Capitolo I. Aspetto, origine, genealogia delle sirene
5. Parentela tra sirene e altre creature mitologiche: evoluzione delle sirene
Una volta ricostruita un’esaustiva cronostoria dell’evoluzione della sirena dai primordi della mitologia e del folklore, stabilita la sua parziale dipendenza da modelli orientali importati durante il periodo arcaico in Grecia e posto che in Omero incontriamo un momento cruciale nella trasformazione del topos, passiamo adesso a considerare come l’aspetto della sirena sia evoluto nel corso della tradizione, tenendo conto dell’influenza nella raffigurazione di altre creature del mito e dell’importazione della figura in culture successive.
Si tenga presente quanto già detto al paragrafo 2 del capitolo I: la sirena entra a far parte dell’immaginario greco e comincia ad essere raffigurata sempre più frequentemente nella ceramica corinzia ed attica nel corso del VII secolo, insieme ad una folta schiera di creature mostruose che accendono
l’immaginazione dei pittori. I soggetti di queste rappresentazioni rispondono ad un insieme di caratteristiche ripartibili in tre gruppi: la loro ferocia e il loro potenziale distruttivo, il fascino erotico connesso con la dimensione mortifera, l’antitesi che si crea con l’eroe nel momento in cui il mostro tenta di
sopraffarlo.50 Parte di queste creature sono particolarmente interessanti se messe
50 Vedi cap. I, n. 20
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a paragone con le sirene perché oltre alle caratteristiche sopra citate condividono anche altre particolarità che le contraddistinguono all’interno della tradizione letteraria e figurativa. Prendiamo in considerazione nel dettaglio alcuni di questi esseri:
- le Esperidi, dette da Esiodo progenie della Notte insieme ad una schiera di altre divinità insieme a Moros, Ker, Biasimo, Sventura e soprattutto la Morte, Θάνατος, Th. 211; 275, sono solitamente associate al mito delle fatiche di Eracle, che si reca nel giardino ai confini del mondo per recuperare i pomi ivi custoditi; proprio nell’Eracle di Euripide si dice che cantino con chiara voce (v. 394), e vengono solitamente presentate in numero di tre o quattro, per quanto spesso tale dato sia suscettibile di variazione a seconda delle branche della tradizione; spesso accostate a sirene ed arpie, i racconti di quest’ultime sono però molto più
numerosi rispetto a quelli che coinvolgono le Esperidi (in special modo il
parallelo è con le arpie, sebbene le Esperidi non lasciassero mai il loro giardino e le arpie non fossero direttamente collegate alla sfera del canto). I viandanti che avessero raggiunto il giardino e toccato i pomi incantati sarebbero stati vittima di una doppia morte (caratteristica con cui Circe indicava l’equipaggio di Odisseo sopravvissuto all’avventura nella terra dei Cimmeri, Od. XII v. 21, δισθανέες). In ultimo le Esperidi secondo Apollonio Rodio (Arg. v. 1428), vanno incontro alla morte, mutandosi in alberi, nel momento in cui non riescono ad impedire che un viandante tocchi i pomi da loro protetti; esattamente come le sirene dunque il fallimento del compito a loro designato comporta un contrappasso che esige la loro vita.51
- la sfinge è legata indissolubilmente con i miti del ciclo tebano e con la storia di Edipo; flagello della città di Tebe, si frappone al cammino dell’eroe
proponendogli un indovinello. Una volta che l’enigma viene risolto, la sfinge fallisce nel suo compito e, come le Esperidi, perde la vita (secondo la tradizione riportata da Apollodoro la sfinge muore suicida gettandosi da una rupe o dalla
51 Kerenyi, pp. 37 ss., 55 ss., 188 ss., 285 ss.; Graves, pp. 27, 113. Per quanto concerne la
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colonna sulla quale stava appollaiata, 3.5.8). Sempre Apollodoro riporta la testimonianza per la quale la sfinge non avrebbe inventato l’indovinello ma lo avrebbe invece ricevuto dalle Muse, sebbene nell’aspetto fisico, testa di donna, corpo di leone e ali d’uccello, ricordi maggiormente le sirene; nello scolio al v. 50 delle Fenice di Euripide viene specificato poi che la sfinge cantava il proprio indovinello. Va anche tenuto conto della genealogia riportata da Esiodo nella
