora potrà entrare in paradiso. Il tema dell’anima connesso con la storia della sirena ritorna successivamente anche nel
racconto di Oscar Wilde del 1891 Il pescatore e la sua anima, in cui però non è la sirena a dover conquistare un’anima per poter vivere felicemente con l’uomo, ma è quest’ultimo a rinunciarvi per poter vivere con la sirena, vedi O. Wilde, Racconti, trad. ita. di Maria Gallone, Milano, BUR, 1982, pp. 133-174
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dimensione pura della natura, da una parte la dissoluzione per amore e dall’altra l’invito ad accettare una forma più alta di amore.
L’idea della sirena come figura positiva si genera però solamente in un
momento specifico della storia letteraria, dopo che nel medioevo, come già detto più volte, il modello classico si era mutato definitivamente nella rappresentazione del femminile come oggetto di perdizione per l’uomo, combinando la forma della sirena omerica con quella di creature del folklore europeo, simili per
caratteristiche: donne che abitano in specchi d’acqua e provocano la morte dei viandanti, attirandoli con la voce melodiosa. Tra queste le più importanti figure vanno ricercate nella Melusina, nella Lorelei e nell’Ondina:21 la principale
differenze originaria da riscontrarsi tra la sirena e le varianti mitteleruropee, ci dice Bram Dijkstra nel suo Idoli di perversità, è che l’ondina, la melusina e la lorelei sono inizialmente creature passive, sballottate dalla onde del mare o dei corsi d’acqua, che non si oppongono all’uomo, spiriti che incarnano la bellezza del mondo, mentre invece la sirena è da identificarsi come predatrice; solo in un secondo momento, con l’incontro con la sirena omerica, anche queste ultime donne del mare hanno sviluppato un’essenza malvagia, improntata alla minaccia per l’umanità.22 Dall’incarnazione di una figura elementale e neutrale l’ondina e
21Vedi Bettini, pp. 144-147; viene dato un breve excursus riguardante l’incontro del
personaggio omerico, ormai mutato nella donna-pesce, con creature della mitologia nord europea; esattamente come la sirena donna-uccello nello stesso ambiente mitologico greco poteva essere raffrontata con arpie, sfingi, gorgoni, ecc., la nuova sirena può essere equiparata all’ondina o alla lorelei. Dall’incontro con queste figure nascono, dice Bettini, nuove possibili variazioni del mito, che si ricollegano direttamente poi con i casi già citati nel capitolo, in cui la figura demoniaca della sirena viene ribaltata in uno stereotipo positivo.
22 B. Dijkstra, Idoli di perversità, trad. ita. di Marisa Farioli, Milano, Garzanti, 1988, pp. 355-
402. Dijkstra si sofferma particolarmente sulla considerazione per cui l’immagine della sirena abbia raggiunto nel corso del XIX secolo un’importante fondamentale anche nella
rappresentazione visiva per l’essenza di base di donna predatrice, simbolo del peccato e della perdizione; a seconda della tradizione queste raffigurazioni del demoniaco femminile assumono nomi diversi. Così nella tradizione germanica è presenta la Lorelei, che è un’ondina figlia del fiume Reno che fa naufragare su un’ansa i marinai, mentre in Inghilterra esiste la kelpie, una creatura che prende l’aspetto di un cavallo bianco che una volta preso in groppa il malcapitato lo sbalza in acqua e lo divora; in Scandinavia è presente la nyx, o fossegrim, che si presenta come un uomo ben vestito nel mezzo di un fiume, oppure come un cavallo, che attira i viandanti per poi annegarli; in alcuni casi si possono anche innamorare dei mortali, ma non possono rimanere troppo lontane dall’acqua, perché cadono malate. Nel mondo celtico le melusine sono molto simile alle ondine, attirano i viandanti e li annegano, ma possono essere anche spiriti allegri; in
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la melusina diventano perciò ninfe dei fiumi preposte alla dissoluzione
dell’umanità tramite l’inganno: la Lorelei in questo diviene la più famosa delle ondine, una figlia del Reno che cantando su un’ansa del fiume fa naufragare i marinai per poi ucciderli.23 Il ritorno all’idea originaria di queste creature come
espressione della pura essenza della natura si riaffaccia nel corso del XIX secolo, con il riutilizzo della figura dell’ondina come amante dell’uomo, impossibilitata a realizzarsi al di fuori del suo habitat naturale e perciò a perire tragicamente: in questo solco si pongono La sirenetta e l’opera di Friederich Lamotte-Fouqué del 1811, Undine. Nel suo saggio Figlie dell’acqua, figlie dell’aria: alcune
variazioni sul tema di Ondina, Rita Calabrese specifica che l’invenzione del tema
medievale della fata ha portato inizialmente ad una biforcazione del topos,
generando da un lato Melusina, la donna-pesce benefica nei confronti dell’uomo, e Morgana, l’ibrido che invece attenta alla vita del viandante: in questa
bipartizione si rispecchia uno sdoppiamento della tematica erotica nelle qualità di
creazione e distruzione; d’altra parte però va considerato che, sempre Calabrese,
rimarca come questa evoluzione si debba intendere come una variazione rispetto ad un probabile scenario iniziale in cui la creatura del folklore si caratterizzava come un puro spirito della natura.24
Russia la russalka è nuovamente uno spirito dell’acqua o del mare che annega le persone pp. 384-390.
23Vedi Musti, pp. 111-124
24Vedi R.Calabrese, “Figlie dell’acqua, figlie dell’aria: alcune variazioni sul tema di Ondina”, in
Il riso di Ondina, a cura di Rita Svandrlik, Urbino, Quattroventi, 1992, pp. 57-98; le due
varianti non sono da considerarsi come fisse ed immutabili, dato che anche Paracelso, autore del
Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris et de ceteris spiritibus (1581) propone
invece un diverso schema di base, in cui è la Melusina ad essere il lato negativo del paradigma e Morgana quello positivo.
Il rimando ad un iniziale paradigma della femminilità legata alla purezza della natura, poi scissosi nei due equivalenti di Melusina e Morgana, la «donna-distruttrice» e «la donna- benefica», è mutuato da E. Neumann, La grande madre: fenomenologia delle configurazioni
femminili dell’inconoscio, Roma, Astrolabio, 1981; la figura della madre, propria di culture
distanti tra loro, è ricondotta universalmente alla funzione di creatrice del mondo; da questa iniziale condizione generatrice si bipartono le due manifestazione del materno originario, la
distruzione e la salvezza. Nel nostro caso la rielaborazione del personaggio omerico durante il
periodo medievale non è altro che il riaffiorare dell’archetipo della Madre nei suoi due poli distinti; nel confronto con la donna-sirena, nella sua duplice condizione di avversaria/aiutante, l’uomo invece si identifica come simbolo della razionalità, che emerge proprio nel momento dell’opposizione con il femmineo-naturale.
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La storia europea della sirena quindi, riassunta nei suoi momenti fondamentali, si pone come un’iniziale frattura di uno stereotipo legato alla gioia e alla
comunione della natura dovuta all’ibridazione tra questo ambito e quello della sirena omerica; un successivo sviluppo in cui l’ondina e la melusina si
definiscono per la loro pericolosità nei confronti dell’uomo; infine una riscoperta del ruolo benefico dell’ondina, in un processo che ritorna all’iniziale essenza del personaggio, e che ne esalta anche le caratteristiche nel rapporto amoroso che instaura con l’amato.
La cosa che preme rimarcare riguardo la Lighea di Lampedusa è come,