Teogonia (vv. 308 ss., 326 ss.); la sfinge viene generata da Echidna, un mostro
con la testa di donna e il corpo di serpente, che si unisce con col proprio figlio Orto, cane bicefalo dotato di altre sette teste e con coda di serpente.52
- le arpie sono creature alate, simili nell’aspetto alle sirene, corpo d’uccello e viso di donna, ma differenti nell’azione distruttrice: laddove le sirene incantano i viandanti con la voce, le arpie sono mostri rapitori, che agiscono come rapaci (tanto che anche in Odissea I, v. 141 viene riportata una frase proverbiale per indicare una persona che è scomparsa, «l’hanno preso le arpie»); questa loro caratteristica le rende più simili alle Erinni e alle Gorgoni. Sono solitamente in numero di tre oppure due, come le sirene; vivevano in una grotta nell’isola di Creta ed erano dette figlie di Taumante e della ninfa oceanica Elettra.53
- le Gorgoni, legate al mito di Perseo, erano sempre enumerate come tre sorelle, di cui due immortali, Steno ed Euriale, e la terza mortale, Medusa,
decapitata dall’eroe e dal cui busto nacque il cavallo alato Pegaso. Figlie di Forco e Ceto, come riportato da Esiodo (v. 274), dalla madre ereditavano il bel volto, ma avevano anche ali d’oro, mani di bronzo e serpi al posto dei capelli (Ap. 2.4.2); la natura di mostro marino di Ceto comporta una loro connessione con il mare, tanto che spesso nelle invocazioni Poseidone veniva chiamato con l’epiteto di Medusa (la connessione con il dio ritorna in altre varianti del mito, secondo cui Medusa, originariamente una normale fanciulla, avrebbe ottenuto il suo aspetto mostruoso da Atena, adirata perché la giovane era giaciuta con Poseidone in un tempio sacro alla dea). Una volta recisa, la testa della gorgone diventa un simbolo infernale nelle mani della dea Persefone, tanto da comparire
52 Kerenyi, pp. 50 ss., 105 ss.; Graves, pp. 115, 339, 424 53 Kerenyi, pp. 60-62; Graves, p. 113
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nell’Odissea durante la nekya; nel libro XI Odisseo scappa dalla terra dei cimmeri una volta vista la testa della gorgone che avanza (v. 633).54
Prese in esame le varie caratteristiche dei mostri più famosi della mitologia greca, ci si accorge di come spesso le peculiarità dei personaggi omerici siano condivise da una molteplicità di figure appartenenti ad un macrocontesto in cui i temi più generali vanno riassemblandosi a seconda dell’esigenze del mito; in questo frangente le sirene spartiscono parte della loro genealogia, della loro funzione mortifera e del loro aspetto con creature non direttamente collegate alla loro storia, ma che, occupando un ruolo di rilievo nella tradizione, partecipano di alcuni stereotipi tipici della mostruosità e del pericolo derivante dall’incontro con tali esseri.
Nel corso della storia, la sirena si sposta dall’alveo della cultura greca e passa in quella latina, in un processo che guarda al passato ma contemporaneamente innova la tradizione, introducendo alcuni cambiamenti notevoli che faranno da tramite per la nascita di una creatura del tutto nuova. Tali innovazioni si
concentrano soprattutto nel tentativo di rielaborare in chiave allegorica alcuni elementi che compongono il mito, in modo tale da evidenziare ancor più esplicitamente alcune potenzialità che in Omero e negli altri autori greci
precedenti erano prese in considerazione ma mai evidenziate in modo palese: le sirene diventano simbolo del piacere sessuale che porta alla morte colui che lo sperimenta, o più in generale incarnazione per antonomasia della seduzione femminile, a cui l’uomo non può resistere.55 Si viene sempre più consolidando
quindi l’idea che la voce delle sirene e la loro capacità di stregare il prossimo portandolo alla morte siano da considerare come lo specchio della capacità
54 Kerenyi, pp. 50-52; Graves, pp. 113
55 Questo è il caso del riutilizzo del mito operato da Ovidio in ben tre occasioni: Ars 3.312.313;
Rem. 789-790; Pont. 4.10.17-18. Anche Orazio riprende la sirena (Ep. I.2.23-26), rifacendosi
più direttamente al testo omerico ed evidenziando come la voce delle sirene comporti una sospensione del pensiero razionale simile ai malefici di Circe, capace di gettare l’uomo in una condizione bestiale dominata dal puro sentimento.
Da tenere a mente è il già citato uso che Ovidio ne fa all’interno delle Metamorfosi,
concentrandosi sulle cause del cambiamento da fanciulle ad esseri per metà uccelli, vedi cap. I, p. 34
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femminile di controllare gli impulsi maschili, fino al punto da annullare la
personalità dell’ascoltatore. Di pari passo con questo snodo in cui la tradizione si focalizza maggiormente su questa peculiarità, durante il periodo romano l’aspetto della sirena muta in modo sostanziale, e, coerentemente con tale evoluzione, la rappresentazione visiva abbandona l’iconografia di un uccello con volto di donna per spostarsi su quella di una donna con ali d’uccello; si predilige quindi una concentrazione sull’aspetto femminile del mostro, che si sposa maggiormente con la rielaborazione allegorica proposta da alcuni autori. Tale concentrazione è anche il punto di arrivo di un cammino in cui cambia la prospettiva
nell’accostamento al tema della sirena, ben evidenziato da Catherine Atherton nel suo Monsters and Monstrosity in Augustan poetry: se in Omero la sirena era soltanto una presenza non meglio delineata, la cui unica proprietà notevole era il canto, progressivamente la tradizione inverte i due poli, mettendo sempre più in evidenza l’aspetto della corporeità della creatura a scapito di quello canoro; vengono perciò scambiate i due estremi del vedere e del sentire.56
Verte proprio sull’aspetto fisico il principale cambiamento nel paradigma rispetto all’originale omerico, per il quale possiamo individuare un’originale sirena rapace e una sua successiva discendente con sembianze di donna-pesce. Tale cambiamento, tenendo presenti i punti già esplorati, può considerarsi completato in epoca postromana, benché durante la storia del mito si possano identificare già dei momenti in cui l’aspetto della sirena veniva descritto come a metà tra quello di un uccello e di un pesce; del perché il secondo abbia finito per soppiantare definitivamente il primo non c’è dato sapere. Possiamo ipotizzare che la sirena omerica, sopravvissuta come topos conosciuto da diverse culture, sia stata combinata con altre creature appartenenti ad altre tradizioni europee, mantenendo intatte le sue caratteristiche magiche (il canto) ma perdendo quelle corporee; così come possiamo credere che, nonostante fin da subito ci vengano presentate come ibridi donna-uccello, la loro discendenza da divinità
appartenenti alla sfera marina, così come la loro collocazione nell’ambiente
56 D.Lowe, Monsters and monstrosity in Augustan poetry, Ann Arbor, University of Michigan
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acquatico, abbia provocato un cambiamento nella rappresentazione concorde con il paesaggio abitato; infine, è da considerare anche che altri personaggi della mitologia possano aver contribuito alla formazione di un nuovo paradigma, in un contesto in cui, date alcune caratteristiche condivise, alcuni dettagli fisici hanno trasmigrato da una creatura all’altra. Di quest’ultime le più importanti vanno identificate nei due gruppi di seguito descritti:
-le nereidi, figlie dell’oceanina Doride e di Nereo, sono ninfe diffusamente menzionate nella Teogonia di Esiodo, prima per la discendenza (v. 240), poi per i loro nomi (v. 243), e poi per il numero (v. 264); solitamente vengono
rappresentate con natura ibrida di donna-pesce, oppure con attributi simili al cavallo o alla giumenta. Oltre alle nereidi anche altre creature marine possono mutare la loro forma in quella di animali, uno su tutti Poseidone, che spesso si presenta con forma ibrida di toro,57 ma anche il già citato Acheloo, che parte
della tradizione vuole padre delle sirene.58 Il fatto che a lungo andare l’aspetto
delle nereidi abbia potuto spostarsi su quello delle sirene non indica comunque che in origine le due specie non fossero ben distinte nel mito, tanto che le prime rispetto alle seconde sono tratteggiate con comportamenti benigni nei confronti dei mortali: è il caso del passo delle Argonautiche in cui, durante il passaggio attraverso le Plancte, la dea Teti regge il timone della nave e le ninfe si
dispongono intorno all’Argo per proteggerla dai marosi (IV 930-967); dato che l’evento si colloca subito dopo l’avventura presso le sirene possiamo desumere che ancora in epoca ellenistica la differenza tra nereidi e sirene fosse percepibile, tanto che in due passi contigui del poema assolvono compiti diametralmente opposti.
-i telchini, servitori della divinità ancestrale definita Grande Madre, sono creature la cui natura e il luogo d’origine mutano a seconda del complesso di racconti in cui vengono inseriti: in alcuni sono anche detti Cabiri, prendendo il nome dal monte Kabeiros, in altri si narra che fossero divinità giunte in Grecia
57 Kerenyi, pp. 62-64, 174 ss.; Graves, p. 113 58 Vedi cap. I, n. 33
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dalla Frigia per stabilire un proprio culto personale, e che il nome telchini venisse da loro adottato soltanto quando si stabilirono nell’isola di Rodi. Diodoro Siculo le identifica come creature infernali, e riporta che abitarono anche a Creta, ivi condotte da Rea per prendersi cura di Zeus bambino, 3.55.1-3; sempre Diodoro sarebbero stati nemici del dio Apollo, che per annientarli avrebbe scatenato un forte diluvio sull’isola, al quale però i telchini sarebbero scampati
preventivamente, 3.56.1. Abilissimi fabbri, secondo Callimaco, nell’Inno a Delo, forgiarono il tridente di Poseidone; anche il poeta di Alessandria è concorde nel dire che un diluvio si abbatté su di loro, probabilmente sterminandoli tutti.59
L’idea per la quale i telchini possano aver influito su un’evoluzione
dell’iconografia delle sirene è legata al fatto che spesso e volentieri sono stati identificati anche con animali veramente esistenti in natura, il cui legame con l’ambiente mediterraneo, in special modo quello marino, li contraddistingue come creature a metà tra l’anfibio, il rettile e il volatile; in più, come riportato nel famoso prologo agli Aitia di Callimaco, i telchini sono in grado di cantare,
sebbene in questo caso il poeta si soffermi sull’esecrabilità del canto in contrapposizione con i propri componenti. Proprio per la condivisa sfera del canto e nell’appartenenza al mondo marino i telchini sarebbero da considerare una sorta di versione maschile delle sirene: da tenere anche in considerazione l’etimologia del nome telchini, formato direttamente dalla radice θέλγ- del verbo θέλγειν, già incontrato più volte durante l’analisi del passo del libro XII
dell’Odissea.60
59 Kerenyi, pp. 84-85, 171; Graves, pp. 139, 169
60 Per approfondire l’evoluzione della figura dei telchini vedere D. Musti, I Telchini, le Sirene,
Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1999, pp. 7-31; l’autore prende in esame un periodo di tempo che va dalle prime apparizione di questi demoni nella poesia stesicorea. fino all’utilizzo che ne fa Callimaco negli Aitia, trasformandone l’identità in un’allegoria degli oppositori in campo letterario, che cercano in tutti i modi di distruggere il poeta con ingiurie e critiche infondate.
Per quanto riguarda le attestazioni letterarie della figura dei telchini, vengono riportate come fonti principali il già citato Diodoro Siculo, Strabone XIV 2-7 e le Metamorfosi di Ovidio (vv. 365-367).
L’evoluzione di tale creatura copre dunque un periodo molto lungo, andando da un primo periodo in cui è presente una forte vicinanza alle sirene, vista la capacità simile di ammaliare con la voce, e un successivo abbandono di questa dicotomia, a beneficio di una maggiore focalizzazione del telchino come animale anfibio e infernale, allegoria della polemica letteraria
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Ovviamente non riusciamo a stabilire con certezza se nereidi e telchini possano essere stati causa del cambiamento nell’iconografia delle sirene, né se invece le sirene abbiano seguito un proprio percorso all’interno del quale si è mantenuta la dicotomia donna-animale pur mutando i connotati principali. Non è da escludere però che i numerosi tratti condivisi possano essere ascritti a linee guida generali per la costruzione di queste figure mostruose, al punto che le sirene finiscono per rassomigliare a sfingi, gorgoni, telchini, nereidi, ecc., perché di base il sostrato di caratteristiche utilizzate per creare questi esseri è lo stesso; a quel punto, la sirena mantiene una sua parentela con le altre entità della mitologia greca, ed è allo stesso tempo in grado di emanciparsi dal contesto una volta che penetra in altre culture, perdendo tali similitudini ed acquisendo ex novo nuove peculiarità.
Possiamo identificare un momento storico, successivo alla caduta dell’Impero Romano e databile intorno al VII-VIII secolo, in cui il passaggio dal personaggio omerico a quello a cui si rifarà tutta la contemporaneità è definitivamente
compiuto, e in cui viene abbandonata l’iniziale iconografia a beneficio di una nuova: la sirena passa definitivamente ad un aspetto di donna con parte posteriore del corpo caudata.61 Continuiamo a non conoscere il perché di tale
metamorfosi, ma possiamo concentrarci sui primi testi che, pur non inserendo la sirena in un contesto narrativo, informano il lettore del nuovo aspetto e tentano di dare informazione del suo agire seguendo nuove prospettive.
Il primo scritto da prendere in considerazione è il Liber monstrorum de
diversis generibus, testo dell’VIII secolo di autore anonimo, che riporta
(nelle parole di Callimaco riecheggia sempre un tentativo di rifarsi anche alla natura ibrida di uccello, nel momento in cui per descriverne il canto usa il verbo ἐπιτρύζειν, solitamente utilizzato per definire il verso dei volatili, a dimostrazione del fatto che non vi sia mai stata una formalizzazione precisa dell’iconografia).
61 Bettini rimarca come l’inversione di tendenza nella rappresentazione non abbia un vero e
proprio termine post quem, ma tenga presente una serie di attestazioni letterarie che non giustificano il perché la sirena diventi una creatura marina tout court; la tesi più probabile è quella di un collasso di aspetti di nuove culture all’interno del vecchio modello omerico, che, influendo sull’aspetto fisico, finiscono per portare poi una serie di cambiamenti all’interno del mito stesso; vedi M. Bettini, L. Spina, Il mito delle sirene: immagini e racconti dalla Grecia a
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diffusamente notizie riguardanti i vari mostri che abitano la terra, cominciando da quelle creature credibili per l’intelligenza umana per poi giungere a quelle più impensabili. L’opera è difficilmente riconducibile ad unico genere letterario, ponendosi a metà tra il dizionario di mitologia, il bestiario e la raccolta di
mirabilia, e spaziando da creature già presenti nella tradizione ad esseri mai
precedentemente attestasti; è divisa in tre parti, la prima riguardante gli uomini, la seconda ad animali terrestri e marini e la terza ai serpenti.62 La sirena compare
nel primo libro al capito VI, il testo riporta la seguente descrizione:
De Sirenis: Sirenae sunt marinae puellae quae navigantes pulcherrima forma et cantu mulcendo decipiunt et a capite usque ad umbilicum sunt corpore virginali et humano genere simillimae; squamosas tamen piscium caudas habent, quibus semper in gurgite latent.63
Nel commento di Franco Porsia si rimarca come il caso del Liber sia il primo in cui compaia una nuova iconografia, preceduta da una sola attestazione
nell’antichità di una donna con corpo di pesce, in Orazio (Ars 1-5), in cui si parla di una mulier formosa terminante in atrum piscem; il fatto però che tale
personaggio non abbia alcun precedente nella tradizione classica porta a pensare che il poeta non l’abbia creato con l’intento di rifarsi ad uno stereotipo
preesistente, ma che sia frutto di un’intuizione personale: l’unica sirena conosciuta perciò all’antichità rimane quella dal corpo d’uccello, simile ad
un’arpia, mentre la nuova variante, afferma sempre Porsia, si rifà molto probabile alle sottodivinità marine greche già citate nel paragrafo.64
62 Liber monstrorum, introd., ed., vers. e comm. a cura di Franco Porsia, Bari, Dedalo Libri,
1976, pp. 45-46, 126-129
63 «Le sirene sono giovanette marine che seducono i marinai con le loro splendide forme, e col
miele del canto. Dal capo a metà del tronco hanno corpo femminile, e in tutto e per tutto sono identiche alle donne: però hanno le code squamose dei pesci, che tengono sempre nascoste sott’acqua, tra le onde», trad. ita. di Corrado Bologna, vedi Liber monstrorum de diversibus
generibus, a cura di Corrado Bologna, Milano,Bompiani, 1977
64 Più specificamente, il fatto che l’autore del Liber parli di una sirena marina potrebbe scaturire